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Poletti: alle urne subito per glissare il referendum sul jobs act

Il padre del jobs act è ancora ministro: «Se si vota prima del referendum il problema non si pone. Ed è questo, con un governo che fa la legge elettorale e poi lascia il campo, lo scenario più probabile»

di Checchino Antonini

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La data in cui svolgere il referendum sul Jobs Act irrompe come una bomba a orologeria nel dibattito sulla durata del governo Gentiloni, nel giorno stesso in cui ottiene la seconda e definitiva fiducia. Per disinnescare questa minaccia, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, sottolinea che la soluzione più probabile è andare al voto anticipato. «Se si vota prima del referendum – spiega all’ANSA – il problema non si pone. Ed è questo, con un governo che fa la legge elettorale e poi lascia il campo, lo scenario più probabile». A quel punto, il referendum slitterebbe automaticamente di un anno. Più tardi smentirà senza convincere perché è proprio lui l’autore della legge che cancella lo Statuto dei lavoratori e introduce la barbarie dei voucher. Tuttavia, uno scenario di questo tipo, soprattutto se annunciato ora – si rileva in ambienti parlamentari – vorrebbe sancire che questo governo serve solo a fare una legge elettorale, con buona pace di chi, premier in testa, ha ribadito che «il governo va avanti sino a quando ha la fiducia». E non è un caso che tanti ministri, freschi di rinomina, a quanto trapela, non abbiano apprezzato per niente le frasi di Poletti. Lo stesso ministro, che però in serata ha smentito la circostanza, avrebbe corretto le sue parole spiegando ai colleghi in Cdm che la sua dichiarazione, non concordata con nessuno, tantomeno con Renzi, sarebbe stata una «scivolata». Anche se il vicesegretario Lorenzo Guerini, rilanciando la candidatura di Renzi alla segreteria, non ha escluso il voto a giugno: «Se c’è la volontà politica dei partiti si può fare. Certo, la legge elettorale non può diventare l’argomento su cui costruiamo un prolungamento artificioso della legislatura», ha sottolineato. Duro uno dei leader della minoranza Pd: «Più che invocare le urne per evitare che si svolga il referendum – attacca Roberto Speranza – è necessario intervenire subito sul Jobs act, a partire dai voucher». Netta anche Sel: «Il governo vuole impedire agli italiani di votare sui referendum contro i voucher e il Jobs Act? Bene. Non hanno capito il voto del 4 dicembre». In serata la precisazione di Poletti: «Le mie affermazioni non sono altro che l’ovvia constatazione che, qualora si andasse ad elezioni politiche anticipate, la legge prevede un rinvio dei referendum. È un’ipotesi che io non ho ‘invocato’ e non dipende certo dalla mia volontà che questo possa accadere. Ogni interpretazione strumentale è, quindi, totalmente fuori luogo».

Lo scontro scoppia comunque in mattinata, dopo che la Consulta ha reso noto che inizierà l’11 gennaio 2017 l’esame sull’ammissibilità delle richieste relative a tre referendum abrogativi proposti dalla Cgil e sottoscritti da 3 milioni di italiani. Quesiti che puntano a cancellare la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e quindi la possibilità di licenziamento, ad abrogare le disposizioni che limitano la responsabilità in solido di appaltatore e appaltante, in caso di violazioni nei confronti del lavoratore. Ed eliminare i cosiddetti voucher, ossia i buoni lavoro per il pagamento delle prestazioni accessorie. E se l’ex ministro Maurizio Sacconi lancia la creazione di ‘comitati per il No’, Susanna Camusso, leader della Cgil, attacca a testa bassa Giuliano Poletti e il suo «scenario» di rinvio: «Ogni slittamento significa non avere il coraggio di affrontare i problemi». Sul fronte opposto, il Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, sottolinea che questi referendum «provocano incertezza, ansietà del sistema Paese in cui i consumatori non consumano e gli investitori attendono». Parole a cui replica, in serata, sempre Susanna Camusso: «Confindustria ricorre allo stesso schema del referendum sulla Costituzione. Ma le minacce delle disgrazie per non permettere la libera decisione delle persone non funzionano». Si voterà o la burocrazia di Corso Italia, che non ha voluto aprire il comitato referendario al tempo della raccolta firme, sarà pronta a trattare un ennesimo accordo ai danni dei lavoratori come accaduto alla vigilia del referendum costituzionale con metalmeccanici e pubblico impiego?

«Non condividiamo affatto le parole che la CGIL scrive come augurio al nuovo Governo – fa sapere la corrente di sinistra all’opposizione in Cgil, Il sindacato è un’altra cosa – parole che francamente era meglio evitare e che segnano anche una distanza evidentemente sempre più profonda di Corso Italia dalla propria base. La CGIL e la sua segretaria generale fanno gli auguri al nuovo Governo e garantiscono l’impegno ad essere “interlocutore propositivo”. Certo, anche “attore critico nelle scelte ritenute sbagliate”! Chissà che tra un augurio e l’altro, qualcuno sia stato sfiorato dal ricordo di cosa ha combinato lo stesso identico Governo. È anche il caso di dire che non si impara mai dai propri errori. All’indomani del conferimento dell’incarico a Mario Monti la CGIL titolò “Auguri professore!”. Scelta quanto mai inopportuna, alla luce di quanto avvenne poche settimane dopo. In questo caso non c’è nemmeno il beneficio del dubbio, visto che questo Governo e le sue politiche le conosciamo già benissimo. Soprattutto il Ministro del Lavoro Poletti e il suo Jobs act!

Ma allora, era proprio il caso di farli questi auguri? Non era meglio dire che in questi anni questo stesso Governo aveva già avuto il compito di fare l’unica cosa che non ha fatto, cioè la legge elettorale? Non era meglio dire che la conferma dei Ministri non corrisponde neanche un po’ all’espressione del voto del 4 dicembre e al sentimento di insoddisfazione che proprio loro hanno diffuso nel paese con le loro leggi ingiuste e profondamente antisociali? Non era meglio dire che almeno al Ministro Poletti la CGIL gli auguri si rifiuta di farli perché di danni ne ha già combinati abbastanza? Sì, per noi era proprio meglio! Se non altro, pensiamo che i lavoratori e le lavoratrici avrebbero capito di più.

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