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1917, Il ritorno di Trotsky

Da New York a Pietrogrado, il ritorno di Trotsky nel 1917 per la rivoluzione in Russia

di Diego Giachetti

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Se al tempo della rivoluzione del 1905 Trotsky era stato uno dei primi socialisti russi a rientrare dall’esilio, nel 1917, non per colpa sua, fu uno degli ultimi. Il 3 dicembre del 1905 i membri del Soviet di Pietroburgo furono arrestati e tra questi vi era Trotsky. Era la fine del movimento rivoluzionario, che si ritraeva sconfitto. Nel 1905 aveva 26 anni e si sentiva ormai un uomo maturo. Quando fu condotto in carcere per la seconda volta non poté fare a meno di notare, con soddisfazione, che questa volta in prigione non lo chiamavano più “giovane” o “ragazzo”, ma col suo nome e cognome. Quel moto rivoluzionario, seppur sconfitto, rappresentava la conferma delle sue intuizioni e, soprattutto, apriva a nuove possibilità e a nuove sintesi di carattere politico e analitico, dandogli per la prima volta, forse, un’idea ben precisa e concreta di quello che poteva essere il ruolo del rivoluzionario nella storia.

La sua vocazione rivoluzionaria aveva trovato finalmente un’espressione concreta, fattibile e realizzabile. La sua ambizione giovanile aveva trovato la strada ed era stata appagata dall’approvazione e del consenso che gli vennero dal ruolo esercitato nel Soviet cittadino. Dopo il processo fu condannato alla  deportazione in una località remota della Siberia.

Nel frattempo a Mosca la sua compagna Natalja stava vivendo momenti difficili. Era indicata come la moglie di un cospiratore quindi, per trovare un po’ di pace, fu costretta a raggiungere la Finlandia. Qui ricevette alcune lettere dal marito incarcerato nelle quali descriveva il suo viaggio verso la deportazione. Le parlava dei posti che stava attraversando, le dava istruzioni per raggiungerlo, le parlava del freddo intenso e della neve bianca abbondante e fitta. Durante questo viaggio Trotsky fuggì, raggiunse Pietroburgo, si rifugiò con la moglie giunta dalla Finlandia in casa di amici, poi ripartirono per la Finlandia e da lì raggiunsero Stoccolma. Si recarono quindi a Londra per assistere al congresso del Partito socialdemocratico russo. Da Londra passarono a Berlino e infine si stabilirono a Vienna nell’ottobre del 1907.

La bonaccia viennese s’interruppe bruscamente quando, nell’agosto del 1914, scoppiò la Prima guerra mondiale. La polizia austriaca invitò Trotsky e la sua famiglia a lasciare al più presto la città. Si rifugiarono in Svizzera e poi a Parigi. Per le posizioni assunte da Trotsky e dai boscevichi nei confronti della carneficina, che avveniva in nome del patriottismo nazionale, la permanenza in Francia divenne sempre più precaria. Nel 1916 il governo francese lo espulse su richiesta di quello zarista accompagnadolo alla frontiera spagnola. Dalla Spagna, il 25 dicembre 1916, si imbarcarono per New York, dove giunsero il 13 gennaio 1917.

Da New York …

New York rappresentò un incontro choccante con la modernità. Per la prima volta nella loro vita trovarono alloggio in un appartamento del Bronx che offriva comodità e lussi inconsueti: «l’alloggio aveva delle comodità inaudite: luce elettrica, stufa a gas, bagno, telefono, montacarichi automatico». Chi con più entusiasmo scoprì il fascino della modernità furono i suoi due giovani figli: «per un certo tempo il telefono, strumento misterioso che non avevano conosciuto né a Vienna né a Parigi, fu la loro maggiore occupazione» (L. Trotsky, La mia vita, Milano, 1976, p. 267). Fuori casa, la città con i grattacieli, le gradi strade, il traffico automobilistico intenso li affascinava altrettanto.

Tre mesi dopo il loro arrivo negli Stati Uniti, scoppiò la rivoluzione in Russia. Si creò una situazione di dualismo di poteri. Mosca e Pietrogrado caddero sotto il controllo degli insorti. La Duma e i Soviet chiesero la deposizione dello Zar e l’istituzione di un governo provvisorio per avviare una fase costituente. Nel nuovo governò che si formò facevano parte cadetti, menscevichi e socialisti rivoluzionari. Nicola II, lo Zar, abdicò in favore del fratello, ma quest’ultimo rinunciò al trono. Leggendo le cronache delle manifestazioni in corso a Pietrogrado Trotsky osservava che le strade della città tornavano a parlare il linguaggio del 1905. Ai suoi occhi, la rivoluzione in corso non era un fenomeno che riguardava solo la Russia ma, essendo inserita nel contesto della guerra imperialista, poneva obiettivi che andavano oltre la caduta dello zarismo. Essa smascherava la politica dei liberal-borghesi imperialisti del governo provvisorio e apriva alla possibilità della costituzione di un governo operaio rivoluzionario. Nelle settimane seguenti le notizie dell’insurrezione di febbraio, Trotsky scrisse diversi articoli, pubblicati sulla rivista in lingua russa Novyj Mir nei quali, ribadendo la validità della teoria della rivoluzione permanente, sosteneva la necessità di opporsi senza indugi al governo provvisorio per costruire un percorso politico che consegnasse tutto il potere ai soviet.

Decise di rientrare con la famiglia al più presto in Russia. Ottenne dal governo provvisorio un passaporto regolare, poté rientrare non da clandestino e sotto falso nome come gli era accaduto nel 1905. Il giorno precedente la partenza il secondogenito Sergej, che aveva nove anni, chiese di uscire per vedere un’ultima volta la città, mentre i genitori preparavano le valigie. Passò un po’ di tempo, il ragazzo non tornava, l’apprensione dei genitori cresceva. Poi il telefono squillò. Prima una voce maschile, poi quella di Sergej annunciò che si trovava presso il commissariato di polizia dall’altra parte della città.«Il ragazzo aveva approfittato della sua passeggiata per risolvere un problema che lo tormentava da tempo: esisteva davvero la prima strada? Noi abitavamo al 164. Ma il ragazzo si era smarrito, aveva cominciato a domandare ed era stato condotto al commissariato. Per fortuna si ricordava il numero di telefono» (La mia vita, p. 273).

Il 27 marzo del 1917 s’imbarcarono a New York. Giunti nello scalo canadese di Halifax, il 30 marzo, i viaggiatori russi furono sottoposti a lunghi interrogatori, dopo salirono a bordo della nave dei marinai britannici che li costrinsero a sbarcare per poi trasferirli in un campo militare a qualche decina di chilometri dal porto, dove rimasero per un mese. Contro l’internamento protestò l’Esecutivo del soviet di Pietrogrado. Il 29 aprile lasciarono il campo e furono imbarcati su un piroscafo danese diretto verso la Finlandia. Da questo paese proseguirono poi verso la Russia. Alla frontiera, presso la stazione di Beloostrov furono accolti con fiori, bandiere, gagliardetti e canti. C’era una delegazione di bolscevichi di Pietrogrado e una delegazione dell’organizzazione politica interdistrettuale di cui Trotsky faceva parte, assieme a diversi suoi ex collaboratori del tempo in cui a Vienna pubblicavano il giornale «La Pravda», tra i quali Ioffe e Lunacarskij. A Pietrogrado questo gruppo poteva contare su circa 3 mila aderenti. Più che un partito nel senso proprio del termine era un coordinamento formato da ex menscevichi ed ex bolscevichi.

Il viaggio riprese e finalmente il 4 maggio giunsero alla stazione Finlandia di Pietrogrado, anche qui accolti da una folla festante. Trotsky pronunciò un breve discorso e affermò che la rivoluzione in corso sarebbe stata quella degli operai e dei contadini, «sarà la nostra» proclamò, non quella dei liberal-borghesi. Poi si recò al soviet dove si pronunciò a favore del potere ai soviet contro la coalizione che reggeva il governo provvisorio per concludere col saluto alla rivoluzione russa, prima tappa della rivoluzione mondiale. Sua moglie ricorderà in seguito che giunsero a Pietrogrado «senza un soldo», ma questo era secondario poiché ciò che contava era partecipare alla rivoluzione.

… a Pietrogrado

Nei giorni seguenti apprese che la linea del partito bolscevico era cambiata sotto l’impulso delle Tesi d’aprile di Lenin, nella quali egli riscontrava una somiglianza con la sua analisi formulata nella teoria della rivoluzione permanente. Decise quindi di schierarsi politicamente sulle posizioni di Lenin. L’accordo di fondo con le tesi di Lenin sulle questioni essenziali pose il problema dell’atteggiamento da assumere nei confronti del partito bolscevico che aveva criticato negli anni precedenti. I compagni della sua organizzazione politica erano titubanti e alcuni decisamente rifiutavano di riavvicinarsi ai bolscevichi. Tra gli stessi bolscevichi, nonostante la revisione della linea imposta da Lenin, albergavano altrettante diffidenze e rancori. Si iniziò a prospettare l’avvio di un processo di fusione tra le due organizzazioni. Il 10 maggio se ne discusse in una riunione comune. Per la prima volta, dopo la conferenza di Zimmerwald del 1915, Trotsky rivedeva Lenin, venuto alla riunione assieme a Kamenev e Zinov’ev. Lenin era fermamente convinto che si dovesse lavorare assieme. Propose l’entrata immediata degli esponenti dell’organizzazione interdistrettuale nel partito, con posti di responsabilità sia nella direzione che nella redazione della «Pravda». Trotsky era perplesso, indeciso, come altri suoi compagni. Constatò che i bolscevichi avevano abbandonato il vecchio orientamento politico basato sulla parola d’ordine della “dittatura democratica”.

Egli stesso era in procinto di rivedere le sue critiche al centralismo bolscevico, convinto ormai che occorresse condurre a fondo la lotta contro le tesi mensceviche e procedere alla costituzione di un nuovo partito. Avrebbe voluto che fusione fosse sancita anche da un cambio di nome, un nuovo nome per un nuovo partito frutto dell’unificazione tra il suo gruppo e i bolscevichi. Era una richiesta che Lenin, in quel momento non poteva accettare, perché doveva far fronte ai critici che lo accusavano di capitolare davanti a Trotsky. Se la fusione per ora restava in sospeso, nel lavoro pratico di propaganda rivoluzionaria Trotsky e i suoi seguaci operavano in sintonia coi bolscevichi.

Al primo congresso panrusso dei soviet, che ebbe inizio nei primi giorni di giugno, Trotsky fu uno dei principali oratori del blocco formato dai bolscevichi con 200 delegati, e la sua organizzazione, con 10 delegati. Ai primi di luglio, la conferenza della sua organizzazione, che si era svolta a Pietrogrado, aveva di fatto deciso di fondersi col partito bolscevico in occasione del suo prossimo congresso. Ma in quel mese le cose precipitarono.

Lenin, Zinoviev erano ricercati dalla polizia con l’accusa di essere agenti al servizio della Germania. Trotsky dinanzi all’Esecutivo del Soviet di Pietrogrado assunse le difese dei compagni accusati e affermò: «Lenin si è battuto per la rivoluzione per trent’anni. Anche io ho lottato per vent’anni contro l’oppressione delle masse popolari. Non possiamo che nutrire un odio profondo contro il militarismo tedesco. Chi afferma il contrario non ha la minima idea di chi sia un rivoluzionario». Trotsky stesso fu imprigionato.

Contemporaneamente si celebrava il congresso del partito bolscevico, al quale Trotsky non poté partecipare, che sancì l’entrata del gruppo interdistrettuale. In quell’occasione fu eletto nel comitato centrale. Liberato ai primi di settembre riprese la sua frenetica attività politica sull’onda della seconda rivoluzione che stava venendo.  Il 9 settembre del 1917 (secondo il vecchio calendario), i bolscevichi ottenevano la maggioranza nel Soviet di Pietrogrado. Trotsky, dodici anni dopo la prima nomina, fu chiamato alla presidenza del soviet cittadino.

da rivoluzione1917.org

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