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Filippine: per il presidente Duterte stuprare non è reato

“Se vi capita di stuprare tre donne dirò che l’ho fatto io”, sono le parole che il presidente filippino Duterte ha detto alle sue truppe impegnate a combattere i guerriglieri affiliati all’Isis

il presidente Dutere con il suo esercito di stupratori

di Marina Zenobio

Il 24 maggio scorso Rodrigo Duterte aveva già imposto la legge marziale nell’isola di Mindanao, decisione adottata dopo diverse azioni armate di “Maute”, gruppo fondamentalista affiliato al sedicente Stato Islamico che aveva anche assalito una chiesta e preso in ostaggio un sacerdote nella città di Marawi. Fin qui tutto potrebbe rientrare nella norma ma ieri, durante un discorso alle sue truppe, il presidente della Repubblica delle Filippine ha detto: “ Se vi capita di stuprare tre donne, dirò che l’ho fatto io aggiungendo che se sarà necessario “Sarò io a prendermi tutta la responsabilità. Andrò in prigione per voi. Voi fate il vostro lavoro io mi prenderò cura del resto”.

Non è la prima volta che Duterte rivendica la liceità dello stupro. Nell’aprile del 2016, durante la campagna elettorale che lo ha portato alla presidenza della repubblica, ricordando la bellezza della missionaria australiana Jaqueline Hamill – uccisa dopo uno stupro di gruppo durante una sommossa nel carcere di Davao nel 1989 – Duterte disse che gli era dispiaciuto di non essere stato il primo ad abusare della donna “era così carina! Io ero il sindaco, avrei dovuto essere il primo!”. Il riferimento sta nel fatto che all’epoca di quello stupro e assassinio lui era il sindaco di Davao (1988-1998).

Duterte è lo stesso presidente che fin dalla sua elezione ha avviato la cosiddetta “tolleranza zero” nei confronti della droga a livello nazionale che ha portato, nell’arcipelago filippino, ad un aumento drammatico delle uccisioni extragiudiziarie di giovani donne e uomini, colpevoli solo di essere tossicodipendenti, per mano di squadroni della morte assoldati dal governo.

Le inqualificabili dichiarazioni di Duterte rientrano perfettamente in quella visione dello stupro come arma di guerra. Serve ad annientare la donna, a colpire il motore che genera la vita e ad umiliare il nemico. La violenza sessuale, secondo Amnesty Internationa, è utilizzata come una strategia militare al fine di imporre un controllo sociale, per spingere le popolazioni locali a fuggire dal territorio occupato e dunque utile a ridisegnare i confini.

Probabilmente il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte immagina di cacciare il fondamentalismo islamico utilizzando la strategia dello stupro di guerra, ampiamente utilizzata anche dai fondamentalisti. Una guerra all’ultimo stupro!

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