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Catalogna, dopo il referendum lo sciopero

Catalogna, le autorità catalane: voteremo comunque. L’Ue si schiera con Madrid. Proclamato per il 3 ottobre lo sciopero generale

di Checchino Antonini

Catalogna: 'dopo blitz referendum più complicato'

 

E’ il terzo giorno dopo l’attacco di Madrid alla Catalogna.

11.25 del 22 settembre

Centinaia di manifestanti sono sempre riuniti davanti al Palazzo di Giustizia di Barcellona per esigere la scarcerazione dei 6 alti funzionari catalani arrestati nel blitz della Guardia Civil mercoledì e ancora detenuti. Altri 8 sono stati rimessi in libertà. Ieri fino a 30mila persone si sono concentrate davanti alla sede del Tribunale superiore di giustizia, che circa 300 persone hanno presidiato tutta la notte. I manifestanti sono stati raggiunti oggi dalla presidente del parlamento catalano Carme Forcadell.

Lo stato d’eccezione non dichiarato, imposto da Madrid dopo l’ondata di arresti, ha avuto come effetto quello di orientare verso il SI’ un ampio settore della popolazione catalana che non s’era mai surriscaldato per le tematiche autonomiste o separatiste. Già da mesi a Barcellona erano arrivati reparti della guardia civil (soprattutto provenienti da Valencia), prima con il pretesto degli scioperi dei controllori dei filtri all’aeroporto, poi dopo l’attentato jihadista. Una fonte di Popoff,  ‘riserva’ della guardia civil spiega in via ufficiosa che la presenza di guardias civiles per lo sciopero era decisamente eccessiva, sembrava tutto già pensato per assicurare un numero importante di militari in vista di ottobre.

***

Se il giorno degli arresti anche i sindacati di tradizione “spagnola”, come Comisiones Obreras e Ugt, hanno aderito alle mobilitazioni, ieri la Confederació General de Treballadors (CGT) della Catalogna (quarto nella regione per numero di iscritti) ha presentato un preavviso di sciopero generale per il 3 ottobre (per via dei tempi di preavviso) che dovrà essere approvata dalla maggioranza degli iscritti per “rivendicare i diritti del lavoro e sociali violati a causa delle controriforme del lavoro, lottare contro la violazione dei diritti politici e democratici fondamentali da parte del governo spagnolo e denunciare i blitz delle forze di sicurezza nei luoghi di lavoro”. Analoghi avvisi anche dal Coordinamento Operaio Sindacale (COS), indipendentista, e la Intersindacale Alternativa di Catalogna (IAC), maggioritario nella scuola pubblica. Anche i rettori di tutte le 8 università pubbliche della Catalogna hanno respinto la violazione dei diritti democratici e della libertà di espressione. In una nota interna il capo della polizia catalana, iMossos d’Esquadra, il maggiore Josep Llouis Trapero, ha raccomandato ai suoi agenti di non fare uso della forza se non in caso di assoluta necessità, riferisce la tv pubblica cataana Tv3. I Mossos, che dipendono dal governo di Barcellona ma anche dalla magistratura spagnola come polizia giudiziaria, hanno avuto finora un ruolo prudente nel conflitto catalano, a differenza di Guardia Civil e Policia Nacional spagnole.

Sette dei 14 dirigenti dell’ amministrazione catalana arrestati ieri nel blitz della Guardia Civil spagnola contro l’organizzazione del referendum sono stati rimessi in libertà dal tribunale di Barcellona. Fra i sette ancora detenuti ci sono il braccio destro del vicepresidente Oriol Junqueras, Josep Maria Jové, e il responsabile dell’Agenzia Tributaria Catalana, Lluis Salvadò, vicesegretario del partito della sinistra repubblicana Erc. Il vice di Oriol Junqeras, il vicepresidente indipendentista della Catalogna rischia tra i 10 e i 15 anni di carcere in quanto la Guardia Civil, che lo ha arrestato insieme ad altre 13 persone, accusa il segretario generale dell’economia Josep Maria Jové di «sedizione». Secondo fonti della difesa citate dalla Vanguardia online anche lo stesso Junqueras rischierebbe una pena di carcere per disobbedienza, prevaricazione e malversazioni di fondi per aver gestito elementi fondamentali in vista del referendum sull’indipendenza del primo ottobre, che Madrid considera illegale. Intanto la Corte costituzionale si è detta pronta a comminare supermulte, tra i 6 e i 12mila euro al giorno, ai 22 esponenti del comitato elettorale se non sospenderanno i preparativi in vista del referendum.

Ma, nonostante il duro colpo inferto ieri dalla Guardia Civil spagnola all’organizzazione del referendum – 14 arresti e 10 milioni di schede sequestrate – la Catalogna non si ferma, anzi continua come niente fosse la corsa verso il voto del primo ottobre dichiarato «illegale» da Madrid. Il presidente Carles Puigdemont a sorpresa ha annunciato l’avvio del sito elettorale che indica, concretamente, a ogni cittadino dove e come potrà votare fra 10 giorni. Una mossa che prende in contropiede le dichiarazioni del premier spagnolo Mariano Rajoy, che ieri notte aveva dato per smantellato il referendum – «ora è una chimera» – e invitato Puigdemont alla resa per evitare «mali maggiori». L’Ue intanto, hanno detto fonti comunitarie, segue con «grande preoccupazione» la situazione. La linea di Bruxelles rimane quella della non ingerenza. «Rispettiamo l’ordine costituzionale spagnolo», ha detto una portavoce. E la Francia ha detto di auspicare «una Spagna forte e unita».

La prima notte dopo il blitz a Barcellona è stata ad alta tensione. Il popolo indipendentista si è riversato in strada. Migliaia di persone – 40mila in serata – hanno stretto d’assedio nel ministero dell’Economia (al grido «Voteremo!», «Libertà!» «Via le forze d’occupazione») gli agenti della Guardia Civil che avevano compiuto arresti e perquisizioni. Sono potuti uscire solo alle 3 del mattino, scortati dalla polizia catalana. Altre migliaia sono tornate a riunirsi oggi pacificamente davanti al Palazzo di Giustizia, in carrer Lluis Companys, per esigere la scarcerazione dei 14 detenuti. Sette sono stati rimessi in libertà. Manifestazioni di protesta si sono tenute in tutta la Catalogna. Per il referendum la situazione si è fatta «più complicata», ha ammesso a Tv3, emozionato, il vicepresidente Oriol Junqueras, i cui più stretti collaboratori sono finiti in manette ieri. «È evidente che non potremo votare come sempre», ha detto, «ma cercheremo di essere all’altezza».

La partita, ovviamente, non è chiusa. La pressione dello stato spagnolo aumenterà nei prossimi giorni. Madrid ha già inviato rinforzi di polizia, almeno mille agenti, in Catalogna. Saranno alloggiati in tre navi nei porti di Barcellona e Tarragona dove però i sindacati portuali ne boicotteranno manovre e rifornimenti. L’attracco a Palamos, in Costa Brava, un porto che dipende dal governo Puigdemont, è stato negato. Il governo catalano ha pronti piani alternativi a seconda delle contromosse spagnole per arrivare comunque al voto, anche se oggi il ministro delle Finanze spagnolo Cristobal Montoro ha preso il controllo diretto delle sue finanze. Conti e carte di credito sono stati bloccati. Il governo non ha più le schede per il voto, le convocazioni dei 45mila membri dei seggi sono state sequestrate. I principali responsabili dell’organizzazione del voto sono stati arrestati. «Le condizioni del gioco sono state alterate» ma «si andrà avanti», ha promesso Junqueras, che non ha escluso di poter essere arrestato lui stesso: «Non sono importante, c’è gente molto più preparata», ma può succedere. Il rischio ora è di un’ulteriore fuga in avanti. Il leader del Pp catalano Xavier Albiol ha detto che Puigdemont potrebbe essere tentato, se messo all’angolo, da una dichiarazione unilaterale di indipendenza.

«La situazione creata «La situazione creata in Catalogna è grave, molto grave!». È visibilmente irritato Enric Juliana, vice-direttore di La Vanguardia, uno degli analisti più attenti e rispettati della infinita crisi catalana. «Nei centri del potere spagnoli si sottovaluta la profondità della protesta e del divario, che comporta gradi e sfumature molto diversi: lo sappiamo da tempo, ma vogliono ignorarlo». Per Juliana il blitz di ieri «rinforza il campo della protesta, cui stanno aderendo ora in forma definitiva molti non indipendentisti», «un fiume che si allarga sempre di più e può straripare». Secondo l’analista catalano, «un atto di affermazione dell’autorità dello stato senza offerta politica come alternativa, che punta all’umiliazione delle istituzioni catalane, può avere conseguenze catastrofiche per lo stato spagnolo a medio termine». In altre parole, avverte Juliana, «si sta aprendo il ciclo storico della separazione della Catalogna dalla Spagna, con l’insensato applauso degli opinionisti di Madrid». A Barcellona si percepisce la stampa madrilena schierata compatta e acritica su posizioni nazionalistiche e spesso anti-catalane con il governo del conservatore Mariano Rajoy. «Gli europei lo vedono, la corte madrilena – guidata dal Partito del Disprezzo, con politici, opinionisti, cospiratori di diverso rango – no». Il rischio oggi, spiega l’analista, è la «autocontemplazione cronica delle elites madrilene, innamorate del loro potere relativo e poco abituate a capire la Spagna come una società complessa». Cioè «una vera società, non la somma di quaranta e rotti milioni di consumatori». Per Juliana il premier Mariano Rajoy deve «diffidare dagli irresponsabili, che gli chiedono di umiliare le istituzioni catalane», perchè il rischio è che Barcellona scelga «la tentazione dell’avventura».

Dalle valli dei Pirenei alle spiagge della Costa Brava è un fiume di bandiere stellate dell’indipendenza in movimento, spinto dall’indignazione per il blitz dello stato spagnolo contro il Govern di Barcellona. La Catalogna profonda vuole votare e lo grida dai manifesti gialli rossi blu appesi ai muri, dagli striscioni che proclamano «Republica!» all’ingresso dei villaggi. La provincia di Girona, fra mare, montagne e Francia, è quella dove essere ‘spagnolì è meno ben visto. Alle ultime regionali i partiti dell’ indipendenza hanno stravinto con 12 seggi su 17 al parlamento regionale. Qui il lavorio cosmopolita di Barcellona è lontano. Dai tempi della rivoluzione e di Napoleone la simpatia per la Francia è grande, la gente si sente «afrancesada». Palamos, San Felieu de Guixols, Platja d’Aro, sono nomi familiari per gli italiani, che ogni estate affollano questa fetta di Costa Brava fra Barcellona e la Francia. Tutti i comuni fanno parte dell’Associazione dei Municipi per l’Indipendenza. I loro sindaci sono fra i 712 su 948 inCatalogna dichiarati indagati e chiamati a deporre in procura pena l’arresto per essersi schierati per il referendum. A Palamos, 18mila abitanti, un tempo villaggio di pescatori, ora cittadina turistica d’estate, la gente si è riversata in piazza, quella dell’Ayuntamento, a due passi dal Mercato del Pesce, mercoledì sera per denunciare contro il blitz di Barcellona. Pronta a difendere il popolare presidente catalano Carles Puigdemont, ex-sindaco di Girona, e il suo governo. La frustrazione e la collera dominano. «Mi sento catalana e spagnola. Non sono mai stata indipendentista» spiega Angels, che gestisce un piccolo albergo, «ora sono sicura di volere andare a votare, e forse per il ‘sì’, contro (il premier spagnolo) Mariano Rajoy». Il sindaco Lluis Puig, della Sinistra Repubblicana di Erc, il partito di Oriol Junqueras, si è precipitato a Barcellona per unirsi ai manifestanti sulla Rambla di Catalunya. «La gente vuole votare, vuole che sia rispettata la democrazia» ha spiegato a Radio Palmos il suo vice Jordi Pacci. «Dobbiamo difendere le istituzioni del nostro paese attaccate dallo stato franchista spagnolo» spiega fra i manifestanti Anton, «l’attacco di Madrid è sproporzionato». Molti temono che dopo i sequestri di ieri, 10 milioni di schede nelle mani della Guardia Civil, non si riesca più a votare. Ma c’è chi non ha dubbi: «Vuterem!» garantisce Monica, infermiera, «ho solo paura possa vincere il ‘nò».

A dieci giorni dal referendum indipendentista catalano, Pep Guardiola, oggi tecnico del Manchester City ma per una vita al Barcellona e da sempre ‘animà autonomista, si è schierato apertamente in favore del voto del primo ottobre. Lo aveva già fatto, partecipando alla grande manifestazione indipendentista organizzata a giugno, ma adesso il suo sostegno ha un valore ancora più politico, considerando gli ultimi sviluppi e la scadenza ravvicinata.

«I cittadini della Catalogna hanno dimostrato un’altra volta la propria civiltà – ha detto il 46enne di Santpedor, questa volta dismettendo i panni del tecnico e indossando quelli del politico – In queste situazioni non è facile controllare se stessi e lo hanno fatto. Siamo in ottime mani, le persone che ci guidano faranno quello che la gente chiede. E noi quello che chiediamo, e immagino che tutto il mondo e tutta l’Europa lo sappia, è votare. Perché non chiediamo l’indipendenza. Non si tratta di indipendenza, ma di democrazia. Sono convinto che il prossimo primo ottobre, come ha affermato il presidente Puigdemont, andremo tutti con una scheda elettorale per cercare di votare». Una scelta di campo per la Catalogna indipendente che ha trovato sponda anche in tanti altri sportivi spagnoli di grido, a partire dalla squadra del Barcellona, come dimostra la piattaforma ‘L’esport pel sì’ che ha pubblicato un video di sostegno alla creazione di una repubblica catalana per favorire gli sportivi catalani, l’aumento dei redditi per lo sport regionale, la partecipazione di atleti e selezioni per gli Europei, i Mondiali e le Olimpiadi.

El Pais si schiera con Madrid. Citando Mario Vargas Llosa e Curzio Malaparte, il referendum per l’indipendenza in Catalogna «è un tentativo di colpo di Stato, non ci vogliono per forza i carri armati. I golpe possono essere di natura politica, come quello di Primo de Rivera nella stessa Spagna nel 1923 o il 18 Brumaio di Napoleone. Tecnicamente si parla di golpe, anche se la Catalogna è un caso molto particolare, quando si sostituisce in maniera illegittima un ordinamento democratico con un altro», dice il columnist di El Pais Xavier Vidal-Folch, un catalano doc, ex vicedirettore del quotidiano madrileno, ex responsabile dell’edizione in catalano, per anni corrispondente a Bruxelles. Come succede spesso, nota Vidal, le ragioni della ribellione popolare che vediamo in questi giorni sono altre: «Mettere un termine al centralismo, votare contro il Pp e mandare a casa il premier Mariano Rajoy per mettere in piedi una maggioranza alternativa». Il giornalista ricorda che alle ultime elezioni del 2015 gli indipendentisti hanno ottenuto meno del 48% del voto popolare con una maggioranza risicata nel Parlament ed «è falso parlare di mandato popolare per negoziare l’indipendenza. Il primo ‘golpe’ sarebbe contro la Catalogna, in quanto la costituzione spagnola del 1978 è stata costruita dai catalani. Addirittura gli addetti ai lavori la chiamavano ‘la costitucion de los catalanes’. Lo stesso vale per il Parlamento spagnolo: la quasi totalità delle leggi furono approvate grazie all’appoggio di Convergencia i Uniò (CiU), il partito storico del presidente catalano Jordi Pujol». Rajoy, però, ha una grandissima colpa, aggiunge Vidal: «Non aver fatto assolutamente nulla negli ultimi cinque anni, dopo essere stato uno dei primi a far ricorso alla Corte costituzionale contro l’ipotesi di una maggior autonomia (cosa che non è successo per la comunità di Valencia e l’Andalusia), oltre ad aver fatto passare leggi per centralizzare di nuovo alcune politiche diventate autonome. E poi uno si stupisce se la gente è arrabbiata». Il primo ottobre, data del referendum considerato illegittimo da Madrid, «sarà una grande kermesse, senza garanzie politiche serie, una riedizione con maggiore enfasi del 9 novembre 2014», quando l’80% dei votanti al referendum consultivo – ma con una partecipazione di solo il 30% – si espresse per il sì. La soluzione? «Recuperare a partire dal 2 ottobre la legittimità istituzionale, avviando il dialogo. Ci si comporta così nelle democrazie europee».

Il Consiglio regionale della Sardegna ha approvato all’unanimità un ordine del giorno unitario per esprimere la solidarietà al popolo catalano che reclama il diritto di autodeterminarsi attraverso il referendum. L’Assemblea ha espresso «ferma condanna su ogni azione di forza tesa a condizionare gli esiti della consultazione per l’indipendenza dellaCatalogna». In realtà gli ordini del giorno presentati erano tre, ma il presidente del Consiglio, Gianfranco Ganau, ha chiesto ai proponenti una stesura unitaria, poi votata dall’Assemblea. Con due eccezioni: Paolo Truzzu (Fdi) e Gennaro Fuoco (Psd’Az La base) che non hanno votato. Sul travaglio del popolo catalano è intervenuto a inizio seduta il consigliere Psd’Az Christian Solinas che ha proposto all’Aula di prendere le distanze da un «processo di inasprimento del confronto istituzionale che impedisce un voto democratico. La Sardegna ha conosciuto vicende analoghe e non può che essere vicina ai fratelli catalani».

«Il popolo catalano e le istituzioni che lo rappresentano stanno vivendo, in questi giorni, ore drammatiche e sconcertanti che riportano alla luce antistoriche e stantie pratiche violente e centralista che rischiano di provocare una inaccettabile ferita alla democrazia e minano la credibilità politica dell’Unione europea». È quanto sostengono in una nota congiunta i partiti indipendentisti sardi PSd’Az, Rossomori, La Base, Associazione Sardos, Sardegna Possibile, Sardigna Natzione, Irs (Indipendentizia Repubrica de Sardigna), Sardigna libera, Liberu e Gentes.   «Gli arresti, le violenze e i sequestri ad opera del governo del Regno di Spagna – dicono gli indipendentisti sardi – non fermeranno però il referendum per l’indipendenza della Catalogna e non rallenteranno il cammino di libertà intrapreso dai popoli europei, ad iniziare da quello sardo. Le forze identitarie e indipendentiste della Sardegna sono dunque al fianco del popolo catalano nella lotta di liberazione nazionale, per l’affermazione dell’irrinunciabile diritto all’autodeterminazione».  «L’intesa – proseguono – sul punto tra le organizzazioni culturali, civiche e politiche alle quale apparteniamo, testimoniano la solidarietà e la vicinanza di tutti i sardi ai catalani e ci impegnano tutti a proseguire con ancor più determinazione e maggiore coraggio nel cammino dell’indipendenza, attraverso gli strumenti e i valori della democrazia, della pace e dei diritti dei popoli». Gli indipendentisti invitiamo tutti i sardi a sostenere la petizione «Visca Catalunya i el poble català, lliures!»

In Lombardia la maggioranza di centrodestra si divide sulla proposta della Lega Nord (che crede che la lotta del popolo catalano sia paragonabile alle gesta di Bossi, Borghezio, Salvini) di esporre la bandiera della Catalogna fuori dal Pirellone, sede del Consiglio regionale lombardo.

REFERENDUM CATALOGNA, MADRID MANDA LA GUARDIA CIVIL

Prima notte di tensione, polizia assediata a Barcellona.

Arrestando i membri della Generalitat, il governo del Partito popolare continua la sua deriva autoritaria e repressiva con l’instaurazione di uno stato di eccezione strisciante, ma concreto, in Catalogna. Una restrizione delle libertà che in pratica si estende al resto dello Stato spagnolo e probabilmente è destinata ad approfondirsi: «La risposta deve essere chiara e senza esitazione: bisogna chiamare a votare il 1° ottobre e quindi disobbedire al “regime del 1978”, che dimostra la sua vera natura. Un regime che ha chiuso tutte le possibilità della sua auto-riforma e che si oppone al diritto all’autodeterminazionne. La posizione dell’estrema sinistra è che “il primo ottobre si debba votare e disobbedire per allargare una disobbedienza che possa permettere di aprire nuovi processi costituenti”.

Dopo una notte di tensione nel centro di Barcellona, il sindacato degli scaricatori del porto ha reso noto che boicotterà le navi noleggiate dal governo spagnolo per alloggiare i rinforzi di Guardia Civil e polizia nazionale inviati in Catalogna. Due navi da crociera a Barcellona e Tarragona ospiteranno gli agenti spagnoli. Il porto di Palamos, nel nord della Catalogna, ha negato l’autorizzazione di attracco a una delle tre navi, che è stata dirottata su Barcellona. Anche gli scaricatori di Tarragona hanno annunciato che non porteranno rifornimenti alla nave della polizia spagnola.

Dopo le manifestazioni in almeno cinquanta città spagnole, gli agenti della polizia spagnola sono rimasti ‘assediati’ dai manifestanti a Barcellona fino alle 3 del mattino nella sede del ministero dell’Economia catalano in Rambla de Catalunya. Gli agenti hanno potuto lasciare il palazzo solo a quell’ora dopo l’intervento della polizia catalana dei Mossos d’Esquadra. In serata 40mila persone erano riunite davanti al Palazzo, fra grida di «Libertà», «Voteremo», «via le forze di occupazione».

L’Assemblea Nazionale Catalana, la principale organizzazione della società civile indipendentista, ha convocato una concentrazione permanente a partire da oggi a mezzogiorno davanti al palazzo di Giustizia, dove si trovano tuttora 10 dei 14 arrestati di ieri. Quattro sono stati rimessi in libertà. Il presidente catalano Carles Puigdemont ha accusato la Spagna di avere «violato lo stato di diritto e attuato uno stato di eccezione» e ha confermato la convocazione del referendum del primo ottobre, nonostante la dura offensiva di Madrid. Puigdemont ha chiamato il paese alla resistenza pacifica, «la sola arma che abbiamo». Il premier spagnolo Mariano Rajoy ha chiesto al presidente catalano di rinunciare al referendum, che ha definito una «chimera», per «evitare mali maggiori». Nelle oltre 40 perquisizioni attuate ieri, la polizia spagnola ha fra l’altro sequestrato 10 milioni di schede per il referendum e molto materiale elettorale. In precedenza la Guardia Civil aveva sequestrato migliaia di convocazioni destinate alle 45mila persone designate per costituire i seggi.

Anche la stampa si spacca lungo la linea di frattura catalana, quella di Madrid oggi approva il blitz contro il governo del presidente Carles Puigdemont mentre quella di Barcellona esprime indignazione e preoccupazione. «Vertigo!» titola a tutta prima pagina El Periodico, rilevando che «Il conflitto catalano si avvicina al bordo del precipizio» e che la «macro-operazione della polizia suscita un’ondata di indignazione». «La protesta occupa la piazza contro l’assedio al referendum del 1 ottobre» è il titolo di apertura di La Vanguardia, «Colpo dello Stato contro la Generalità» quello di Punt Avui. I quotidiani di Madrid si schierano invece con il governo del premier Mariano Rajoy. «Il seperatismo tenta di opporsi allo stato dopo la neutralizzazione del referendum» titola El Mundo, «La giustizia smonta l’organizzazione del referendum» per El Pais che dedica l’editoriale alle «Bugie di Puigdemont». Abc annuncia che «La democrazia è restaurata inCatalogna» e La Razon titola su «La fermezza della democrazia». Da ieri, tuttavia, è in corso la persecuzione di tipografie che stiano realizzando qualunque manifesto, documento o scheda di votazione per il 1 ottobre, con oltre 1.300.000 manifesti e volantini sequestrati, materiale ordinato dalla Generalitat (istituzione governativa catalana, ndt) e dal CUP. Anche il trasporto pubblico metropolitano ha ritirato tutti i manifesti relativi al referendum. Il Tribunale costituzionale ha proibito la concessione di permessi e spazi municipali per la campagna referendaria. La Guardia civile è entrata nelle redazioni dei media catalani che si supponeva emettessero pubblicità istituzionale sul referendum, chiedendo ai redattori i documenti di identità e trasmettendo la comunicazione al TSJC (Tribunale superiore di giustizia catalana). Oltre 700 sindaci sono inquisiti per l’appoggio al referendum. Si è richiesto ai principali operatori telefonici (Vodafone e Movistar) di bloccare l’ingresso ai server in cui si trova il sito ufficiale del referendum (www.referendum.cat), e di alcuni dei suoi mirror (www.ref1oct.catwww.ref1oct.eu). Sono stati interrogati direttori di aziende che hanno concorso alla realizzazione delle urne.

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L’attacco di Madrid

Catalogna: la situazione precipita. Arresti, occupazioni di edifici pubblici da parte della guardia civil e sequestro di schede e materiali per il referendum. Intanto in serata si apprende che la polizia dello Stato spagno ha anche occultato le informazioni sul terrorismo ai Mossos d’Esquadra, la polizia catalana.

Migliaia di cittadini sono scesi in strada denunciando le azioni dello Stato. Di tutte le età. Di tutte le posizioni. Si sono concentrati lì dov’era la presenza della Guardia Civil. Lo hanno fatto pacificamente nonostante la tensione. Lanciando garofani nell’aria. Sorridendo. Mostrando le schede elettorali incriminate. Gridando “voteremo, voteremo!”. Una massiccia insurrezione di disobbedienza attiva che difficilmente avrà un punto di ritorno. Le grida di disobbedienza e la richiesta di uno sciopero generale risuonano ora nelle strade di Barcellona e nei comuni di Catalogna. Chi è in piazza trova molti volti familiari. E una grande maggioranza non è indipendentista. Non prima di questo 20 settembre. «L’aria che si respira è di rottura totale», scrive un attore catalano, Marc Almodóvar su El Salto. «Quando parlo di rottura, intendo per esempio il modo in cui la Guardia Civile è stata accolta. Le auto della polizia militare sono state verniciate irrimediabilmente, piene di adesivi e ornate di bandiere… Se uno si aspetta una rivoluzione pura, naturalmente non lo è. Ma il martello dello Stato spagnolo sembra aver appena risvegliato la gente addormentata». Noleggiate tre navi da crociera per ospitare la polizia spedita a reprimere i catalani. Poliziotti dannosi anche come i turisti. A Barcellona è attiva anche una campagna #stopcruceros come quella No Grandi Navi di Venezia.

Il governo catalano dichiara che Rajoy ha oltrepassato la linea rossa. Rajoy s’è riunito dalle 12,30 con i segretari di Ciudadanos e del PSOE. Agenti della Guardia Civil si sono presentati all’alba nel dipartimento di economia del governo catalano per perquisirlo. Sono entrati anche in altri 4 enti e imprese e nella sede dell’Agenzia Tributaria. E’ un attacco frontale di Madrid contro il governo del presidente Carles Puigdemont, con mandati di arresto cintro 14 alti funzionari considerati ai comandi dei preparativi del voto del primo ottobre. «Era l’unica risposta possibile», ha spiegato in parlamento il premier spagnolo, Mariano Rajoy del PP, che ha dichiarato il referendum «illegale» e promesso di impedirlo, perché davanti alla sfida dell’indipendenza catalana «lo Stato deve reagire». «Tolga le sue sporche mani dalla Catalogna», gli ha gridato in aula un furibondo leader della sinistra repubblicana catalana, Erc, Gabriel Rufian. Durissima la reazione di Puigdemont al blitz. Dopo una riunione straordinaria del governo, ha denunciato «l’atteggiamento totalitario» dello Stato spagnolo: «Ha superato la linea rossa, la libertà è sospesa, situazione inaccettabile in democrazia». Puigdemont ha annunciato che il referendum rimane convocato «in difesa della democrazia di fronte a un regime repressivo e intimidatorio».

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Ma le ultime mosse di Madrid rendono sempre più difficile organizzare il voto. Le perquisizioni della Guardia Civil le hanno permesso nelle ultime ore di sequestrare 10 milioni di schede per il voto, grandi quantità di altro materiale elettorale e le lettere di convocazione ai 45mila membri dei seggi. La struttura organizzativa è praticamente decapitata con gli arresti dei 14 alti funzionari, fra cui Josep Jové, braccio destro di Oriol Junqueras, vicepresidente della Catalogna e uomo forte del ‘govern’ di Puigdemont. L’attacco al cuore delle istituzioni dell’autogoverno catalano ha creato una situazione incandescente a Barcellona. Migliaia di persone sono scese in piazza in difesa del ‘govern’ e del referendum al grido di «Libertà», «Indipendenza», «Fuori le forze di occupazione straniere», e cantando Els Segadors, l’inno catalano.

Ci sono stati momenti di forte tensione con gli agenti spagnoli che portavano via i dirigenti catalani in manette. Ma la protesta è rimasta pacifica. C’è stata alta tensione per ore anche davanti alla sede del partito della sinistra indipendentista Cup, circondato dalle forze antisommossa e difeso da oltre 10mila manifestanti.

Il presidente della Assemblea Nazionale Catalana, principale organizzazione della società civile indipendentista, Jordi Sanchez, ha annunciato una «mobilitazione senza precedenti» in tutta la Catalogna dai prossimi giorni. «Il governo Rajoy è impazzito», ha detto, avvertendo che ora potrebbero essere arrestati anche Puigdemont e Junqueras. Le associazioni sovraniste hanno fatto un appello alla popolazione per concentrarsi in modo pacifico davanti ai dipartimenti presi di mira dalla Guardia Civil. “E’ arrivato il momento, resistiamo pacificamente”, ha affermato Sanchez. In serata saranno moltissime anche le manifestazioni di solidarietà, almeno in 50 città, nel resto della Spagna, a partire dalla Puerta del Sol di Madrid, e la mobilitazione potrebbe crescere anche nel resto d’Europa visto che la voglia di indipendenza catalana suscita speranze e simpatie anche a sinistra.

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Da più parti, anche nello Stato Spagnolo, si chiede lo sciopero generale. Già ieri a Madrid una riunione di Anticapitalistas, la corrente di sinistra di Podemos, ha dovuto spostare in strada, un meeting perché  sono arrrivate oltre 500 persone anziché il centinaio che poteva contenere la sala.

Sanchez il segretario del PSOE, che  in Italia è spacciato per una “novità” di sinistra, chiede al governo catalano di rinunciare al referendum.

Al di là degli arresti e delle perquisizioni, Madrid ha portato avanti oggi anche lo strangolamento finanziario del governo catalano. Il ministro delle Finanze Cristobal Montoro ha preso come previsto il controllo delle spese della Generalità e ne ha bloccato i conti correnti per evitare che «un solo euro» possa essere speso per il referendum «illegale». Sulla linea dura contro la Catalogna, Rajoy ha incassato l’appoggio dall’opposizione in nome della costituzione dei leader degli altri due grandi partiti unionisti spagnoli, il socialista Pedro Sanchez e Albert Rivera, leader di Ciudadanos, che ha visto alla Moncloa. Il solo grande partito spagnolo favorevole al referendum, Podemos, ha duramente condannato il blitz della Guardia Civil. «È una vergogna», ha accusato il segretario Pablo Iglesias, «in Spagna tornano a esserci detenuti politici». In realtà, le cronache sulla repressione, la detenzione e la tortura di prigionieri soprattutto baschi non hanno soluzione di continuità dall’epoca franchista.

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Che cosa dice la Costituzione (post ma no troppo) franchista

Le regole definite dalla Costituzione post-franchista, scritta dai militari alla vigilia della transizione, per una Spagna «indissolubile», a meno di un difficile e arduo iter di riforma (con doppia maggioranza qualificata parlamentare e referendum popolare), sono superiori a qualsiasi decisione presa da un parlamento autonomo. Così la Corte costituzionale spagnola ha bocciato all’unanimità il 20 settembre la decisione del Parlament di Barcellona di indire un referendum per l’indipendenza della Catalogna il primo ottobre. La Costituzione del 1978 afferma che «la sovranità nazionale appartiene al popolo spagnolo, cui emanano i poteri dello Stato» e la forma politica «è la monarchia parlamentare». La Carta fondamentale sancisce «l’unità indissolubile della nazione spagnola, patria comune ed indivisibile di tutti gli spagnoli, riconoscendo e garantendo il diritto all’autonomia». L’articolo 9 recita poi che «i cittadini e i poteri pubblici sono soggetti alla Costituzione e al resto dell’ordinamento pubblico». Le revisioni costituzionali di ampio respiro o sui principi generali sono regolate dall’articolo 168 e prevedono una maggioranza dei due terzi di ciascuna delle due Camere seguita dallo scioglimento delle Cortes. Tocca poi alle nuove Camere, una volta ratificata la decisione, lo studio del nuovo testo costituzionale, da approvare di nuovo con una doppia maggioranza dei due terzi. Una volta approvata la riforma, si procede a un referendum per la ratifica definitiva. La Corte costituzionale ha bocciato all’unanimità, dichiarandolo nullo e incostituzionale, il referendum in quanto il parlamento catalano «si è arrogato attribuzioni sulla sovranità superiori a quelle derivanti dall’autonomia riconosciuta dalla Costituzione, insistendo per introdurre nell’ordinamento giuridico con apparente validità un oggetto specifico: il presunto ‘processo costituente’ in Catalogna, la cui incostituzionalità» è stata dichiarata numerose volte dallo stesso tribunale. La Costituzione, ricorda infine la Corte, non permette di «contrapporre la legittimità democratica e la legalità costituzionale» privilegiando la prima. Quindi «la legittimità democratica del parlamento della Catalogna non può opporsi al primato senza condizioni della Costituzione».

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Indipendentismi d’Europa

Oggi è il turno del referendum catalano, nel 2014 c’era stato quello in Scozia, nel 2010 il Belgio sembrò sull’orlo di un divorzio tra fiamminghi e valloni: sono gli esempi più recenti di come separatismi e indipendentismi attraversano ancora l’Europa, simili a fiumi carsici che di tanto in tanto riemergono in superficie. Oltre alla Catalogna – in questo momento sotto i riflettori dell’attualità – ecco una mappa delle altre aree dell’Unione europea a più forte trazione ‘localistà. * SCOZIA – Nel 2014, un referendum ha respinto la secessione dal Regno Unito con il 55%. Ora i separatisti vorrebbero tornare alla carica ma la premier Nicola Sturgeon ha rimandato una seconda consultazione a dopo la Brexit. Sentimenti separatisti e indipendentisti animano anche frange della popolazione nel Galles e nell’Irlanda del Nord. * BELGIO – La spaccatura tra le due identità di fiamminghi, di lingua olandese, e valloni, francofoni, riemerge a ogni tornata elettorale. Tra il 2010 e il 2011 il Paese è rimasto 18 mesi senza governo. È il re a mantenere di fatto l’unità dello Stato. * PAESE BASCO – Dopo aver rinunciato alla violenza nel 2011, il gruppo indipendentista dell’Eta ha consegnato il suo arsenale l’8 aprile di quest’anno. 43 anni di lotta armata contro lo stato spagnolo, iniziata alla fine della dittatura franchista, hanno fatto 829 morti. Ora si punta ad una maggiore autonomia della regione. * CORSICA – A maggio l’Assemblea Corsa ha votato una legge che ha fatto della lingua regionale la seconda lingua ufficiale dell’isola, dopo il francese. «La lotta di liberazione nazionale non è finita», ha annunciato il Fronte di Liberazione Nazionale della Corsica (Flnc) ancora quest’estate. * SLESIA – Anche la Polonia ha i suoi separatisti, nella regione meridionale della Slesia, fortemente industrializzata, germanizzata nel Medioevo e dove si parla una lingua a sé. Il Movimento per l’autonomia della Slesia è arrivato a prendere circa il 9% alle elezioni regionali nel 2010. In Italia, al di là delle pagliacciate leghiste, esiste una tradizione indipendentista, piuttosto sfaccettata, in Sardegna, Sicilia e Alto Adige che meriterebbe un articolone a parte.

 

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