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Lavoro nero, a che punto sta la causa contro viceministra Bellanova

Lavoro nero. Una storia di tre anni fa che lo scandalo dei portaborse ci ha fatto ricordare. Un addetto stampa promosse un ricorso contro l’allora sottosegretaria al lavoro di Renzi. Ma come procede il processo?

di Checchino Antonini

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Lo scandalo dei portaborse tornato alla ribalta fa tornare alla mente una storia raccontata da Popoff tre anni fa. Lei dirigente del Pd di Lecce, lui il suo addetto stampa. Per tre anni lavora in nero per lei e per il segretario provinciale del Pd. Ora lei fa parte del governo Renzi, l’altro è deputato. E la causa civile procede al rallentatore, come spiega Maria Lucia Rollo, l’avvocata di Maurizio Pascali, così si chiama il lavoratore che ha denunciato Teresa Bellanova, madrina del jobs act, sottosegretaria al Lavoro con Renzi, promossa poi, il 29 gennaio 2016, all’incarico di viceministro allo sviluppo economico. La vicenda è al centro di una causa civile che procede a rilento: «un testimone l’anno – prosegue Rollo – 3 dal 2014, su un totale di 20. La prossima udienza, per il quarto testimone, è calendarizzata a maggio 2018». E il giudice ancora non si pronuncia sulla richiesta di un interrogatorio formale della nota esponente politica pugliese.

L’uomo da quattro euro

Quattro euro al giorno per 39 mesi di lavoro. Lui, l’uomo da quattro euro, è Maurizio Pascali, 48 anni di cui 27 da precario. Nel 2010 comincia a lavorare per il Coordinamento provinciale di Lecce del Pd. Fino a giugno 2013 si occuperà, in maniera piena ed esclusiva, della redazione di comunicati stampa, interventi d’aula, materiale elettorale per le consultazioni politiche ed amministrative e per tutte le primarie di partito e di coalizione. Curerà la comunicazione interna del partito e presterà la sua attività in favore dei circoli del PD presenti sul territorio. Curerà e gestirà, inoltre, i rapporti con gli organi di stampa, le agenzie e le testate giornalistiche locali, regionali e nazionali, tanto per conto del partito, quanto, più specificatamente, per conto di Teresa Bellanova e Salvatore Capone (all’epoca Segretario provinciale del PD di Lecce). Tutto questo senza aver formalizzato alcun contratto, ma con una fintissima Partita Iva in aperta violazione delle leggi. Perfino della tremenda Legge Fornero. «E dire – commenta Rollo – che, gli onorevoli, per “regolarizzare” il rapporto di lavoro di Maurizio avevano a disposizione ben 46 forme di contratti di lavoro “atipici”, prodotti in questi anni dal Parlamento, in molti casi con l’apporto determinante del loro stesso partito).

Teresa Bellanova, brindisina, classe ’58, si vanta di aver iniziato a fare sindacato a 15 anni contro il caporalato, all’epoca era bracciante, ma un caporale, a Rosarno, a Nardò o in altre piazze dell’oro rosso, paga i suoi schiavi anche 25 euro al giorno. Una carriera tra le categorie della Cgil e gli organigrammi del Pci e suoi derivati. D’alemiana, meglio nota come Santa Teresa della Scarpa (a Lecce c’è San Francesco della Scarpa) perché, nella sua attività sindacale nel comparto del tessile e calzaturiero, è sempre riuscita ad alimentare un welfare di ammortizzatori sociali che le è fruttato in termini di voti.

L’altro deputato viene dal mondo cattolico. Leccese del 1967, lavorava in una onlus che si occupava di commercio equo e solidale. Fu uno dei primi sindaci eletto con il maggioritario, a San Cesario, e per vent’anni ha fatto l’amministratore, vicepresidente e poi assessore della Provincia di Lecce. Nel frattempo è entrato nei Ds e ha iniziato a scalare i vertici di quel partito e delle sue involuzioni fino ad diventare coordinatore provinciale Pd. Eletto per la prima volta nel 2013 alla Camera.

Quando nel Pd salentino cambiano gli equilibri salta il lavoro di Maurizio, l’uomo da quattro euro.

Ma Bellanova e Capone, su carta intestata di Montecitorio, si sperticano in lodi per l’ex collaboratore: «In qualità di deputata ho potuto avvalermi della sua preziosa collaborazione che si è dimostrata fondamentale per l’esercizio delle mie funzioni di rappresentante istituzionale, grazie a una capillare diffusione della mia attività politica sia sulla stampa locale che sulle più importanti testate giornalistiche nazionali», scriveva Bellanova il 21 settembre 2013 piuttosto soddisfatta di aver potuto «verificare… le sue competenze professionali, le spiccate abilità nell’organizzazione del lavoro e nel coordinamento del lavoro di equipe». Puntualità, professionalità, fiducia, stima e bla, bla, bla. Di seguito l’allegato della dichiarazione.

L’articolo di Popoff che ha dato origine alla polemica

memorie conciliative Bellanova Capone

dichiarazioni Bellanova Capone

E non è da meno il Capone che riferisce della «sua dedizione al lavoro» e dell’«alta professionalità» mentre descrive le mansioni svolte dall’uomo da quattro euro. Per gli amatori di questo genere di letteratura rimandiamo al pdf della dichiarazione.

L’ingrato ex collaboratore, però, decide di fare causa. A maggio la sua legale presenta istanza di conciliazione presso la Direzione territoriale del Lavoro, nei confronti del Pd di Lecce e di Bellanova e Capone, per il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato e dei crediti di lavoro derivanti; conciliazione a cui hanno aderito i due parlamentari, ma non il Pd provinciale.

«In verità – riprende Rollo – la “adesione” alla conciliazione è stata alquanto singolare, infatti i due parlamentari in quella sede, lungi dall’avanzare una proposta conciliativa, hanno presentato delle memorie da toni sprezzanti, da cui abbiamo appreso che Maurizio avrebbe “collaborato, a titolo meramente autonomo, esclusivamente con il Coordinamento provinciale”; che il Sottosegretario Bellanova, “utilizzando i locali della sede della federazione del PD, aveva occasione di incontrarvi il Dr. Pascali e di interfacciarsi con esso su qualche vicenda che riguardava l’attività politica del PD” e che “può essere capitato, come per gli altri dirigenti, di aver discusso (ovvero condiviso) con il Dr. Pascali un comunicato stampa”. Resta da capire perché parlamentari, amministratori e dirigenti del PD avrebbero “discusso (ovvero condiviso)” linea politica e comunicati stampa, quotidianamente per 39 mesi, con una persona – Maurizio – che non solo di quel partito non è mai stato dirigente, ma neanche iscritto. Ma la cosa più grave è che in quelle memorie “conciliative” entrambi gli onorevoli affermano che le dichiarazioni a loro firma – e che attestano inequivocabilmente l’esistenza del rapporto di lavoro – sono state ottenute “con l’inganno ed il raggiro” (affermazioni, queste ultime, rispetto alle quali Maurizio sta valutando l’opportunità di presentare una denuncia penale) e concludono diffidando Maurizio dal proseguire nella sua azione».

La conciliazione si è conclusa con un mancato accordo e, un mese dopo, Maurizio ha ricevuto una raccomandata dalla persona che all’inizio del rapporto lavorativo gli era stata indicata dal Pd come colui che si sarebbe occupato degli adempimenti contabili, fiscali e contributivi derivanti dalla sua posizione. Si tratta di un commercialista che all’epoca era membro della direzione provinciale del Pd e che nel 2011 diventerà anche tesoriere provinciale. Quella raccomandata, dopo quasi quattro anni di totale silenzio, era una parcella cumulativa dei quattro anni fiscali di 15.411,39 euro, a fronte di un reddito imponibile di circa 27 mila euro.

Per concludere, a Maria Lucia Rollo basta una calcolatrice: Maurizio ha lavorato tre anni e tre mesi, accumulando un reddito lordo di 27 mila euro; su questi ha versato contributi alla gestione separata dell’INPS per un totale che supera i 7 mila euro; se si detrae la parcella del “commercialista” restano circa 5 mila euro, e ancora al lordo delle tasse. Poco più di 4 euro lordi al giorno.

Il mistero della firma

Appena uscito l’articolo, a settembre del 2014, una giornalista de “il Fatto”, che aveva letto l’articolo di Popoff, ha parlato con l’avvocata di Pascali, Maria Lucia Rollo, e subito dopo avrebbe ricevuto una diffida dall’avvocato della Bellanova che le ha detto di aver ricevuto mandato per tutelare l’onorabilità dell’onorevole, «lesa dalle fantasiose ricostruzioni giornalistiche». Il pezzo è uscito comunque. Sui social network un giornalista locale, molto vicino al Pd, ha commentato il nostro articolo scrivendo che «di storie così ce ne sono molte in giro in tutti gli schieramenti politici (nei partiti e nelle istituzioni). Conosco (bene) e da molti anni tutti i protagonisti (“carnefici” e “vittime”) e ho lavorato e collaborato con loro (da “collega” e da “collaboratore”). Chiedo solo ai colleghi e alle colleghe di stare attenti anche “durante” il lavoro e di rivendicare i propri diritti mentre si scrivono i comunicati e si discute la linea politica. Il giornalismo (in tutte le sue forme) è una droga e a volte commettiamo errori per “trovarla”. So che Maurizio Pascali non voleva strumentalizzare questa faccenda. L’articolo di questo sito (almeno nel tono) di certo non aiuta! E il mio amico “comunista” finirà sul Libero e il Giornale». Un collega di una tivvù locale, invece, solidarizza con Pascali (peraltro affermando che ciò che dice Maurizio risponde al vero e che lui lo ha visto lavorare per il Pd). Dai principali quotidiani della zona, l’avvocata si sarebbe sentita dire che la vicenda non è abbastanza interessante.

All’epoca cercammo di contattare Teresa Bellanova per un’intervista. «Le faremo sapere, ma lo sa quanti impegni ha una sottosegretaria?», dissero al ministero, ma è una storia che abbiamo raccontato attraverso le carte (che alleghiamo anche a questo articolo). Dopo un mese la vicenda ebbe anche una coda televisiva.

Snobbata dai compiacenti giornali locali, questa storia – scoperta da Popoff  – è stata ripresa da un programma di La7, la Gabbia, e dal Fattoquotidiano che titolava senza esitare: «Governo, Bellanova e la bugia sulla firma: “Non è mia”. Ma aveva detto il contrario». A nulla sono servite le minacce del legale nominato dai due esponenti del Pd, Bellanova e Savatore Capone.

Il colpo di scena televisivo consiste nel fatto che l’allora sottosegretaria, dopo aver ammesso in sede di (mancata) conciliazione, di aver scritto una lettera di ottime referenze per lo stesso Pasquali, nell’intervista trasmessa ha negato che quella possa essere la sua firma. Qual’è la bugia, quella davanti alla commissione o quella davanti alle telecamere?

Ecco il passaggio tv: “Questa è la sua firma? È la sua firma o no?”. “Io non lo so, se lei è in grado di dimostrare che quella è la mia firma, faccia”. “Sottosegretario, è la sua firma o no?”. “Non è la mia firma. No. Non è la mia firma”. La terza versione fornita dalla Bellanova nel giro di poche settimane. All’epoca prese posizione in favore del lavoratore solo il portavoce dell’Opposizione in Cgil, “Il sindacato è un’altra cosa”, Sergio Bellavita poi uscito dalla Cgil per entrare in Usb.

 

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