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Parla Cesare Battisti: «Stanno inventando personaggio che non esiste»

Cesare Battisti rilascia un’intervista al Gr1, si difende e fa autocritica sulla lotta armata. I dubbi sui processi spinsero molti intellettuali a solidarizzare con lui. Le tappe della vicenda

di Checchino Antonini

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«Si stanno inventando un personaggio che non esiste. Mi stanno trattando come uno di quei capi che oggi dovrebbero avere 80 anni e anche così non c’è stata tutta questa violenza che loro dicono». Cesare Battisti risponde all’inviato del Gr1 e torna ad accusare l’Italia. «Qualcuno ha voluto portarmi alla frontiera con la Bolivia, È stata una trappola. Era tutto organizzato. Io qui in Brasile sono accettato da tutti, tutti mi vogliono bene», aggiunge l’ex leader dei Proletari Armati per il Comunismo, secondo il quale «nel plenario (dell’Alta Corte brasiliana, ndr) ci sono diverse voci, molte delle quali sono a mio favore».

E al giornalista che gli ricorda la condanna all’ergastolo dei tribunali italiani per quattro omicidi, due commessi materialmente e due in concorso, tra cui quello del gioielliere Pierluigi Torreggiani, risponde: «Io ho lettere di Alberto Torreggiani dove lui dice testualmente che non ha nessun dubbio sul fatto che io non ho nulla a che vedere con la morte del padre». Tornato in libertà, seppure con qualche vincolo, Battisti afferma che in Brasile è «stato accettato da tutti, tutti mi vogliono bene e si occupano di me». Tuttavia «mi manca molto l’Italia». «Forse ci tornerò in vacanza, così per rivedere i posti», conclude.

«Faccio autocritica sull’uso della lotta armata. È stato un suicidio. È stata una cosa che non poteva dare risultati buoni per nessuno», dice ancora da Cananéia da dove attende il pronunciamento rinviato alla prossima settimana sulla richiesta di Habeas Corpus presentata dai suoi legali. «Come si può essere soddisfatti o fieri di tanta violenza, tanti omicidi e tanto sangue da una parte o dall’altra», afferma. «È chiaro che ho compassione per le vittime. Ho 62 anni, ho dei figli e sono nonno».

Battisti non nega di aver fatto parte di questa guerra, «ma fortunatamente – sostiene – ne sono uscito prima che cominciassero gli omicidi nel mio gruppo». Il pentimento riguarda anche il periodo in cui ha fatto parte dei Proletari Armati per il Comunismo perché, afferma ancora Battisti, «anche indirettamente ho partecipato a delle idee che hanno portato a una follia, a un delirio, a una strada senza uscita».

Ancora un nulla di fatto, intanto, sul piano giudiziario, dove ieri la prima sezione della Corte suprema avrebbe dovuto pronunciarsi oggi sulla richiesta di ‘habeas corpus’ presentata dai legali dell’ex terrorista per evitarne l’estradizione in Italia. Ma il giudice relatore del caso, Luiz Fux, all’ultimo minuto ha deciso di ritirare l’argomento dall’ordine del giorno «per motivi processuali», rinviando il tutto a data da definirsi. Un possibile slittamento era peraltro già nell’aria, dopo che la procura generale in giornata aveva chiesto più tempo. Fux ha anche trasformato la richiesta di esame dell’habeas corpus in ‘reclamacao’, in un ricorso cioè che potrebbe riaprire la vicenda processuale richiamando le parti in causa a comparire nel procedimento. E non ha fissato, per il momento, una nuova data per il pronunciamento della Corte sulla questione. Ma non basta. Alcuni giudici supremi sostengono che lo spinoso dibattito andrebbe affrontato dalla Corte suprema al suo completo, ovvero da tutti i suoi undici componenti, e non solo dai cinque membri della prima sezione. Questo scenario è sostenuto anche dall’avvocatura dello Stato, che rappresenta il governo in giudizio. E che oggi ha preso carta e penna e scritto una lettera all’Alta Corte sottolineando che l’ultima parola sulla decisione dell’estradizione dell’ex terrorista dei Pac in Italia spetterà comunque al presidente della Repubblica Michel Temer. Che può rivedere il ‘no’ all’estradizione deciso nel 2010 dal suo predecessore, Luiz Inacio Lula da Silva. «L’estradizione è un atto eminentemente politico», hanno precisato i legali della presidenza nella missiva, spiegando che «le circostanze che giustificavano la decisione di non estradarlo possono modificarsi con il passare del tempo». Dalla presidenza brasiliana si ribadisce, quindi, l’intenzione di riconsegnare Battiti all’Italia. Ed è proprio su questo timore che si basa la richiesta, insistente, dell’habeas corpus da parte degli avvocati dell’ex terrorista. La difesa dell’ex membro dei Proletari armati per il comunismo afferma infatti che, essendo l’estradizione stata respinta da Lula nel 2010 ed essendo trascorsi da allora cinque anni, non ci sono più spazi per rivederla. Insomma, una complicatissima vicenda processuale e politica, che continua a non trovare un punto di svolta. Un altro tribunale, quello regionale federale della terza Regione con sede a San Paolo, ha confermato la libertà vigilata che era stata concessa a Battisti all’indomani dell’arresto a Corumbà, al confine della Bolivia, in quello che era stato letto come un tentativo di fuga. L’italiano resta fuori dal carcere, ma con l’obbligo di presentarsi in tribunale a scadenze prefissate e di indossare il braccialetto elettronico. E da Cananeia, sul lungomare di San Paolo, dove ha stabilito la propria residenza, Battisticontinua a dire la sua: «Se pensassi di fuggire dal Brasile, costruirei qui una casa per viverci insieme alla mia famiglia?», ha chiesto polemicamente in un’intervista al giornale locale ‘Brasil de Fatò.

Il 10 febbraio 2004 la polizia francese arresta Cesare Battisti, scrittore italiano reduce degli “anni di piombo”, da tempo esule a Parigi. La capitale francese l’ha accolto in base alla celebre “Dottrina Mitterrand”, che da vent’anni garantisce diritto d’asilo ai fuggiaschi della lotta armata, purché rinuncino alla clandestinità e alla violenza politica. Ora, a chiedere la sua estradizione per delitti avvenuti nel 1979 è il ministro della giustizia Castelli. Il governo di centro-destra francese vorrebbe accontentarlo, ma moltissimi intellettuali si mobilitano a difesa della “Dottrina Mitterrand”.

E’ ancora il caso di ricordare, in maniera sintetica, i motivi per cui, nel 2004, venne lanciato un appello contro l’estradizione di Cesare Battisti dalla Francia (lo firmai io stesso, all’epoca ero redattore di Liberazione, e fui sbattuto in prima pagina da quei galantuomini di Libero, con molti altri, come fiancheggiatore del terrorismo».

Si diceva dei dubbi su un processo maturato nel clima mefitico della stagione dell’emergenza. Quando Battisti subì il primo processo, nel 1981, fu condannato a 12 anni di prigione per possesso di armi e associazione sovversiva. La pena risultò pesante perché aumentata da finalità terroristiche. Evase e fuggì in America Latina. Le condanne successive all’ergastolo avvennero in contumacia grazie al fatto che una serie di “pentiti” dei PAC gli appiccicarono tutti i crimini compiuti dall’organizzazione. Solo poco a poco ammisero che certi delitti li avevano commessi loro. Il pentito principale, Pietro Mutti, smentì più volte se stesso e forse alcune cose le ammise sotto tortura (vedi qui). Le sue rivelazioni sarebbero tutte di seconda o di terza mano. Disse di aver visto di persona Battisti uccidere il direttore del carcere di Udine, Santoro, ma dagli atti giudiziari non risulta possibile. Mutti avviò anche la “pista veneta”, che vedeva l’OLP di Arafat quale sponsor delle Brigate Rosse. Vicolo cieco. Mutti fece arrestare tale Sisinnio Bitti. Lo aveva ascoltato, in un bar, dirsi d’accordo con l’omicidio del gioielliere Torregiani. Bitti fu arrestato e sottoposto a percosse che gli lesero l’udito. Successivamente fu catturato di nuovo e subì anni di prigione. Ciò per la frase al bar, udita da Mutti. A parte l’incrocio tra pentiti e dissociati, non esiste alcun riscontro ulteriore che accusi Battisti.

«Battisti è innocente? – s’è chiesto anni dopo lo scrittore Valerio Evangelisti su il manifesto – Non possiamo affermarlo. Di una serie di azioni armate, inclusi azzoppamenti e atti gravi, fu sicuramente responsabile, e non lo ha mai negato. Ci limitiamo a notare che: il caso che gli viene più di frequente attribuito, l’omicidio Torregiani, è l’unico che sicuramente non lo vide presente. I colpevoli furono arrestati poco dopo il delitto. Battisti, accusato del simultaneo omicidio Sabbadin, fu tirato in ballo molto più tardi, per avere partecipato alla riunione che decise i due attentati. Battisti fu condannato in contumacia, e mai più potrà rispondere dei suoi presunti crimini. La legge italiana, unica in Europa, non prevede una ripetizione del processo, qualora il contumace sia catturato. Se estradato in Italia, verrebbe sottoposto al famigerato articolo 41 bis, riservato a terroristi e mafiosi. Fra i motivi di riluttanza delle autorità brasiliane all’estradizione, c’è il fatto che lì la colpa si estingue in vent’anni di buona condotta. Da noi in trenta, e non è detto.

La legislazione brasiliana non contempla l’ergastolo, ritenuta sanzione disumana, al pari della pena di morte».

Una volta lasciata l’America Latina, si era stabilito in Francia, aveva messo su famiglia. Conduceva una vita modesta e tranquilla. Non era un pericolo per nessuno. Un governo di destra revocò d’un tratto la “dottrina Mitterrand” che cpncedeva asilo agli ex militanti italiani, quasi 200, che avevano rinunciato alla lotta armata.

Il 10 febbraio 2004 la polizia francese arresta Cesare Battisti. All’epoca faceva il portiere di un caseggiato e il pretesto è l’aggressione mai avvenuta di un inquilino di uno stabile vicino. Ora, a chiedere la sua estradizione per delitti avvenuti nel 1979 è il ministro della giustizia di Berlusconi, il leghista Castelli. Il governo di centro-destra francese vorrebbe accontentarlo, ma moltissimi intellettuali si mobilitano a difesa della “Dottrina Mitterrand”. Così fugge ancora, va in Brasile, finisce ancora in carcere. Il ministro Tarso Genro gli concede un motivato asilo politico. Il presidente uscente Lula lo conferma l’ultimo giorno del suo mandato. «La nuova presidentessa Dilma Roussef manda gentilmente a cagare Napolitano, che reclama l’estradizione del super-mega-terrorista», ricorda Evangelisti.  Ma il vice-presidente del Supremo Tribunale brasiliano, César Peluso, rifiuta di ottemperare agli ordini di Lula e di liberare Battisti. Chiede che si riunisca il Supremo Tribunale, disperso dalle vacanze. Lo stesso tribunale che aveva demandato al presidente del Brasile ogni decisione finale. Ieri come oggi, inveiscono contro di lui personaggi bipartisan abituati ad avallare le guerre più orrende e i crimini efferati del liberismo, incapaci di indignarsi per una sfliza pluridecennale di governi e magistrature che non hanno mosso un dito nemmeno contro i criminali di guerra nazisti.

 

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