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Armi in Usa: chi le compra, chi viene ammazzato, chi non controlla

Usa, 100 morti al giorno, due su tre sono suicidi. Perché sono state vendute più armi ai tempi di Obama. Solo l’1% serve a difendersi

di Nicolò Scarpat

La diffusione delle armi da fuoco

Durante gli anni della presidenza di Obama (2009-2016), si è assistito a un boom della produzione, importazione e vendita di armi da fuoco negli Stati Uniti: il picco è stato raggiunto nel 2013, con oltre 10 milioni di armi fabbricate e 5 milioni di armi importate in un solo anno, mentre i soldi spesi dagli statunitensi in armi e munizioni sono stati pari a 46 miliardi di dollari dal 2009 al 2016, più che durante le presidenze di Clinton e Bush sommate.

Tale aumento è attribuibile a due fattori: da un lato, paradossalmente, la posizione politica di Obama, favorevole all’approvazione di leggi maggiormente restrittive sul possesso di armi da fuoco, pur non traducendosi effettivamente nell’adozione di nuove restrizioni a causa della mancanza di una maggioranza favorevole al Congresso, si è tradotta in un forte aumento degli acquisti da parte degli statunitensi che temevano future restrizioni alle vendite; dall’altro lato, le sparatorie di massa in luogo pubblico, che si sono verificate con accresciuta frequenza durante gli otto anni di Obama (al cinema di Aurora e alla scuola elementare di Newtown nel 2012, a San Bernardino nel 2015 e a Orlando nel 2016, solo per ricordarne alcune) sono costantemente associate a un aumento delle vendite a causa del timore per la sicurezza personale che generano nella popolazione.

Seppur salutata con favore dalla lobby delle armi, l’elezione di Trump nel novembre 2016 ha altrettanto paradossalmente portato all’interruzione dell’aumento delle vendite e all’inizio di una contrazione del settore.

L’immissione di un’enorme quantità di nuove armi sul mercato civile ha portato il numero di armi da fuoco in mani civili negli USA, già il più alto pro capite al mondo, a nuovi record, sebbene il numero esatto sia sconosciuto a causa della mancanza di un sistema nazionale di registrazione: si stima comunque che le armi in mani civili siano almeno 270 milioni, ovvero più di una per ogni abitante adulto. Ciò non significa, però, che ogni adulto possieda effettivamente almeno un’arma, dato che la proprietà delle armi da fuoco è fortemente concentrata nelle mani di una minoranza: secondo i principali sondaggi, gli adulti che hanno un’arma in casa (di proprietà loro o di un altro membro della famiglia) sono tra il 30% e il 40% della popolazione adulta, e coloro che possiedono personalmente un’arma sono tra il 20% e il 30%.

Oltretutto, tali percentuali sono in calo rispetto agli anni Settanta, principalmente a causa della diminuzione della popolarità delle armi lunghe per la caccia, mentre la popolarità del possesso di armi corte per la difesa personale è in ascesa. Anche tra i proprietari la distribuzione delle armi è estremamente diseguale: metà delle armi civili negli Stati Uniti sono possedute da appena il 3% della popolazione adulta, ovvero 7,6 milioni di persone che possiedono una media di 17 armi a testa. Circa metà dei proprietari, d’altro canto, possiede solo una o due armi ciascuno.

Le vittime delle armi da fuoco: 120.000 morti e feriti nel 2015

La ricerca evidenzia la gravità del problema provocato dalla proliferazione delle armi in mani civili negli Stati Uniti: la violenza con armi da fuoco è considerata dagli epidemiologi un ampio e costoso problema di salute pubblica negli USA.

Nel 2015, ultimo anno per cui sono disponibili dati definitivi, 36.252 persone (quasi 100 al giorno) sono morte negli Stati Uniti per ferite da armi da fuoco. Nonostante l’attenzione si concentri solitamente sugli omicidi con armi da fuoco, quasi due terzi degli oltre 36.000 morti (22.018) sono suicidi, mentre più di un terzo (12.979) sono omicidi. Vi è poi un numero più piccolo, ma non trascurabile, di morti in interventi legali da parte delle forze di polizia (484) e in incidenti non intenzionali (489).

Nonostante il tasso di morti per arma da fuoco (ovvero il numero di morti ogni 100.000 abitanti) si sia ridotto di un terzo negli anni Novanta, esso resta eccezionalmente alto rispetto agli altri Paesi ad alto reddito membri dell’OCSE: il tasso di morti con armi da fuoco negli USA è 10 volte più alto della media degli altri Paesi, a causa di un tasso di omicidio con armi da fuoco che è 25 volte più alto, di un tasso di suicidio con armi da fuoco che è 8 volte più alto e di un tasso di incidenti non intenzionali con armi da fuoco che è 6 volte più alto.

Circa il 70% degli omicidi e il 50% dei suicidi sono compiuti con armi da fuoco negli USA, contro meno del 20% degli omicidi e il 5% dei suicidi negli altri Paesi. Se ai morti aggiungiamo i feriti, le persone colpite da proiettili nel 2015 risultano essere oltre 120.000: vi sono stati infatti 62.896 feriti in aggressioni, 17.311 feriti in maniera non intenzionale, 3.878 feriti in tentativi di suicidio e 912 feriti in un intervento legale, per un totale di 84.997 feriti. Se guardiamo l’evoluzione del tasso di morti e feriti negli ultimi anni, osserviamo alcune preoccupanti tendenze: il tasso di feriti in aggressioni è fortemente aumentato dal 2001 al 2015 (+36%). Il tasso di omicidi con armi da fuoco, pur essendosi dimezzato dal 1993 al 2014, ha subito un brusco aumento del 30% dal 2014 al 2016, tale da provocare un aumento del 20% del tasso di omicidio in generale, nonostante il tasso di omicidi senza armi da fuoco sia invece rimasto stabile.. L’aumento ha riguardato soprattutto alcune grandi città: esemplare il caso di Chicago, che ha avuto un aumento del tasso di omicidi del 58% nel 2016; nonostante la popolazione di Chicago sia paragonabile a quella di Roma, nel 2016 la sola Chicago ha avuto quasi il doppio degli omicidi di tutta l’Italia (764 omicidi a Chicago, di cui il 90% con armi da fuoco, contro 397 in tutta Italia).

Infine, anche il tasso di suicidi con armi da fuoco è in forte e continuo aumento dal 2006 ad oggi. Complessivamente, il tasso di morti con arma da fuoco nel 2015 è il più alto dal 1997, a causa di un tasso di suicidi con armi da fuoco che è il più alto dal 1995 e a un tasso di omicidi con arma da fuoco che è il più alto dal 2008. L’enorme problema di salute pubblica provocato dalla diffusione delle armi, che si stima costi agli USA l’1% del PIL all’anno, non è compensato da significativi benefici, se si considera che il motivo più spesso citato per il possesso di armi è la difesa personale, ma le armi vengono usate per difendersi solo nell’1% dei casi dalle vittime di crimini violenti, mentre gli omicidi in legittima difesa costituiscono solo il 2,7% del totale degli omicidi con armi da fuoco.

La situazione è generalmente molto grave, ma l’intensità del problema varia nei 50 diversi stati degli USA e nei diversi gruppi demografici (per età, sesso e razza/etnia). Per esempio, gli stati del Sud hanno tassi di omicidio con arma da fuoco superiori alla media statunitense, mentre gli stati dell’Ovest hanno un più alto tasso di suicidio con arma da fuoco.

Gli omicidi con armi da fuoco colpiscono sproporzionatamente la popolazione afroamericana di giovane età, a causa di condizioni di svantaggio strutturale (più alti tassi di povertà, disoccupazione e famiglie monogenitoriali) e alla concentrazione di tali condizioni in alcune aree urbane altamente segregate.

I suicidi con arma da fuoco, per contrasto, colpiscono sproporzionatamente la popolazione bianca di età avanzata (dai 40 anni in su), che è colpita da tassi in crescita non solo di suicidio, ma anche di morte per droghe e alcool, probabilmente a causa di condizioni di crescente insicurezza economica. Quasi metà delle 187.932 vittime di omicidio con armi da fuoco dal 2000 al 2015 sono afroamericani maschi (quasi metà dei quali di età compresa tra 20 e 29 anni), nonostante questi costituiscano solo il 6% della popolazione. Per contrasto, circa il 75% delle 297.042 vittime di suicidio con armi da fuoco dal 2000 al 2015 sono bianchi maschi (due terzi dei quali con più di 40 anni), nonostante questi costituiscano poco più del 30% della popolazione.

Le leggi sul controllo delle armi

La diversa gravità del problema nei 50 diversi stati degli USA dipende anche dalla differente percentuale di proprietari di armi da fuoco: in genere, gli stati con una più alta percentuale di proprietari (nel Sud e nell’Ovest) tendono ad avere un più alto tasso di morti con arma da fuoco, mentre gli stati con una più bassa percentuale di proprietari (nel Nordest e sul Pacifico) tendono ad avere un più basso tasso di morti con arma da fuoco. C’è quindi una correlazione, confermata da numerosi studi, tra diffusione delle armi e morti per arma da fuoco.

Gli oppositori del controllo delle armi da fuoco sostengono che coloro che intendono uccidere o uccidersi si procurerebbero comunque uno strumento per farlo, anche se non avessero a disposizione armi da fuoco. Nei fatti, tuttavia, il tipo di strumento a disposizione non è indifferente, poiché la letalità delle armi da fuoco (la percentuale di morti sul totale dei feriti) è superiore a quella di ogni altro strumento utilizzato negli omicidi o nei suicidi, come armi da taglio o avvelenamento.

In effetti, i dati mostrano che gli Stati Uniti non sono un Paese eccezionalmente violento, ma un Paese in cui la violenza è particolarmente letale: non hanno tassi particolarmente alti di crimini violenti come aggressioni e rapine, ma tali crimini si concludono spesso con la morte della vittima a causa del frequente uso di armi da fuoco.

Un altro fattore cruciale sono le leggi sulle armi da fuoco: gli stati degli USA con più alte percentuali di proprietari e più alti tassi di morti per arma da fuoco tendono ad avere leggi sulle armi da fuoco meno restrittive, mentre gli stati con leggi più restrittive hanno più basse percentuali di proprietari e più bassi tassi di morti.

La situazione legislativa varia infatti molto da stato a stato: in base alle leggi federali, l’unica forma di regolamentazione della vendita di armi vigente in tutti gli stati prevede che i venditori autorizzati non possano vendere armi a categorie di persone pericolose come condannati, consumatori di sostanze illecite e malati mentali. A livello dei diversi stati, osserviamo invece tendenze contrastanti: da un lato, negli ultimi anni alcuni stati come California e New York hanno adottato leggi più restrittive, per esempio estendendo alle vendite tra privati le stesse regole valide per le vendite presso i venditori autorizzati, o proibendo la vendita di armi particolarmente letali come certe armi semiautomatiche e caricatori con più di dieci colpi, frequentemente utilizzati nelle sparatorie di massa in luogo pubblico. Dall’altro lato, negli ultimi decenni è avvenuta una liberalizzazione del porto di armi nascoste nei luoghi pubblici: numerosi stati hanno reso più facile l’ottenimento delle licenze di porto d’armi nascoste oppure hanno abolito del tutto la necessità di una licenza apposita, ed anche le leggi sulla legittima difesa nei luoghi pubblici sono state ampliate in molti stati.

All’interno di questo quadro legislativo frammentato risulta che né la legge federale, né le leggi statali (con la sola eccezione del New Jersey) proibiscono di acquistare armi da fuoco ai sospettati di terrorismo: tra il 2004 e il 2015, il 91% delle persone presenti nella lista di sospettati di terrorismo dell’FBI che hanno cercato di acquistare armi da fuoco hanno potuto superare i background checks e acquistarle legalmente (2.265 persone in totale).

Nonostante l’inazione del Congresso federale, che dal 2008 non approva nuove leggi sulle armi da fuoco, la battaglia tra sostenitori e oppositori del controllo delle armi prosegue dunque nei diversi stati.

(sintesi del paper pubblicato nel “Sistema Informativo a Schede”, Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo IRIAD , Settembre 2017)

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