Palazzo Ducale di Genova propone la mostra Rubaldo Merello tra divisionismo e simbolismo. Segantini, Previati, Nomellini, Pellizza
da Genova, Claudio Marradi
Liguria lisergica. Con quel mare blu cobalto e i boschi a picco sulla scogliera, incendiati da un foliage di rosso fosforescente. Tanto che ci sarebbe da farsi venire qualche sospetto sull’origine dell’ispirazione dell’artista, se non fosse che il dottor Hofmann ebbe a sintetizzare la sua invenzione, universalmente nota come Lsd, soltanto nel 1943. Tutta roba naturale, quindi – magari solo il basilico delle tipiche trenette al pesto – per le visioni di Rubaldo Merello e gli altri. Che seppero distillare, in una manciata di anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, immagini di una potenza cromatica inedita, nella corrente artistica che prese il nome di Divisionismo. E che Palazzo Ducale di Genova ripropone nelle sale del Sottoporticato, fino al prossimo 4 febbraio, nella mostra Rubaldo Merello tra divisionismo e simbolismo. Segantini, Previati, Nomellini, Pellizza. (www.palazzoducale.genova.it).
Curata da Matteo Fochessati e da Gianni Franzone, conservatori della Wolfsoniana (una delle realtà più sorprendenti di Genova), la mostra si avvale della collaborazione di un nutrito comitato scientifico composto da Francesca Cagianelli, Maria Flora Giubilei, Dario Matteoni, Eleonora B. Nomellini, Elisabetta Papone, Caterina Olcese Spingardi, Sergio Rebora, Aurora Scotti, Giulio Sommariva, Alessandra Tiddia. Ed è organizzata da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura e promossa dal Comune di Genova e dalla Regione Liguria. Dodici le sezioni che suddividono l’esposizione: Grubicy e il mito di Segantini; Previati e il paesaggio ligure; Nomellini a Genova; Il mare di Nomellini; Pellizza da Volpedo. Verso il paesaggio interiore; Merello. L’ossessione del paesaggio; San Fruttuoso; Le forme dell’acqua; Merello scultore; Merello e il simbolismo; Oltre Merello. A contestualizzare la produzione artistica di quest’ultimo, presentata in 65 dipinti e una trentina disegni e qui allargata anche alla scultura, contribuiscono infatti una decina di opere di Nomellini, cinque di Previati e altrettante di Pellizza, oltre a dipinti di Giovanni Segantini, Vittore Grubicy, Emilio Longoni, Angelo Morbelli, Galileo Chini Guglielmo Lori, Benvenuto Benvenuti, Adriano Baracchini Caputi, Filiberto Minozzi, Guido Cinotti. Gli artisti liguri sono rappresentati da Giuseppe Sacheri, Eugenio Olivari, Antonio Discovolo, Domenico Guerello, Giuseppe Cominetti, Cornelio Geranzani, Alberto Helios Gagliardo e Sexto Canegallo. Una sezione infine è dedicata alla rappresentazione fotografica della riviera del levante ligure, dalle vedute dei luoghi ritratti da Merello: il monte di Portofino, la baia di San Fruttuoso, Camogli, Ruta e Santa Margherita e tutta la costa riscoperta dai pittori divisionisti italiani. Uno scenario naturalistico che compare negli scatti del fotografo tedesco Alfred Noack, uno dei principali protagonisti della fotografia nella seconda metà dell’Ottocento, che documentò le riviere con la stessa passione con la quale Merello fu ossessivamente ispirato dal paesaggio del monte di Portofino e della baia di San Fruttuoso, ritratto in prospettive e tagli uguali o solo leggermente variati, nel suo eremitaggio sulla Ruta di Camogli. Un ritiro dove trovò la necessaria concentrazione per una totale identificazione tra percorso esistenziale e artistico.
Una dimensione di ligusticità che, tuttavia, per troppo tempo ha significato un sigillo di localismo che ne ha in qualche modo “periferizzato” il valore. Assegnando all’intera corrente un posto nella graduatoria delle avanguardie artistiche che solo i capricci della storia dell’arte hanno potuto finora relegare in una posizione di subalternità nei confronti di più note sperimentazioni pittoriche coeve. Ma di cui questa mostra fa giustizia e che, con l’esposizione di un suggestivo “L’ora nostalgica sul Mé-Nam” di Galileo Chini, spalanca imprevedibilmente fino ai paesaggi fluviali della lontana Indocina.