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Venezuela, sulla legittimità di Maduro

Venezuela, la legittimità di Maduro non era stata messa in discussione, se non chiedendo un referendum confermativo, uno strumento voluto da Chávez

di Antonio Moscato

Una delle questioni al centro dei dibattiti in Venezuela è la legittimità del processo elettorale che ha confermato Nicolás Maduro alla presidenza. Basta contare i voti per considerare democratica un’elezione, o si tratta di vedere anche chi ha deciso i tempi del voto (anticipandoli o ritardandoli) e ha deciso una nuova legge elettorale unilateralmente, cioè senza consultare chi rappresenta comunque una parte non trascurabile dei cittadini?

Fino a pochi anni fa si poteva criticare il governo del Venezuela per varie ragioni, soprattutto di politica economica, ma non perché non tenesse elezioni libere e competitive, con spazio per l’opposizione. Elezioni democratiche, perché non si sapeva anticipatamente il risultato, e in cui al massimo si registravano pressioni o l’utilizzazione di risorse statali per conquistare consensi. Di elezioni ce ne erano state molte, e quando il risultato era stato negativo (in un referendum per modificare la sua stessa costituzione), Chávez aveva ammesso francamente l’insuccesso.

L’opposizione di destra invece gridava sempre che c’erano stati brogli, anche se il sistema di voto elettronico era sempre lo stesso e c’erano stati osservatori internazionali prestigiosi designati dal Centro Carter o dalle Nazioni Unite. Ma negli ultimi anni, dopo la morte di Hugo Chávez, c’è stata una svolta. Nel dicembre 2015 l’opposizione momentaneamente riunita aveva avuto un imprevisto successo nelle elezioni dell’Assemblea Nazionale, conquistando il 66% dei deputati, e quindi la possibilità di bloccare il governo e anche di modificare la costituzione. Immediatamente il governo denunciò irregolarità, e utilizzando il Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ) nominato dalla precedente assemblea a fortissima maggioranza chavista, annullò l’elezione di tre deputati nello spopolato Stato di Amazonas, dichiarando poi decaduta l’intera Assemblea, che avrebbe dovuto essere sostituita da una commissione del TSJ. Era un vero e proprio golpe, deciso senza tener conto che nello stesso Tribunale alcuni, anche se vecchi militanti chavisti, non potevano avallare la sostituzione di un parlamento eletto con una commissione nominata dall’alto. La misura fu quindi rapidamente ritirata, ma la Fiscal general (Procuratore generale) Luisa Ortega, scelta dieci anni prima da Chávez, che si era esposta maggiormente nel criticare il tentativo autoritario, fu dichiarata malata di mente e minacciata di arresto, e si esiliò, col risultato che oggi non ci sono solo due presidenti, ma anche due Tribunali supremi di Giustizia…

L’opposizione (che rimaneva, anche senza i tre deputati contestati, in nettissima maggioranza nel parlamento), cominciò a protestare nelle strade, con una violenza estrema, di cui tuttavia non aveva il monopolio, perché si scontrava con l’intervento repressivo sia di settori militari sia di paramilitari come i colectivos armati dal PSUV. Le due parti si accusano di atrocità e di false identificazioni politiche di alcune delle vittime, ma il governo ha concentrato l’attenzione e ha fatto una forte campagna propagandistica su un caso di linciaggio, culminato bruciando vivo uno sventurato chavista.

Comunque fin qui la legittimità della presidenza Maduro non era stata messa in discussione, se non chiedendo un referendum confermativo, uno strumento democratico che proprio Chávez aveva voluto inserire nella costituzione e a cui lui stesso non aveva esitato a sottoporsi, ottenendo un nettissimo successo. Maduro invece ha fatto perdere mesi e anni dicendo di voler controllare a una a una le firme (milioni!) che chiedevano il referendum, che quindi non è mai stato fatto. Con la stessa disinvoltura il governo, tramite i suoi organi di fiducia (CNE e TSJ), ha rinviato di oltre un anno il rinnovo dei governatori delle regioni o Stati, convocando poi l’elezione all’improvviso nel momento in cui era particolarmente diviso il fronte delle opposizioni, che aveva tra l’altro diversi dei suoi leader incarcerati o in esilio, per cui una parte notevole si batté per l’astensione e per i candidati oppositori fu un’ecatombe. Ma l’elemento che rende difficile riconoscere la legittimità dell’elezione di Maduro alla seconda presidenza riguarda una sua trovata bizzarra, che era già stata anticipata senza esito in passato per contrapporre una “camera delle comuni” a quella dei deputati, e spacciandola per qualcosa di simile ai soviet. In quel caso non se ne fece nulla, anche perché le comunas non erano presenti davvero su tutto il territorio nazionale. Ma sempre a una caricatura di soviet si ispira l’Assemblea Costituente annunciata da Maduro in persona il 1° maggio 2017. Non solo non era prevista nella Costituzione voluta da Chávez, ma era stata tirata fuori dal cappello come un coniglio, come una trovata estemporanea, senza una precedente discussione nel paese. Il sistema elettorale era contorto e non era stato minimamente discusso alla base, e tanto meno con le altre forze: una parte dei 564 costituenti è stato eletto per settori (operai, impresari, contadini, invalidi, ecc.) e una parte dai municipi, scelti col criterio di dare uguale rappresentanza tanto a quelli piccolissimi che a quelli con milioni di cittadini. Chiaramente un sistema per ridurre al minimo le opposizioni, maggioritarie nelle grandi città. Ma anche la scelta dei candidati e la delimitazione dello stesso corpo elettorale per le rappresentanze di categoria era incontrollabile e delegata di fatto alle organizzazioni controllate da governo e sottogoverno. In questo modo il madurismo si era garantita la vittoria, qualunque fosse il risultato nella parte di elettorato territoriale. Era così assurdo che senza eccezioni le opposizioni hanno rifiutato la farsa. D’altra parte l’Assemblea Costituente, che avrebbe dovuto modificare parti non specificate della costituzione, non se ne è mai occupata, ma ha votato (sempre all’unanimità e per alzata di mano) tutto quello che il presidente chiedeva, come la destituzione dell’Assemblea Nazionale. La costituzione è rimasta immutata, ma non applicata.

Ecco perché, pur considerando una sciagura la crescita dell’opposizione di destra e socialdemocratica appoggiata da USA e UE, e che a giudizio di diversi compagni presenti il 23 gennaio è riuscita per la prima volta a coinvolgere alcuni dei barrios tradizionalmente chavisti, non me la sento di considerare LEGITTIMA la rielezione di Maduro, avvenuta a carte truccate, anche se gran parte della sinistra latinoamericana continua a basarsi sul criterio: chi è attaccato dal mio nemico, è mio amico. Un criterio che ha fatto non pochi danni in vari periodi e in varie parti del mondo.

Opporsi all’attacco di uno o più paesi imperialisti non deve attenuare la critica al comportamento della vittima designata come capro espiatorio. Siamo stati al fianco dell’Iraq scelto come bersaglio da una “coalizione internazionale”, ma non per questo abbiamo difeso Saddam Hussein (o ritirato le critiche fattegli precedentemente), e così con la Libia, ecc. Abbiamo condannato il loro assassinio senza per questo trasformarli in simbolo della lotta all’imperialismo. In base a questo criterio ho pubblicato il comunicato dei compagni di Marea Socialista,  che condivido.

NOTA. Ho utilizzato largamente per questa nota un articolo di José Natanson, direttore dell’edizione “Cono sur” di “Le Monde Diplomatique”, utilissimo per i dati e la capacità di sintesi. È apparso sulla Revista Anfibia (enero 2019) e su Correspondencia de prensa) e poi su diversi altri siti. Ma a chi volesse sapere di più su queste vicende consiglio di esplorare i molti articoli pubblicati sul mio sito in questi anni, e che al di là delle questioni del funzionamento delle istituzioni, hanno seguito soprattutto le tappe dello sfacelo economico e delle concessioni eccessive fatte da Maduro alle grandi multinazionali petrolifere e minerarie, e perfino a finanziarie come la Goldmann Sachs anche in tempi recentissimi.

2 COMMENTI

  1. Veramente una ricostruzione faziosa, falsa e ipocrita. Non una parola sulla guerra economica, non una parola sulla guerra mediatica, non una parola sui risultati delle elezioni. Congetture miste a falsità. Tutto condito da questo pseudo perbenismo, con un po’ di puzza sotto il naso per lo stile “soviet”. Non c’è problema, non spero nelloccidente: il popolo socialista venezuelano ce la farà a sconfiggere tutti i suoi nemici, interni ed esterni. Come dice delcy Rodriguez “il Venezuela non tornerà mi al modello capitalista”.

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