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L’Angelo azzurro e la gentrification

Mein Blauer Engel, Angelo azzurro: tornano, mescolando gin e triple sec, le parole in fondo al bicchiere dello scrittore-barman

C’è stato un tempo durante il quale si poteva fumare all’interno dei locali pubblici e io ricordo bene l’atmosfera che andava a crearsi da noi alla Bottega del Conte. L’aroma del tabacco, misto al sapore dei liquori, era soltanto l’introduzione a un incantesimo che non si potrà mai più replicare, anche perché io nel frattempo ho smesso di fumare.

Fu la sera di un mercoledì dell’era dei tabagisti, in cui ci riunimmo noi del fiVeclub* a scrivere sulla Lettera22 tutto quello che ci passava per la testa. C’era tanto fumo nel locale che tutti i colori sembravano così patinati da riuscire a distinguere soltanto il bianco e il nero tra tutti quelli illuminati dalla fiamma delle candele. Tutti i clienti erano già stati serviti e io me ne stavo seduto dietro alla macchina da scrivere, con una cicca tra le labbra e il mio fedora in testa, quando la vidi entrare da dietro la porta del locale.

Era alta e dal fisico scultoreo, con una cascata di capelli rossi che ricadeva giù per le spalle fino a quel fondoschiena che sembrava cesellato nel marmo. Abito nero, elegante e impeccabile, un cappellino dello stesso colore, con gli occhi nascosti sotto la tesa, che poi scoprii essere di un azzurro tendente al blu. Attraverso la coltre di fumo, mi parve che gli unici colori intorno a me fossero i suoi. Era una specie di valchiria scesa qui da noi, nel Regno di Hel, quello dei morti secondo la mitologia norrena e per un istante pensai che si fosse materializzata Ashira, uno dei personaggi di cui scriviamo al fiVe. Restai a fissarla per tutto il tempo che le ci volle a raggiungere ancheggiando il bancone davanti a me, che in quel momento sembrava più una scrivania che un tavolo di marmo. Mi si sedette di fronte accavallando le gambe e la cicca quasi non mi cadde dalle labbra. Presi un profondo respiro e la spensi distrattamente nel mio bicchiere di bourbon, per evitare qualsiasi tipo di ustione.

Si presentò come Marie Magdalene e parlava solo inglese, con uno spiccato accento tedesco. Pensai di aver vinto la lotteria, perché quella sera al fiVeclub non c’erano quei soci ben più affascinanti di me, specialmente Pier, altrimenti sono certo che sarebbe passata oltre. E invece stava cercando proprio me. Sorseggiai il bourbon, e feci finta di niente quando mi accorsi che stavo per trangugiare anche la mia stessa sigaretta. Restammo lì a parlare per un’ora buona, tanto era uno di quei mercoledì sera di inizio primavera dove di rado c’è tanto da lavorare. Mi disse che era lì per cercare una persona, un uomo in particolare, che sapeva essere passato al locale. Me lo descrisse ma non mi ricordò nessuno in particolare, allora le proposi di fare un giro per altri posti della Città Vecchia, magari facendo un paio di domande ai miei contatti vicolari.

Una volta chiusa la serranda passammo tutto il resto della notte alla ricerca di informazioni sul suo uomo del mistero, girovagando tra un locale all’altro, rimettendoci tutta la paga della serata. Non ricordo più come finì quella notte, so soltanto che mi risvegliai il pomeriggio seguente nella sua camera d’albergo, quando la cameriera che rassetta le stanze mi tirò giù dal letto facendomi accorgere del terribile mal di testa che mi tormentò per tutto il giorno. Marie Magdalene non era più lì. Prima di andarmene frugai ogni angolo della suite alla ricerca di un indizio che potesse ricondurmi a lei e nel cestino delle cartacce accanto alla scrivania, trovai un biglietto da visita mezzo bruciato, con scritto a penna un numero di telefono, purtroppo illeggibile, tranne che per l’intestatario: Der Blaue Engel, München, Deutschland. L’Angelo Azzurro, Monaco, Germania.

Mi intestardii sull’idea di rivederla e la cercai per la Città Vecchia tutto il giorno seguente e poi quello dopo ancora, ma di lei non c’era più traccia, come fosse stata soltanto un fantasma della mia immaginazione. Volevo sapere perché io, perché avesse scelto proprio me per aiutarla a ritrovare il suo uomo misterioso o forse ero geloso di lei, dopo una notte soltanto. Eppure dopo un po’ me ne dimenticai. Passò così tanto tempo che mi dimenticai del mio Angelo dagli occhi Azzurri.

Dieci anni dopo mi ritrovai a Monaco, insieme a un gruppo di amici, per andare a sbronzarci di birra nella capitale tedesca delle bevande al luppolo. Il caso volle che nel pagare una pinta mi cadde dal portafogli proprio quel biglietto da visita mezzo bruciato che avevo conservato per tutti quegli anni. Io credo al caso, sono certo che non esista alcun disegno divino nell’universo, ma quella volta volli seguire il mio istinto che mi diceva di fare un tentativo, per rivederla almeno una volta ancora. Tutti i ricordi di lei erano riaffiorati nella mia mente e anche se la cotta era passata, ero curioso di potere finalmente avere una risposta alle mie domande.

L’Angelo Azzurro era una bettola sporca e puzzolente, una di quelle che per entrare dovevi scendere giù per una scalinata immersa nei vapori delle condutture del riscaldamento, che diventavano condensa a contatto con l’aria fredda della città Bavarese. Si trovava in una specie di baraccopoli costruita sui resti della vecchia stazione ferroviaria, un quartiere che a tratti mi ricordò un centro sociale, ma immensamente più grande. Per raggiungere l’Angelo Azzurro dovetti attraversarlo per intero, fino a quel sordido sottoscala. Quella sera ero da solo, solo con il mio fedora e il trench grigio. All’interno era ancora peggio, un bancone sporco, sul quale dormivano almeno un paio di clienti ubriachi. C’erano mozziconi di sigarette e pillole di ecstasy nei posacenere, una ragazza seduta su un dondolo che faceva avanti e indietro, illuminata soltanto dai propri piercing al neon e alcuni maniaci del fetish intorno a una modella in tuta di lattice. Non avevo mai visto un posto del genere. Mi stupì e mi affascinò al tempo stesso, perché ho sempre amato il torbido, altrimenti non lavorerei nei vicoli di Genova.

Il barista era un ragazzo molto giovane, tatuato e pieno di piercing anche lui, provai a comunicare ma non c’era una sola parola in un qualsiasi linguaggio che potevamo condividere. Mi limitai a ordinare un Angelo Azzurro e a ripetere un paio di volte il nome di Marie Magdalene. Non sapeva nemmeno di cosa stessi parlando. Mi feci spazio dietro al bancone, tanto immaginavo che nessuno se la sarebbe presa male. Mescolai una parte di succo di limone, due parti di triple sec e quattro di gin, all’interno dello shaker, insieme a una spruzzata di blue curaçao giusto per dargli colore. Alla fine me lo versai in una coppa Martini. Sorseggiai e ripetei ancora una volta il nome di Marie Magdalene al barista, sperando che non mi indicasse la signorina nella tuta di lattice. Sollevò invece un dito e lo puntò verso la vetrata dell’ufficio al piano di sopra e la vidi lassù che mi fissava, come sempre dall’alto in basso. Finii di bere e raggiunsi il mio Angelo Azzurro in su per le scale.

 

Erano passati dieci anni ma lei era esattamente come me la ricordavo. Parlammo tutta la notte, come dieci anni prima. Mi raccontò che era arrivata nella mia città per seguire il suo compagno, quell’architetto che l’aveva abbandonata per venire a studiare a Genova e con il quale ora condivideva un pargoletto di cinque anni. Mi raccontò anche di quel posto, quella sottospecie di baraccopoli che aveva progettato lui per essere un luogo di ritrovo per giovani artisti, musicisti ed emarginati in genere. Mi disse che lui era un idealista e che io glielo avevo ricordato molto, quella fatidica notte di dieci anni fa. Poi era cambiato, come cambiano tutti quanti. Tranne me.

Il giorno seguente avrebbe fatto abbattere tutta la baraccopoli, c’erano già pronti tutti i macchinari pesanti per i lavori, e lì sarebbe sorto il classico centro commerciale, senza più lasciare un spazio libero per quell’Angelo Azzurro, quel locale che invece aveva creato lei. Mi offrì una sigaretta e ce ne fumammo una insieme, anche se io avevo smesso ormai da anni, sulle note di Ich bin die fesche Lola cantata da Marlene Dietrich, che mi ricordò molto quelle orribili canzonette che Daniela mi costringe ad ascoltare al lavoro. Sapendo di non essere il protagonista di una commedia romantica americana e quindi di non poter fare nulla per evitare l’abbattimento, mi alzai e le presi le mani per salutarla e probabilmente non vederla mai più. Lei mi diede un bacio morigerato sulla guancia, diversamente da quanto avrebbe fatto la Naughty Lola della canzonetta, ma fu abbastanza per convincermi ad unirmi al picchetto organizzato intorno al quartiere, il giorno seguente. Ma il progresso non si arresta di fronte a nulla e l’Angelo Azzurro ora non c’è più.

Che cosa è il fiVeclub

Siamo un gruppo di persone di ogni età ed estrazione sociale che si ritrova almeno una volta alla settimana per creare storie, condividere letture (scritte da noi), musiche, poesie e arte in genere. La nostra sede abituale è il Caffè Museo della Bottega del Conte e, grazie alla regola di cercare di non scrivere più di cinque righe, ci ricnosciamo sotto il nome di fiVeclub. La nostra attività è inclusiva in quanto il nostro piacere non è solo condividere con chiunque ciò che scriviamo ma ancor più coinvolgere e far partecipare chiunque voglia lasciarsi trasportare. Nei nostri eventi mettiamo in campo la scrittura creativa con macchina da scrivere (olivetti lettera 22 e valentine) secondo la regola che ciascuno può scrivere un testo limitato a poche righe che solo un’altra persona può continuare, seguendo liberamente il proprio spirito.
Recentemente abbiamo partecipato al SUQ con l’attività Mercanti di Parole. L’evento prevedeva di accogliere le persone presso la tenda araba offrendo loro una breve storia creata al momento attorno ad una parola offerta dal “cliente”. Il tutto in cambio di un’offerta libera a partire dal sorriso.
Con voi vorremmo cercare di portare avanti questa nostra iniziativa pubblica con l’aggiunta di miglioramenti e idee da sviluppare assieme. Tra queste quella di avere due persone che scrivono in parallelo scambiandosi i testi mentre altri leggono quanto raccolto nei sei mesi di attività. Il testo scritto sarà sempre legato a parole offerte dai presenti cui si chiederà di partecipare leggendo e recitando o, se vorranno, scrivendo
Queste idee, come già detto, potranno essere arricchite dalle ispirazioni che verranno durante il nostro incontro.

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