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Brasile, presi i mandanti dell’omicidio di Marielle Franco

L’indagine ha rivelato il coinvolgimento di gruppi mafiosi, poliziotti corrotti e politici di Rio de Janeiro

La gente di Rio li chiama “Irmãos Metralha” fin dagli anni ‘80, in italiano li chiamerebbero Banda Bassotti, nel senso disneyano. Li hanno arrestati nelle prime ore di una piovosa domenica mattina carioca. Si chiamano Chiquinho Brazão (deputato federale di centro destra per il partito União Brasil), e di suo fratello Domingos, che in passato è stato processato per omicidio o accusato di compravendita di voti e ora è consigliere della Corte dei Conti di Rio de Janeiro. Ad arrestarli la polizia federale di Rio con l’Operazione Murder Inc, l’inchiesta sull’omicidio di Marielle Franco, consigliera comunale della città carioca e attivista politica di sinistra in forte ascesa.

Marielle era militante del PSOL (Partito del Socialismo e Liberdade), aderente alla IV Internazionale come l’italiana Sinistra Anticapitalista, nato nel 2004 da una costola del PT stufa delle politiche accomodanti di Lula e della corruzione che si annidava anche in quel partito. Quando è stata uccisa non aveva ancora 39 anni. Era il 14 marzo del 2018. Partecipava alla Marcia Mondiale delle Donne Nere (un quarto del proletariato brasiliano), attivista per la causa LGBTQI+ ed era responsabile della commissione di inchiesta sulla violenza perpetrata dall’esercito e dalla polizia contro i giovani afro-discendenti. Aveva appena denunciato le brutalità della polizia militare brasiliana nell’Iraja, nelle baraccopoli dove la polizia e gli squadroni della morte scorazzano, ed è stata uccisa con le modalità tipiche dell’esecuzione. Quattro colpi di pistola alla testa: una vera esecuzione. I sicari hanno anche ucciso il suo autista e ferito lievemente una sua assistente, che si trovava al suo fianco sul sedile posteriore dell’auto. Aveva partecipato ad un evento in sostegno delle giovani donne afroamericane delle favelas. La giovane consigliera aveva anche criticato pesantemente l’operato della polizia militare nelle favelas di Rio, definendo il corpo speciale incaricato per queste operazioni «battaglione della morte, che uccide i nostri giovani».

Torniamo all’operazione di domenica 24 marzo: per evitare fughe di notizie, gli agenti sul campo avevano solo informazioni frammentarie sui loro obiettivi. E dato il pedigree dei tre principali sospettati, le precauzioni sembrano giustificate. Chiquinho e Domingos Brazão sono politici influenti legati alle milizie paramilitari mafiose che dominano gran parte di Rio. “L’esecuzione politica di Marielle evidenzia la relazione promiscua tra crimine e politica. Oggi le milizie governano Rio de Janeiro, dominando quasi il 60% del territorio della capitale”, ricorda in questi giorni Talíria Petrone, deputata federale del Psol.

L’operazione aveva come obiettivo anche l’ex capo della polizia civile locale, Rivaldo Barbosa, all’epoca responsabile della vicenda, che ha contribuito a preparare l’attentato e ha agito per minare l’indagine, garantendo l’impunità ai due “bassotti” che l’hanno ordinata.

Per la famiglia Franco è uno shock perché Marielle conosceva questo sbirro. A dirlo a un media locale, la madre Marinete: “Si fidava di lui, e gli aveva consentito di andare in una favela dopo un massacro, garantendo la sua integrità fisica”. L’uomo, che è stato tra i primi a incontrare la famiglia dopo la tragedia, aveva assicurato che avrebbe fatto della soluzione del crimine “una questione d’onore”.

In realtà, l’indagine è stata caotica, con errori grossolani, manipolazioni, interferenze esterne e mancanza di cooperazione tra le autorità locali e federali, prove inutilizzabili, filmati delle telecamere di sorveglianza perduti e una promettente soffiata anonima è stata ignorata. Né il governo locale né, tantomeno, quello federale, allora guidato da Jair Bolsonaro, da tempo vicino a personaggi legati alle milizie, sembravano voler trovare i colpevoli.

Due mesi dopo l’omicidio una falsa testimonianza guidata da un ufficiale di polizia vicino alla famiglia Brazão ha accusato un altro miliziano, Orlando Curicica, e un consigliere rivale, di aver compiuto il crimine. I veri mandanti speravano che si attenuasse la pressione per il chiarimento dell’assassinio di una figura politica in ascesa, all’epoca una delle poche donne politiche di colore provenienti dalle favelas e attivista per la causa LGBTQI+.

Solo che, in carcere, Curicica si è rifiutato di pagare il prezzo in silenzio e ha raccontato dettagliatamente al tribunale la diffusa corruzione all’interno della polizia civile. A quel punto è iniziata un’indagine sull’inchiesta e sono state effettuate perquisizioni a casa dell’agente di polizia che aveva portato il falso testimone. Nel febbraio 2019, il “Metralha” Domingos è diventato uno dei principali sospettati ma non è mai stato interrogato.

La svolta all’inizio del 2023, quando la polizia federale ha aperto una nuova indagine, un mese dopo l’insediamento di Luiz Inácio Lula da Silva. Per risolvere i problemi giurisdizionali che avevano afflitto le indagini in passato, il suo Ministro della Giustizia permise che le indagini continuassero a livello locale, autorizzando al contempo la polizia federale ad occuparsi di parte del caso, con una squadra interamente dedicata. Sono stati effettuati altri arresti e i due ex agenti di polizia accusati di aver formato la squadra di assassini hanno accettato di collaborare con le autorità giudiziarie. Prima l’autista Elcio de Queiroz, poi Ronnie Lessa, che ha premuto il grilletto.

Per questo, all’indomani degli arresti dei mandanti, la “bancada” dei parlamentari del Psol ha presentato una Proposta di emendamento alla Costituzione (PEC) per facilitare la federalizzazione delle indagini sulle milizie. Affinché la PEC venga elaborata, è necessario raccogliere almeno 171 firme di parlamentari.

Attualmente, solo le indagini su gravi violazioni dei diritti umani possono essere “federalizzate”. In base alla proposta, la Procura Generale (PGR) potrà richiedere il trasferimento della giurisdizione nei casi che coinvolgono organizzazioni paramilitari con la partecipazione di agenti statali in qualsiasi fase dell’indagine. Il Psol chiede anche la destituzione dal parlamento di Chiquinho perché in quella posizione potrebbe inquinare ancora l’inchiesta.

“L’esecuzione politica di Marielle evidenzia la relazione promiscua tra crimine e politica – dice ancora Petrone – affrontare le milizie è un’urgenza per la democrazia. E questo significa garantire l’indipendenza nelle indagini sui crimini commessi dalle milizie”.

Il movente dell’omicidio, infatti, sembra risiedere nell’opposizione di Marielle Franco all’espansione immobiliare delle milizie. L’acquisizione di un terreno particolarmente ambito da parte di Domingos Brazão è stata bloccata proprio dalla consigliera comunale uccia. Secondo le informazioni fornite da Ronnie Lessa, questo evento avrebbe fatto infuriare Domingos. Lessa ha anche rivelato che un infiltrato all’interno del Psol aveva informato la milizia delle azioni della consigliera. L’impegno di Marielle rischiava di bloccare una legge che rendeva più facile l’accaparramento di terreni pubblici.

José Cláudio Souza Alves, sociologo dell’Università Federale Rurale, sostiene che “la terra è la base della struttura della milizia. È la prima fonte di reddito, che porta a tutte le altre: vendite, costruzione di edifici, gestione dei rifiuti, tasse su ogni servizio immaginabile, ecc… Il controllo della terra è l’inizio di tutto. È anche un mezzo di pagamento. La squadra di assassini avrebbe dovuto ricevere un appezzamento di terreno in cambio dell’esecuzione della donna politica.

Questo passo avanti nell’inchiesta è anche una vittoria per il presidente Lula, che aveva fatto della conclusione di questa indagine una promessa in campagna elettorale. Dopo sei anni e dieci giorni Anielle Franco, sua sorella e ora ministro per l’Uguaglianza razziale, ha dichiarato: “Dio solo sa quanto abbiamo sognato questo giorno […]. Siamo più vicini alla giustizia!”.

In realtà questi arresti sono una battaglia vinta in una guerra molto più complessa.

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