Leggere Serge è fondamentale sul piano storico, politico e umano [Maurizio Acerbo]
«Io ho subito un po’ più di dieci anni di prigionie diverse, militato in sette paesi, scritto venti libri. Non posseggo nulla. Sono stato parecchie volte coperto di fango da una stampa a grande tiratura perché dico la verità. Dietro di noi: una rivoluzione vittoriosa che ha preso una cattiva piega, diverse rivoluzioni mancate, un numero così grande di massacri che dà un po’ le vertigini. E dire che non è finita…».
Il #17novembre 1947 moriva in esilio a Città del Messico Victor Serge. Morì poverissimo di infarto in un taxi. Aveva le scarpe bucate con la suola completamente logora e la camicia da operaio.
La sua opera rimane imprescindibile. La sua vita è impossibile riassumerla in poche righe.
Da anarchico arrestato con la Banda Bonnot a bolscevico, da inviato dell’Internazionale nella rivoluzione in Germania e Cina (dove è il primo a comprendere la strategia del giovane Mao) a perseguitato da Stalin, da compagno del POUM in Spagna alle accuse di essersi avvicinato alla socialdemocrazia la sua vita attraversa le tempeste rivoluzionarie della prima metà del Novecento e i continenti. E’ il testimone per eccellenza dell’epopea comunista e della tragedia dello stalinismo.
Non mi stancherò mai di consigliare la lettura delle sue “Memorie di un rivoluzionario” e dei suoi scritti.
Lo scrittore Massimo Carlotto tanti anni fa scrisse una recensione di “Memorie di un rivoluzionario” che davvero fa venire voglia di leggere Serge.
Secondo Mike Davis: “Victor Serge è stato probabilmente il più grande scrittore della classe operaia del ventesimo secolo (..) è stato anche l’amante più ardente e la coscienza indistruttibile della Rivoluzione”.
Con queste parole invitava a leggere le sue ‘Memorie di un rivoluzionario’:
“Una straordinaria capsula del tempo dalle ore più buie del ventesimo secolo. Sebbene spesso paragonato a Orwell, Serge è una figura più nobile e inconciliabile. Questo libro, scritto mentre la GPU stava sterminando gli ultimi esponenti della vecchia guardia bolscevica, è un’ardente testimonianza della coscienza politica e della speranza rivoluzionaria. Attraverso Serge, conosciamo qualcosa di quelle figure gigantesche ma in gran parte dimenticate: gli anarchici e comunisti oppositori di Stalin”.
E Toni Negri: “Hai mai incontrato uno di quei pazzi che con gioia, ironia e spensieratezza si sforzarono di costruire la repubblica sovietica mondiale? O uno di quei rivoluzionari che non hanno mai perso la speranza, nonostante il tradimento e la sconfitta, la prigione e l’esilio? Victor Serge, un membro di quella razza di giganti, un gigante nella lotta per la libertà e la felicità collettiva.”
Leggere Serge è fondamentale sul piano storico, politico e umano.
Ho dedicato tanti anni fa a Victor Serge una pagina che quando posso aggiorno con materiali in qualche maniera correlati. Anche sul mio blog trovate tanti materiali.
Il grande testimone e accusatore di Stalin, da cui trassero ispirazione George Orwell come Arthur Koestler, non divenne un anticomunista né smise di difendere il valore della rivoluzione del 1917.
Per questo durante la guerra fredda l’industria culturale occidentale non ne ha veicolato e diffuso l’opera e amplificato la conoscenza.
Il suo “Da Lenin a Stalin” è stato ripubblicato da Bollati Boringhieri editore.
Poco prima di morire nel 1947 Serge aveva scritto per il trentennale della #rivoluzione un testo che ne difendeva la memoria e la criticava dall’interno:
“I reazionari hanno un interesse evidente a confondere il totalitarismo staliniano, sterminatore dei bolscevichi, con il bolscevismo”.
Per me Victor Serge è stato un rifondatore comunista antelitteram perchè non si poneva il tema di restaurare un’ortodossia ma di rinnovare il socialismo alla luce dell’esperienza storica e delle grandi trasformazioni in atto. Serge non si limitò a denunciare il tradimento da parte di Stalin dei principi del bolscevismo in nome della fedeltà a Lenin e all’Ottobre come fece Trotskij. Non a caso Serge finì con il far arrabbiare lo stesso capo dell’opposizione, come racconta la sua biografa Susan Weissman.
Il grande storico e attivista nordamericano Staughton Lynd lo considerò una figura anticipatrice della da lui auspicata sintesi tra anarchismo e marxismo.
L’unica foto in cui si vede Gramsci sorridere è in compagnia dell’amico e compagno Victor Serge a Vienna quando entrambi negli anni ’20 erano al lavoro come rivoluzionari di professione per l’Internazionale comunista (con loro c’era anche il grande filosofo marxista Gyorgy Lukacs poi ministro del governo di #ImreNagy nel 1956).
Entrambi rivoluzionari sconfitti, l’uno prigioniero, l’altro esiliato e braccato, negli anni ’30 rifletterono sul ciclo rivoluzionario di cui erano stati partecipi lasciando fur ewig un’eredità preziosa per le generazioni future.
La loro opera, e anche il loro esempio, credo che siano indispensabili per resistere alla barbarie e immaginare un socialismo/comunismo del 21° secolo.
Perché indignarsi? In fondo si tratta solo dell’ennesimo delitto contro la popolazione civile per mano di Ankara. Nella mattinata del 10 dicembre, un veicolo da combattimento senza pilota (UCAV) ha colpito la città di Sefiya (Ain Issa) uccidendo otto persone della stessa famiglia: Xelîl Silêman, Wedah Silêman, Mihemed El Abo, Ebdulkerîm El Abo, Delal Silêman, Nadiya Silêman e due bambini, Casim Silêman e Husam Silêman.
Qualche giorno fa, l’8 dicembre, erano state dodici (soprattutto bambine, bambini e donne) le vittime di un attacco similare nel villaggio di Mestareha(sempre Ain Issa). Il giorno successivo, 9 dicembre, morivano per bombardamento altri due bambini nel villaggio di Kuneftar (Kobanê). Contemporaneamente venivano colpiti Mihermela y Hermel( località di Zirgan). Lasciando a terra almeno un morto e diversi feriti. Altri tre feriti (sempre per l’attacco di un UCAV) lungo la strada Zirgan-Dirbêsiyê. E si potrebbe continuare.
Vecchia storia. Anche senza risalire troppo nel tempo basti ricordare l’invasione turca del 2018 che trasformò oltre duecentomila curdi (ma anche arabi, minoranze varie…) in sfollati – profughi interni – da un giorno all’altro. Molti, decine di migliaia cercarono di rimanere quantomeno nei pressi dei loro villaggi bombardati, in rovina. Accampati in campi di fortuna (indifesi, esposti agli attacchi turchi) nella regione di Shehba (Tel Rifaat). Con la speranza di poter ritornare prima o poi. Ora vengono scacciati anche da lì dalla violenza delle milizie arabo-sunnite e turcomanne al servizio di Ankara. Paradossalmente, i giannizzeri di Ankara hanno giustificato l’attacco alle aree curde come lotta al regime di Assad (?!?).
Inoltre per molti riuscire a spostarsi nelle zone controllate dall’AADNES (dove vige un sistema di autogoverno comunitario, autonomia delle donne, rappresentanza per le minoranze…) risulta difficoltoso, se non impossibile. Vuoi per ragioni oggettive (come nel caso delle persone anziane, con problemi di salute…) o perché viene loro semplicemente impedito dai miliziani che talvolta li sequestrano (e il loro destino al momento resta incerto, sconosciuto) o li sottopongono a maltrattamenti, torture. Non mancano i video, spesso messi in rete dagli stessi jihadisti, con miliziani pro-Turchia che maltrattano, picchiano, calpestano donne e uomini curdi catturati. Per cui molti sono rimasti indietro, quando non sono morti lungo la strada.
Dalla Turchia in fondo non ci si poteva aspettare altro. Conferma la sua aspirazione di poter allargare i propri confini a spese della Siria – e magari anche dell’Iraq – allontanando il più possibile i curdi (in particolare quelli di ideologia apoista) dalle proprie frontiere. Relegandoli di fatto nei deserti siriani o contringendoli a espatriare.
Ma nemmeno sull’apparentemente pragmatico Hayat Tahrir al-Sham (alias al-Nusra) c’è da fare molto affidamento.
Nonostante lo sbandierato “islamismo tecnocratico”, quando governavano a IdlibI avrebbero sguinzagliato le ronde della moralità arrestando sia donne e ragazze vestite non in ossequio ai codici religiosi, sia uomini che ascoltavano musica o si erano tagliati la barba. E si parla anche di pubbliche esecuzioni per eresia o stregoneria.
A sentirsi in pericolo sono attualmente anche i circa 100mila curdi di Aleppo e le altre “minoranze” (cristiani, ezidi, armeni…) ancora asseragliati in un paio di quartieri assediati dalle milizie di HTS. Già si era parlato di qualche esecuzione extragiudiziale proprio ai danni di esponenti delle minoranze e – pare – che alle donne venga imposto il velo.
Stesso discorso (o peggio) per le milizie del cosiddetto Esercito Nazionale Siriano (finanziato, addestrato e diretto da Ankara). Da tempo accusate di crimini di guerra dalle Nazioni Unite e da Amnesty International
Ossia: stupri, torture (spesso con l’elettrocuzione), massacri di massa (in particolare contro la popolazione curda), utilizzo di scudi umani… per non parlare dell’ elettrocuzione o dei prigionieri esposti e portati per le strade rinchiusi nelle gabbie.
E questi sgherri di Erdogan ora si stanno scatenando contro i curdi e le minoranze, nella prospettiva di un’ampia opera di sostituzione etnica nei territori attualmente amministrati dall’AADNES.
MENTRE A MANBIJ POTREBBE ENTRARE IN VIGORE UN ACCORDO DI CESSATE IL FUOCO TRA SDS E SNA, VIENE CONFERMATO IL BRUTALE ASSASSINIO DI TRE DONNE ARABE DELL’ASSOCIAZIONE ZENUBIYA
Gianni Sartori
Ancora un crimine di guerra. Ancora tre donne vittime del fanatismo jihadista.Kamar El-Soud, Aysha Abdulkadir e Iman sono state assassinate da mercenari di Ankara a Manbij. La triste nuova viene dalla Comunità di Donne Arabe Zenubiya:
“Le nostre tre compagne sono diventate un esempio di sacrificio comportandosi con coraggio e dignità di fronte alla morte. Il loro martirio non è la fine della lotta, ma un nuovo inizio per il nostro impegno nell causa delle libertà e dell’indipendenza. Kamar, Aysha e Iman hanno condotto una dura battaglia contro le forze dell’oscurità e contro il nemico una dura batalla contra las fuerzas oscuras y el enemigo, comoiendo grandi sacrifici bella difesa di Manbij”.
Il cosiddetto Esercito Nazionale Siriano (SNA dalla sigla in inglese, conosciuto anche come Fajr al-Hurriya) è formato da un’accozzaglia di jihadisti (v. Ahrar al-Sharqiyah) sul libro-paga di Ankara. A cui si sono aggiunti estremisti di destra (turchi o filo-turchi) con un’unica “ragione sociale” in comune: l’odio per i curdi.
Come già segnalato, ancora il 9 dicembre il canale televisivo turco Habertürk ha trasmesso in diretta (forse senza il tempo di censurarle) le immagini di miliziani del SNA affianco a quelli dell’Isis. Con in sovraimprensione un titolo tanto lapidario quanto fasullo: “Manbij libera dal PKK/YPG. Il SNA ha completato l’operazione in Manbij”. In realtà i feroci combattimenti erano ancora in corso nei quartieri multietnici di Manbij. Le informazioni che circolavano in rete, soprattutto quelle diffuse dall’agenzia ufficiale turca Anadolu, erano false. Il loro scopo era di scoraggiare la resistenza e rientravano in quella che possiamo chiamare “guerra psicologica”.
I combattimenti proseguivano infatti anche nella notte di martedì mentre l’esercito turco intensificava le operaioni sia dell’aviazione che dell’artiglieria contro Kobane, prossimo obiettivo della guerra di occupazione.
Contemporaneamente alcuni esponenti di questa banda di tagliagole diffondevano nelle reti sociali i video di alcuni feriti (presumibilmente resistenti curdi) assassinati in un ospedale di Manbij da membri del SNA che se ne vantavano apertamente (e anche questa a ben guardare è brutale “guerra psicologica”).
E non si tratta di episodi isolati.
Anche l’osservatorio Siriano dei Diritti Umani ha denunciato “dozzine di esecuzioni di combattenti feriti del Consiglio Militare di Manbij” assassinati dai mercenari di Erdogan.
Kongra Star (il movimento delle donne del nordest della Siria) ha denunciato che a manbij diverse donne integrate nelle forze di sicurezza Asayîş sono state catturate e sequestrate, nei video diffusi dai tagliagole del SNA venivano esposte come “bottino di guerra” (in stile Isis).
Si registrano inoltre innumerevoli saccheggi e incendi di abitazioni curde. Oltra a rappresaglie contro la popolazione civile. Tra cui il caso ignobile, già citato, delle tre militanti di Zenobiya assassinate.
Atti di terrorismo speculari a quelli compiuti dallo Stato turco che il 10 massacrava un’intera famiglia (otto persone) con un veicolo senza pilota (UCAV) nel villaggio di Sefiya (Ayn Issa). Altre otto vittime che si aggiungono alla lista di circa 200 civili assassinati quest’anno da Ankara nel Nord e nell’Est della Siria.
CESSATE IL FUOCO A MANBIJ?
A Manbij, dopo due settimane di combattimenti, un possibile accordo di cessate-il-fuoco si sarebbe raggiunto (pare con la mediazione degli Statai Uniti) tra le Forze Democratiche Siriane (SDF, dalla sigla in inglese) e l’Esercito Nazionale Siriano (SNA, dalla sigla in inglese).
Mercoledì mattina 11 dicembre, il comandante delle SDF Mazlum Abdi annunciava che i combattenti del Consiglio Militare di Manbij si sarebbero ritirati dalla città per “garantire la sicurezza della popolazione civile”.
Dichiarando inoltre che “il nostro obiettivo è quello di un cessate-il-fuoco in tutta la Siria e l’inizio di un processo politico sul futuro del paese”.
Va preso atto che il Consiglio Militare e le altre organizzazioni facenti parte delle SDF in questi ultimi quindici giorni hanno lottato con coraggio e determinazione. Al prezzo di un gran numero di caduti, ma causando ai mercenari del SNA centinaia di perdite.
In questo momento la resitenza dei partigiani curdi si concentra sullo strategico ponte di Qereqozax, tra Manbij e Kobanê. Quanto alla diga di Tishrîn (più a sud e altro possibile punto di invasione del nordest) sarebbe ormai fuori uso a causa dei bombardamenti subiti. Ragion per cui vaste zone della regione autonoma (tra cui il cantone di Kobanê) sono prive di elettricità.
L’importanza assunta dal cantone multietnico di Manbij nella lotta per l’autogoverno è soprattutto politica e va ben oltre quella della posizione strategica. Liberata dall’Isis nel 2026 grazie alle SDF e alle YPJ (Unità di Protezione delle Donne), ha rappresentato la prima zona autonoma nel Nord e nell’Est della Siria con una popolaziona a maggioranza non curda. Praticamante l’ultimo cantone dell’AADNES rimasto a ovest dell’Eufrate.
Con il Consiglio Civile Provvisorio di Manbij (poi “Legislativo dell’Amministrazione Democratica di Manbij) venne introdotta in ogni ufficio una doppia direzione donna-uomo con uguaglianza di genere. Per cui la proporzione delle donne nell’amministrazione arrivava al 50%. Così come vi erano rappresentati tutti i gruppi sociali. Un modello di nuova, radicale democrazia che aveva garantito sicurezza e protagonismo per le donne e le minoranze.
Un modello che la brutalità regressiva delle gang jihadiste potrà forse provvisoriamente calpestare ma non estirpare.
Ma intanto non si attenua, anzi si intensifica inesorabilmente, la pioggio di bombe turche (sia con l’aviazione che con l’artiglieria) sui territori ammnistrati dall’AADNES, in particolare sul cantone di Kobanê. Uccidendo civili (oggi altri due vittime, una donna e un bambino nei pressi del ponte di Qaraqozaq), colpendo indiscriminatamente obiettivi sia civili che militari.
Almeno una ventina gli attacchi (soprattutto con droni) documentati da ANHA nella giornata dell’11 dicembre tra Raqqa, Tel Tamr e Kobanê.
Gianni Sartori
PS mi attacco qui perché penso che al comunista libertario Victor Serge l’esperienza del Rojava sarebbe piaciuta…(GS)
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ANKARA VUOLE PROPRIO FARLA FINITA CON I CURDI…
GIANNI SARTORI
Perché indignarsi? In fondo si tratta solo dell’ennesimo delitto contro la popolazione civile per mano di Ankara. Nella mattinata del 10 dicembre, un veicolo da combattimento senza pilota (UCAV) ha colpito la città di Sefiya (Ain Issa) uccidendo otto persone della stessa famiglia: Xelîl Silêman, Wedah Silêman, Mihemed El Abo, Ebdulkerîm El Abo, Delal Silêman, Nadiya Silêman e due bambini, Casim Silêman e Husam Silêman.
Qualche giorno fa, l’8 dicembre, erano state dodici (soprattutto bambine, bambini e donne) le vittime di un attacco similare nel villaggio di Mestareha(sempre Ain Issa). Il giorno successivo, 9 dicembre, morivano per bombardamento altri due bambini nel villaggio di Kuneftar (Kobanê). Contemporaneamente venivano colpiti Mihermela y Hermel( località di Zirgan). Lasciando a terra almeno un morto e diversi feriti. Altri tre feriti (sempre per l’attacco di un UCAV) lungo la strada Zirgan-Dirbêsiyê. E si potrebbe continuare.
Vecchia storia. Anche senza risalire troppo nel tempo basti ricordare l’invasione turca del 2018 che trasformò oltre duecentomila curdi (ma anche arabi, minoranze varie…) in sfollati – profughi interni – da un giorno all’altro. Molti, decine di migliaia cercarono di rimanere quantomeno nei pressi dei loro villaggi bombardati, in rovina. Accampati in campi di fortuna (indifesi, esposti agli attacchi turchi) nella regione di Shehba (Tel Rifaat). Con la speranza di poter ritornare prima o poi. Ora vengono scacciati anche da lì dalla violenza delle milizie arabo-sunnite e turcomanne al servizio di Ankara. Paradossalmente, i giannizzeri di Ankara hanno giustificato l’attacco alle aree curde come lotta al regime di Assad (?!?).
Inoltre per molti riuscire a spostarsi nelle zone controllate dall’AADNES (dove vige un sistema di autogoverno comunitario, autonomia delle donne, rappresentanza per le minoranze…) risulta difficoltoso, se non impossibile. Vuoi per ragioni oggettive (come nel caso delle persone anziane, con problemi di salute…) o perché viene loro semplicemente impedito dai miliziani che talvolta li sequestrano (e il loro destino al momento resta incerto, sconosciuto) o li sottopongono a maltrattamenti, torture. Non mancano i video, spesso messi in rete dagli stessi jihadisti, con miliziani pro-Turchia che maltrattano, picchiano, calpestano donne e uomini curdi catturati. Per cui molti sono rimasti indietro, quando non sono morti lungo la strada.
Dalla Turchia in fondo non ci si poteva aspettare altro. Conferma la sua aspirazione di poter allargare i propri confini a spese della Siria – e magari anche dell’Iraq – allontanando il più possibile i curdi (in particolare quelli di ideologia apoista) dalle proprie frontiere. Relegandoli di fatto nei deserti siriani o contringendoli a espatriare.
Ma nemmeno sull’apparentemente pragmatico Hayat Tahrir al-Sham (alias al-Nusra) c’è da fare molto affidamento.
Nonostante lo sbandierato “islamismo tecnocratico”, quando governavano a IdlibI avrebbero sguinzagliato le ronde della moralità arrestando sia donne e ragazze vestite non in ossequio ai codici religiosi, sia uomini che ascoltavano musica o si erano tagliati la barba. E si parla anche di pubbliche esecuzioni per eresia o stregoneria.
A sentirsi in pericolo sono attualmente anche i circa 100mila curdi di Aleppo e le altre “minoranze” (cristiani, ezidi, armeni…) ancora asseragliati in un paio di quartieri assediati dalle milizie di HTS. Già si era parlato di qualche esecuzione extragiudiziale proprio ai danni di esponenti delle minoranze e – pare – che alle donne venga imposto il velo.
Stesso discorso (o peggio) per le milizie del cosiddetto Esercito Nazionale Siriano (finanziato, addestrato e diretto da Ankara). Da tempo accusate di crimini di guerra dalle Nazioni Unite e da Amnesty International
Ossia: stupri, torture (spesso con l’elettrocuzione), massacri di massa (in particolare contro la popolazione curda), utilizzo di scudi umani… per non parlare dell’ elettrocuzione o dei prigionieri esposti e portati per le strade rinchiusi nelle gabbie.
E questi sgherri di Erdogan ora si stanno scatenando contro i curdi e le minoranze, nella prospettiva di un’ampia opera di sostituzione etnica nei territori attualmente amministrati dall’AADNES.
Gianni Sartori
MENTRE A MANBIJ POTREBBE ENTRARE IN VIGORE UN ACCORDO DI CESSATE IL FUOCO TRA SDS E SNA, VIENE CONFERMATO IL BRUTALE ASSASSINIO DI TRE DONNE ARABE DELL’ASSOCIAZIONE ZENUBIYA
Gianni Sartori
Ancora un crimine di guerra. Ancora tre donne vittime del fanatismo jihadista.Kamar El-Soud, Aysha Abdulkadir e Iman sono state assassinate da mercenari di Ankara a Manbij. La triste nuova viene dalla Comunità di Donne Arabe Zenubiya:
“Le nostre tre compagne sono diventate un esempio di sacrificio comportandosi con coraggio e dignità di fronte alla morte. Il loro martirio non è la fine della lotta, ma un nuovo inizio per il nostro impegno nell causa delle libertà e dell’indipendenza. Kamar, Aysha e Iman hanno condotto una dura battaglia contro le forze dell’oscurità e contro il nemico una dura batalla contra las fuerzas oscuras y el enemigo, comoiendo grandi sacrifici bella difesa di Manbij”.
Il cosiddetto Esercito Nazionale Siriano (SNA dalla sigla in inglese, conosciuto anche come Fajr al-Hurriya) è formato da un’accozzaglia di jihadisti (v. Ahrar al-Sharqiyah) sul libro-paga di Ankara. A cui si sono aggiunti estremisti di destra (turchi o filo-turchi) con un’unica “ragione sociale” in comune: l’odio per i curdi.
Come già segnalato, ancora il 9 dicembre il canale televisivo turco Habertürk ha trasmesso in diretta (forse senza il tempo di censurarle) le immagini di miliziani del SNA affianco a quelli dell’Isis. Con in sovraimprensione un titolo tanto lapidario quanto fasullo: “Manbij libera dal PKK/YPG. Il SNA ha completato l’operazione in Manbij”. In realtà i feroci combattimenti erano ancora in corso nei quartieri multietnici di Manbij. Le informazioni che circolavano in rete, soprattutto quelle diffuse dall’agenzia ufficiale turca Anadolu, erano false. Il loro scopo era di scoraggiare la resistenza e rientravano in quella che possiamo chiamare “guerra psicologica”.
I combattimenti proseguivano infatti anche nella notte di martedì mentre l’esercito turco intensificava le operaioni sia dell’aviazione che dell’artiglieria contro Kobane, prossimo obiettivo della guerra di occupazione.
Contemporaneamente alcuni esponenti di questa banda di tagliagole diffondevano nelle reti sociali i video di alcuni feriti (presumibilmente resistenti curdi) assassinati in un ospedale di Manbij da membri del SNA che se ne vantavano apertamente (e anche questa a ben guardare è brutale “guerra psicologica”).
E non si tratta di episodi isolati.
Anche l’osservatorio Siriano dei Diritti Umani ha denunciato “dozzine di esecuzioni di combattenti feriti del Consiglio Militare di Manbij” assassinati dai mercenari di Erdogan.
Kongra Star (il movimento delle donne del nordest della Siria) ha denunciato che a manbij diverse donne integrate nelle forze di sicurezza Asayîş sono state catturate e sequestrate, nei video diffusi dai tagliagole del SNA venivano esposte come “bottino di guerra” (in stile Isis).
Si registrano inoltre innumerevoli saccheggi e incendi di abitazioni curde. Oltra a rappresaglie contro la popolazione civile. Tra cui il caso ignobile, già citato, delle tre militanti di Zenobiya assassinate.
Atti di terrorismo speculari a quelli compiuti dallo Stato turco che il 10 massacrava un’intera famiglia (otto persone) con un veicolo senza pilota (UCAV) nel villaggio di Sefiya (Ayn Issa). Altre otto vittime che si aggiungono alla lista di circa 200 civili assassinati quest’anno da Ankara nel Nord e nell’Est della Siria.
CESSATE IL FUOCO A MANBIJ?
A Manbij, dopo due settimane di combattimenti, un possibile accordo di cessate-il-fuoco si sarebbe raggiunto (pare con la mediazione degli Statai Uniti) tra le Forze Democratiche Siriane (SDF, dalla sigla in inglese) e l’Esercito Nazionale Siriano (SNA, dalla sigla in inglese).
Mercoledì mattina 11 dicembre, il comandante delle SDF Mazlum Abdi annunciava che i combattenti del Consiglio Militare di Manbij si sarebbero ritirati dalla città per “garantire la sicurezza della popolazione civile”.
Dichiarando inoltre che “il nostro obiettivo è quello di un cessate-il-fuoco in tutta la Siria e l’inizio di un processo politico sul futuro del paese”.
Va preso atto che il Consiglio Militare e le altre organizzazioni facenti parte delle SDF in questi ultimi quindici giorni hanno lottato con coraggio e determinazione. Al prezzo di un gran numero di caduti, ma causando ai mercenari del SNA centinaia di perdite.
In questo momento la resitenza dei partigiani curdi si concentra sullo strategico ponte di Qereqozax, tra Manbij e Kobanê. Quanto alla diga di Tishrîn (più a sud e altro possibile punto di invasione del nordest) sarebbe ormai fuori uso a causa dei bombardamenti subiti. Ragion per cui vaste zone della regione autonoma (tra cui il cantone di Kobanê) sono prive di elettricità.
L’importanza assunta dal cantone multietnico di Manbij nella lotta per l’autogoverno è soprattutto politica e va ben oltre quella della posizione strategica. Liberata dall’Isis nel 2026 grazie alle SDF e alle YPJ (Unità di Protezione delle Donne), ha rappresentato la prima zona autonoma nel Nord e nell’Est della Siria con una popolaziona a maggioranza non curda. Praticamante l’ultimo cantone dell’AADNES rimasto a ovest dell’Eufrate.
Con il Consiglio Civile Provvisorio di Manbij (poi “Legislativo dell’Amministrazione Democratica di Manbij) venne introdotta in ogni ufficio una doppia direzione donna-uomo con uguaglianza di genere. Per cui la proporzione delle donne nell’amministrazione arrivava al 50%. Così come vi erano rappresentati tutti i gruppi sociali. Un modello di nuova, radicale democrazia che aveva garantito sicurezza e protagonismo per le donne e le minoranze.
Un modello che la brutalità regressiva delle gang jihadiste potrà forse provvisoriamente calpestare ma non estirpare.
Ma intanto non si attenua, anzi si intensifica inesorabilmente, la pioggio di bombe turche (sia con l’aviazione che con l’artiglieria) sui territori ammnistrati dall’AADNES, in particolare sul cantone di Kobanê. Uccidendo civili (oggi altri due vittime, una donna e un bambino nei pressi del ponte di Qaraqozaq), colpendo indiscriminatamente obiettivi sia civili che militari.
Almeno una ventina gli attacchi (soprattutto con droni) documentati da ANHA nella giornata dell’11 dicembre tra Raqqa, Tel Tamr e Kobanê.
Gianni Sartori
PS mi attacco qui perché penso che al comunista libertario Victor Serge l’esperienza del Rojava sarebbe piaciuta…(GS)