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Resto del Carlino, precaria smentisce condirettore che scrive a vanvera dei giovani

I ragazzi italiani, secondo il condirettore del Resto del Carlino vorrebbero fare i rider, senza responsabilità. Lo smentisce una cronista precaria del suo stesso giornale

Tal Beppe Boni, condirettore de Il Resto del Carlino, si esibisce, rispondendo alla posta dei lettori, in una variante di uno dei luoghi comuni più odiosi, quello per cui il lavoro ci sarebbe ma a mancare sarebbero i lavoratori. Boni riesce ad andare oltre: «i nostri giovani vogliono fare lavori non impegnativi e senza responsabilità, come ad esempio quello di rider». Una fake news come quella dei giovani mammoni che non vorrebbero mai andare via dalla casa dei genitori, dei giovani che non vorrebbero il posto fisso su cui giornali come il suo, in buona compagnia di testate blasonate, hanno costruito il senso comune che ha provato a far digerire precarietà e flessibilità a dosi da cavallo di fake news.

Il lavoro c’è, mancano i diritti e il salario, chi può lo dica a mister Boni: in Italia crescono esponenzialmente i lavoratori poveri, quelli che a fronte di un lavoro da almeno 8 ore al giorno, oppure costretti al part time involontario, non arrivano a fine mese. Questo vale anche per le redazioni dei giornali perbene, come il suo, dove a fronte di pochi posti stabili e garantiti si moltiplicano precari e precarissimi senza alcun diritto. A rispondere per le rime al condirettore, via fb, Margherita Giacchi, una precaria di lungo corso del suo stesso giornale. Una replica che riteniamo di riprodurre integralmente mentre la ginnastica retorica di Boni la potete leggere qui:

Caro Beppe Boni,
mi sembra strano che per lei il fatto che ci sia lavoro ma non ci siano lavoratori è “un mistero che non riesce a sciogliere”. Perché, vede, è stato proprio lei negli anni a fare le liste delle persone da assumere al Carlino, il giornale di cui è condirettore. Mi sembra strano che lei creda che i giovani prediligano fare i riders e non lavori specializzati con ferie e assistenza. Perché, non so se si ricorda, ma io sono stata precaria otto anni per il suo giornale. Non avevo ferie, non avevo malattia, ero pagata a pezzo, lavoravo in redazione fino alle dieci di sera da collaboratrice e disegnavo le pagine che lei il giorno dopo sfogliava. Quando mi faceva la grazia di un contratto (precario ma regolarizzato, questo glielo riconosco), era sempre dalla parte opposta di dove vivevo in quel momento. Ma io prendevo la mia piccola ford Ka e partivo felice. Per poi tornare precaria e pagata a pezzo. Per otto anni. Poi, caro Beppe Boni, si ricorda che quando era ora di assumere, non mi ha nemmeno avvisata che ero stata tagliata fuori dalla lista e non mi ha nemmeno detto il motivo?
Dunque, caro Beppe Boni, non credo che i giovani non vogliano ferie pagate e assistenza. Vogliono aziende serie.

 

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