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Colombia, tutto quello che ignora Saviano

Dice Saviano che le Farc “come partito politico possono avvelenare il dibattito democratico”. E dimostra, ancora una volta, di non capire cosa succede in America Latina

di Alessandra Riccio*

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Non è la prima volta che osservo che Roberto Saviano ne sa poco o nulla dell’America Latina. Sospetto che per lui sia solo l’altra sponda del narcotraffico di cui è specialista. Conosce alcuni aspetti malavitosi ma ignora la realtà di quei paesi. Almeno questa è la mia impressione quando, a proposito del (discutibilissimo) Premio Nobel per la pace al Presidente Santos, Saviano ci spiega come e perché ormai si fosse arrivati alla necessità di liquidare l’annoso e fastidioso problema della lotta armata: ormai è il Messico ad avere il monopolio di quell’odioso traffico e dunque le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) non possono più arricchirsi come facevano da più di cinquanta anni a un costo enorme di morti, di feriti e di sacrifici inauditi.

L’autore di Gomorra sembra non aver sentito parlare della “Violencia”, parola breve e terribile che definisce la storia di quel paese fin da quando, nel lontano 1948, l’assassinio del candidato alla Presidenza, Eliecer Gaitán, scatenò una violentissima protesta popolare nella quale, per puro caso, si trovò involucrato il giovane rappresentante del movimento studentesco cubano, Fidel Castro. Non si era trattato di uno scontro fra cartelli della droga, ma di uno scontro politico che è andato radicalizzandosi sempre più. Le Farc, il loro leggendario capo, Manuel Marulanda –Tiro Fijo-, la Casa Verde, inviolato santuario della guerriglia, sono state per poco meno di settanta anni l’opposizione armata a governi spesso reazionari, corrotti e repressori. Non è stato possibile distruggerle neanche con i mezzi più brutali come la creazione di corpi paramilitari liberi da qualsiasi rispetto per la legge, l’invenzione dei “falsos positivos”, corpi di migliaia di innocenti contadini rivestiti con le uniformi della guerriglia e fatti passare per guerriglieri per incassare la taglia promessa. Scoperchiato nel 2008, questo scandalo esige ancora giustizia, nonostante i processi aperti, e molti militari colpevoli sono stati rilasciati per decorrenza dei termini.

Saviano ignora sovranamente l’iter politico della Farc, ignora che alla fine degli anni novanta vi fu un tentativo di uscire dalla clandestinità e dalla selva e che gli uomini riuniti nel partito dell’Unión Patriótica furono perseguiti e assassinati uno a uno, perfino Bernardo Jaramillo, candidato alla presidenza, ammazzato dentro l’aeroporto della capitale. Io non posso dimenticare quegli avvenimenti né le facce dei compagni che ho conosciuto a Bogotà nell’euforia preoccupata dell’entrata nella legalità e che solo qualche settimana più tardi erano già cadaveri.

L’ex Presidente Alvaro Uribe, così contrario ai negoziati di pace, non ha esitato a violare le frontiere e ad ordinare il bombardamento di un accampamento delle Farc in Ecuador, vicino al confine, dove perse la vita, insieme a molti suoi uomini, il comandante Raúl Reyes, nel cui computer –miracolosamente scampato alle bombe, Uribe dice di aver trovato informazioni strabilianti e non credibili. Intendiamoci, le Farc hanno combattuto, hanno fatto la guerra, hanno esercitato la violenza, hanno  probabilmente mestato nel mondo irregolare della droga, e hanno fatto ricorso alla crudele arma dei sequestri. Di quest’ultima pratica, così particolarmente dolorosa, ha  scritto Gabriel García Márquez, il più grande degli scrittori colombiani nel suo bel reportage Notizie da un sequestro. Non posso verificarlo, ma temo che il Nobel a Santos dopo quello per la letteratura a Gabo, farà rivoltare quest’ultimo nella tomba.

Per Saviano, le Farc sono una banda di narcotrafficanti, adesso in competizione con L’Esercito di Liberazione Nazionale perché con il Messico a capo del traffico di cocaina, non c’è posto per due guerriglie/cartel.

E poi il nostro, non fidandosi né di Ban Ki-moon, né della Norvegia o del Cile conservatore, ancor meno del Venezuela (tutti garanti delle trattative), riduce le conversazioni per la pace al solo ultimo anno, ignorando che sono ormai quattro anni che L’Avana ospita le delegazioni avverse. E non c’è spiegazione al fatto che proprio Cuba sia stata scelta come sede di una questione così delicata visto che Cuba, per Saviano, è da sempre luogo di passaggio della cocaina verso gli Stati Uniti e l’Europa e forniva logistica alla buon’anima di Escobar in cambio di “un indennizzo al regime”. Della tragica crisi della fine degli anni novanta di cui furono protagonisti alcuni alti gradi dell’esercito cubano, del processo ad Ochoa e ai fratelli La Guardia, Saviano non dice. Insiste sulla realtà di cui si dichiara esperto: il narcotraffico che è causa e principio di tutto, soprattutto per chi –come a Cuba, come in Colombia- ha fatto ricorso alla lotta armata non trovando nessun altro cammino per arrivare a un intendimento politico.

Oggi, secondo il nostro, le Farc “come partito politico possono avvelenare il dibattito democratico” … dibattito che come è noto a tutti, con Uribe alla presidenza e con tanti suoi predecessori, fluiva in maniera distesa e comprensiva!

Saviano conclude il suo pistolotto sulla Repubblica di oggi, 8 ottobre (anniversario dell’assassinio di un altro guerrigliero, Ernesto Che Guevara), avvertendo le nostre istituzioni a non mollare nella lotta al narcotraffico. L’Italia, non trema nel dirlo, è come la Colombia!

*Alessandra Riccio, docente di Lingua e letterature ispanoamericane alla Facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Istituto universitario Orientale di Napoli. Ha diretto la rivista ‘Latinoamerica’ fondata da Gianni Minà, di cui è ora condirettrice.

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