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Aldrovandi, sotto processo i due cronisti denunciati dalla pm che mollò il caso

Inizia domani a Mantova il processo per la presunta diffamazione della pm di turno quando Aldro fu ucciso e che non si recò sul luogo del delitto.

di Ercole Olmi

Aldrovandi, sotto processo i due cronisti denunciati dalla pm che mollò il caso

Domani in tribunale a Mantova inizia il processo contro l’ex direttore Paolo Boldrini e il cronista Daniele Predieri della Nuova Ferrara accusati di aver diffamato l’ex pm Mariaemanuela Guerra, prima titolare delle indagini sulla morte di Federico Aldrovandi, il ragazzo di 18 anni ucciso da quattro poliziotti durante un feroce “controllo”. Con loro era stata denunciata dalla pm anche la madre di Federico che più tardi, nel libro “Una sola stella nel firmamento” scriverà: «Era lei il pubblico ministero di turno la mattina del 25 settembre. Era lei che avrebbe dovuto esserci in via Ippodromo. Ma non c’era. Invece mi ha querelato, ma alla fine di tutto, dopo il processo d’appello addirittura. A storia conclusa, quando il suo ruolo in questa vicenda era ormai superato, dimenticato da tutti, sicuramente dalla cronaca. E invece lei ha querelato, non solo me. Ha querelato a 360 gradi dirigenti della Questura, poliziotti, giornalisti, chiunque in quel periodo nel processo avesse parlato di lei».

Nell’autunno del 2005, dopo la morte di Federico, la pm disse a lei e al marito Lino: «Io so sempre dov’è mio figlio». Dalla stampa apprendiamo che suo figlio è stato condannato in primo grado nell’ambito dell’inchiesta “Bad Boys” per spaccio di stupefacenti a minorenni. Fu una grottesca operazione antidroga, molto costosa per l’erario (una montagna di intercettazioni per un modesto giro di fumo), che si svolse in contemporanea all’inchiesta sull’omicidio Aldrovandi.

A marzo 2013 per Patrizia ci fu l’assoluzione immediata, senza nemmeno il dibattimento. Il fatto non sussiste e non costituisce reato. Non ha mai diffamato Mariaemanuela Guerra. Accolte in pieno le richieste di applicare l’articolo 129 del codice di procedura penale fatta da Fabio Anselmo, uno dei legali che ha seguito la famiglia Aldrovandi fin dalle prime, faticose, indagini preliminari. Assolti anche Alessandra Mura e Marco Zavagli, i giornalisti della Nuova Ferrara che erano stati tirati in ballo per aver riportato le dichiarazioni della madre coraggio ferrarese.

Il 25 gennaio di quell’anno il procuratore capo di Mantova aveva ammesso di non aver letto la sentenza, già agli atti, emessa dal giudice Caruso, quella che condanna quattro agenti per l’omicidio colposo, ma ha chiesto comunque che la madre di Aldro fosse processata.

La Guerra accusava Patrizia Moretti di aver dichiarato alla stampa che il fascicolo era rimasto vuoto quasi per quattro mesi dopo le violenze di via Ippodromo. Un’idea che ha preso corpo, però, dalle dichiarazioni di uno degli imputati del processo bis. Non solo, la pm ha denunciato la mamma di Aldro anche perché ha dichiarato che era stata coinvolta dal Csm in un procedimento disciplinare da cui era stata prosciolta. In realtà si trattava di una valutazione per l’incompatibilità ambientale della pm stessa rispetto al caso che, dopo la controinchiesta della famiglia, lasciò alle cure di un altro pm, Nicola Proto, che gli diede tutt’altro tipo di impulso. Anche in questo caso, la dichiarazione della signora era partita dalle parole del procuratore capo di Ferrara, Minna, che dichiarò che la Guerra fu «verberata a sangue dal Csm», come ricorda a Popoff una delle madri-coraggio che ha inaugurato con la sua controinchiesta una nuova stagione di verità e giustizia per l’Italia.

La pm Mariaemanuela Guerra era di turno ma non si precipitò affatto al parchetto di Via Ippodromo forse depistata da chi la informò del “solito drogato” crepato su una panchina ma quell’ispettore sarà assolto in appello dall’accusa di averla ingannata. Che la droga non c’entri nulla con quell’omicidio è chiaro a tutti – meno forse ai legali dei quattro, ad alcuni sindacati di polizia che passeranno alla storia per aver applaudito degli assassini e dei politici pregiudicati, e a un politico “spregiudicato” tal Giovanardi da Modena – la domanda resta: perché quella mattina la pm non si recò sulla scena del crimine?

Resta dunque quest’altro processo per altri due articoli usciti nel febbraio 2010. Ai due giornalisti la solidarietà della redazione di Popoff nella quale lavora anche Checchino Antonini che, all’epoca dei fatti, era l’inviato a Ferrara di Liberazione per seguire la controinchiesta su quell’omicidio. Per lungo tempo sia la Nuova che il Resto del Carlino furono piuttosto “scettici”, “timidi” e “cauti” rispetto alla denuncia della famiglia Aldrovandi e dedicarono ciascuno un editoriale di fuoco contro quotidiano del Prc e lo stesso Antonini perché mettevano in dubbio le versioni ufficiali. Negli anni successivi l’atteggiamento dei due giornali rispetto al delitto sarebbe radicalmente cambiato fino a conquistarsi l’onere di difendersi in tribunale. La libertà di stampa in Italia si misurerà anche da sentenza che sortirà fuori da Mantova.

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