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Guerre dimenticate/La terra dei gorilla bagnata ogni giorno dal sangue di 38.000 cadaveri

Nella Repubblica democratica del Congo si combatte il conflitto più duro del pianeta, con la crisi umanitaria più devastante. Se c’è una guerra dimenticata è proprio questa, nel cuore del continente africano.

 

di Franco Fracassi

Trentottomila al giorno. In diciotto anni di guerra sono morte quattro milioni di persone. È forse il conflitto più duro del pianeta. Eppure non ne parla mai nessuno. La crisi umanitaria che ne è stata generata è senza precedenti. La maggior parte delle morti non è provocata dalle violenze del conflitto in corso nella Repubblica del Congo, ma piuttosto dalla malnutrizione e dagli evitabili disagi dovuti al collasso delle strutture sanitarie. Eppure non ne parla mai nessuno. Mai nessun attore hollywoodiano ha promosso raccolte fondi o si è fatto fotografare accanto ai milioni di bambini congolesi malnutriti. Mai nessun concerto di stelle del rock per raccogliere fondi in favore degli oltre dieci milioni di profughi. Se c’è una guerra dimenticata è quella che va in scena nel cuore dell’Africa, tra le montagne ricoperte dalla giungla e abitate dai gorilla, sotto la quale si nascono enormi risorse minerarie., in particolar modo diamanti, oro e coltan (componente essenziale di apparecchi elettronici quali cellulari e computer).

 

La guerra ebbe inizio nel 1996, su impulso dell’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton. Lo Zaire (così si chiamava il Paese) era un Paese politicamente ed economicamente assoggettato alla Francia (e al Belgio). Gli Stati Uniti e il Regno Unito volevano passasse all’area anglofona.

 

Venne individuato un leader, e questi venne messo in condizione di combattere seriamente contro il dittatore Mobutu Sese Seko. Laurent-Désiré Kabila era a capo di un piccolo esercito di guerriglieri dalla fine degli anni Sessanta, spalleggiato inutilmente dalla Cina. Trent’anni dopo si ritrovava a capo di un esercito bene armato e affiancato da mercenari sudafricani (negli anni Novanta il Sudafrica di Nelson Mandela e di Thabo Mbeki è stato il braccio armato di Washington e Londra nell’Africa nera).

 

Nel giro di pochi mesi Kabila cacciò Mobutu dal Paese, si proclamò presidente e trasformò lo Zaire in Repubblica democratica del Congo.

 

Passarono due anni e i ribelli tutsi, ammassati in immense tendopoli al confine col Ruanda, si rivoltarono contro Kabila. Questa volta intervennero ben nove Paesi (Angola, Namibia, Zimbabwe, Zambia, Ruanda, Burundi, Uganda, Sudafrica, Tanzania) trasformando la guerra civile nella «prima guerra mondiale africana» (così venne soprannominata da “Le Monde”): i titsi appoggiati da Francia e Belgio, tutti gli altri con alle spalle Usa e Regno Unito.

 

Si creò una situazione di stallo, e da allora il Paese è spaccato in due: l’ovest controllato dal governo di Kinshasa, l’est (la regione del Kivu) in mano alle milizie tutsi, il Cndp (Congresso nationale per la difesa del popolo). Oggi nelle province orientali persiste la presenza di bande armate, di milizie non governative, di ex-militari e di gruppi tribali, i quali effettuano incursioni e razzie con conseguenti massacri di civili. Tanto che del Congo ha iniziato a occuparsene il Tribunale penale internazionale dell’Aja.

 

Crimini particolarmente efferati sono commessi dal gruppo armato M23, appoggiato dal Ruanda. Sequestri, stupri (anche di bambine), case date alle fiamme, esecuzioni sommarie, torture. Crimini equivalenti a quelli commessi anche dalle truppe governative.

 

L’11 febbraio 2014 undici Paesi africani hanno firmato un trattato di pace,. In seguito alla firma l’Onu ha inviato tremila caschi blu. Una cifra irrisoria per la vastità del territorio e la complessità della situazione. Infatti, la guerra prosegue senza sosta.

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