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La legge non è uguale per Cucchi [ma forse il caso si riapre]

La Procura di Roma, dichiara il Procuratore, potrebbe riaprire il caso. Domani la famiglia da Pignatone. E Ilaria risponde a giudice che incolpa la gogna mediatica

di Checchino Antonini

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La legge non è uguale per Cucchi. La curva Primavera del Torino lo ha voluto scrivere su uno striscione durante il match con l’Atalanta. Ma uno spiraglio sembra aprirsi dopo la sentenza che assolve tutti senza, così pare, rispedire gli atti al mittente per indagini più serie di quelle servite per l’impalcatura del processo per l’omicidio di un detenuto pestato fino a rompergli la schiena e poi “seppellito” nel repartino penitenziario del Pertini. «Se emergeranno fatti nuovi o comunque l’opportunità di nuovi accertamenti, la Procura di Roma è sempre disponibile, come in altri casi, più o meno noti, a riaprire le indagini – ha detto il procuratore capo di Roma, Pignatone – Non è accettabile, dal punto di vista sociale e civile prima ancora che giuridico, che una persona muoia, non per cause naturali, mentre è affidata alla responsabilità degli organi dello Stato». «Prendiamo atto di questa importante decisione – ribatte Ilaria Cucchi a stretto giro di agenzie e alla vigilia dell’incontro con lo stesso Pignatone fissato per domani – Rimaniamo in attesa di giustizia e verità come abbiamo sempre fatto in questi cinque anni. Possiamo dire che vanno azzerate tutte le perizie e le consulenze che hanno fatto solo fumo e nebbia sui fatti».

Ilaria e i genitori si recheranno a piazzale Clodio alle 15 per non intralciare l’attività delle udienze. Ci aspettiamo che il procuratore capo ci ascolti. Dopo questa sentenza, vogliamo parlare con lui del fallimento della procura, ci aspettiamo collaborazione e chiarimenti su come intenda andare avanti».

Intanto Ilaria, con una lettera aperta risponde al presidente della Corte d’appello di Roma che ha ‘Nessuna gogna mediatica e nessun invito a ‘far pagare i magistrati per i loro errorì se non vogliamo rischiare di perdere molto di più di quanto di quanto si sia perso in questa triste vicendà. Nutro profondo rispetto per la magistratura perché faccio parte di una famiglia italiana media di cittadini che hanno sempre rispettato la legge e pagato regolarmente le tasse. Rispetto, ma non venerazione. Lei parla di gogna mediatica. Secondo il dizionario della lingua italiana ‘gognà è ‘un collare di ferro, legato con una catena ad un muro o ad un palo che si metteva al collo di chi era condannato alla berlinà ma esprime pure una metafora: mettere qualcuno alla gogna vuol dire esporlo al pubblico disprezzo». Così Ilaria Cucchi, sorella di Stefano si rivolge a Luciano Panzani, presidente della Corte d’appello di Roma. «Allora dottore, non credo di mancare di rispetto a lei ed alla Magistratura – prosegue la lettera aperta di Ilaria Cucchi – se mi permetto di dirle che le critiche rivolte ai suoi colleghi per quanto sta accadendo nel processo di mio fratello sono tutt’altro che una gogna. Chiedere responsabilità per chi sbaglia e commette gravi e ripetuti errori non significa metterlo a gogna. Responsabilità, solo responsabilità e non altro. Come per chiunque altro cittadino. Perché mi risulta che per la nostra costituzione tutti dovremmo essere uguali di fronte alla legge. Da una persona come lei, col suo ruolo, mi sarei aspettata maggior cautela ed equilibrio nell’uso di un termine come questo che ritengo assolutamente inappropriato. Invocare responsabilità per chiunque sbagli e commetta gravi errori non significa metterlo alla gogna. Processare un ragazzo di soli trentun anni, dopo averne causato la morte tra atroci sofferenze come può essere allora definito? Processare la sua famiglia, definire in aula Stefano come un tossicodipendente da vent’anni cafone e maleducato cosa vuol dire?».

«Allora caro Dottore, io voglio rivolgerle alcune semplici domande – scrive ancora Ilaria Cucchi – È normale in un processo come il nostro che il consulente della Procura di Roma appena nominato per eseguire l’autopsia (Arbarello) dichiari pubblicamente al tg5, ancor prima di iniziare ad eseguire l’incarico, che il suo compito dovrà essere quello di dimostrare che la responsabilità per la morte di Stefano è tutta dei medici? E che di fronte a questo la Procura non prenda provvedimenti? Così è iniziato questo processo. È normale che poi, durante il processo stesso, lo stesso prof. Arbarello venga poi nominato consigliere di amministrazione di un importante gruppo assicurativo interessato alla vicenda, insieme al fratello dell’allora ministro della difesa che fin dalle prime battute, anticipando ogni indagine aveva a gran voce escluso ogni responsabilità dei carabinieri sul pestaggio di Stefano quando oggi i Giudici e le difese stesse degli agenti li indicano come i veri esecutori? E ciò nel silenzio ed inerzia di pm e giudici come se nulla fosse? È normale che i Periti della Corte di primo grado, oggi tanto criticati da tutti, in pieno dibattimento di primo grado con sentenza ancora da pronunciare, abbiamo ceduto alla tentazione di dimostrare quanto sono stati bravi organizzando a Milano un bel convegno per far vedere a tutti come sono riusciti a risolvere ‘il caso Cucchi?’ E ciò nella tranquillità dei Giudici? Potrei andare avanti all’infinito a porle interrogativi come questi. Io non ho criticato la sentenza della corte. Ho nelle orecchie le parole del mio avvocato pronunciate in udienza preliminare quasi con disperazione. Ho nella mente il suo monito ai PM: ‘con questo impianto accusatorio e con questi consulenti e con questo capo di imputazione ci porterete al massacro. Gli avvocati delle difese ci faranno a pezzì. Questo diceva Fabio Anselmo di fronte al gip ben quattro anni fa. Ma io voglio solo chiederle ancora soltanto questo: Il 16 ottobre del 2009 Stefano veniva portato, pestato e sofferente, nel suo tribunale di fronte ai suoi colleghi, indicato come albanese senza fissa dimora. Stefano era sofferente e lo ha detto. Nessuno lo ha guardato e, tantomeno, considerato. Stefano era in condizioni tali da fare pietà ai sanitari ed agli stessi agenti che lo hanno via via preso in consegna. Ma nessuno ha fatto niente. Lo stesso avvocato Perugini ha dichiarato in udienza che se i due magistrati suoi colleghi avessero fatto il loro dovere le cose sarebbero andate diversamente. Ma nessuno ha fatto nulla e tutto è stato considerato normale. Allora presidente, io allora le chiedo ancora quest’ultima cosa: Senza che si debba parlare di gogna che cosa un cittadino normale di un paese che si vuole definire normale può pensare di tutto questo? Meglio nascondere e tacere? Mi dica lei».

 

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