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Scontri alle frontiere tra Israele, Libano e Siria. Ucciso casco blu spagnolo

Dopo un attacco Hezbollah contro un convoglio israeliano, nella rappresaglia di Tel Aviv ucciso un effettivo spagnolo dei Caschi Blu

di Marina Zenobio

Soldati israeliani pattugliano la frontiera con il Libano
Soldati israeliani pattugliano la frontiera con il Libano

“Raccomandiamo a chi ci sfida di ricordare cosa è successo a Gaza l’estate scorsa” è stata la per niente sottole minaccia del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu al movimento sciita libanese Hezbollah che questa mattina ha colpito con un missile un convoglio israeliano distruggendo uno dei blindati.

L’attacco di Hezbollah è avvenuto nell’area di Har Dov, vicino al villaggio di Ghajar, che si trova sulla line di confine tra il Libano e il Golan occupato, nelle cui vicinanze anche la Siria ha sue truppe di stanza. Secondo i media dello Stato ebraico, quattro militari dell’esercito di Tel Aviv sono morti e 4 feriti, ma non c’è conferma, confermata invece l’uccisione di un casco blu spagnolo, causata probabilmente dalla rappresaglia israeliana.

Rappresaglia che non si è fatta attendere: i media libanesi parlano di almeno 25 granate sparate dall’artiglieria israeliana contro il Sud del Paese dei Cedri, contro i villaggi lungo il confine di Majidiyeh, Abbasiyehe Kfar Chouba. E’ in questo contrattacco, secondo quanto riportato dalla funzionaria dell’Onu Andrea Tennet, che il casco blu spagnolo della missione Unifil è rimasto ucciso sotto il fuoco israeliano. Tel Aviv ha chiesto alla missione di Peacekeeping Onu nel Sud del Libano a ridosso della Linea Blu di demarcazione con Israele, di restare nelle proprie postazioni.

Il tutto è accaduto dopo che l’aviazione israeliana è entrata in azione, all’alba di oggi, per colpire obiettivi militari siriani, dopo che due razzi erano caduti sul versante delle Alture del Golan, 1200 chilometri quadrati occupati da Israele nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, e annessi nel 1981, una annessione unilaterale mai riconosciuta a livello internazionale.

I due missili, che non hanno fatto vittime né danni, sono stati probabilmente lanciati dalla Siria, ma non è chiaro se si sia trattato di un’azione voluta, ancora non rivendicata, o di una conseguenza del conflitto in corso nel Paese da quasi quattro anni.

Come riportato in un comunicato delle Forze Armate israeliane, ripreso dall’agenzia Nena News, per lo Stato ebraico è comunque stata una intollerabile “violazione della propria sovranità”. Mentre il ministro della difesa di Tel Aviv, Moshe Yaalon, ha comunicato di aver lanciato “un messaggio chiaro: non tollereremo alcuno sparo contro il territorio israeliano e risponderemo con vigore e determinazione”. Il messaggio chiaro è ancora una volta diretto al presidente siriano Bashar al Assad, e alle sue truppe di stanza nel Golan che combattono contro i gruppi islamisti, poiché Israele ha chiarito da tempo che ritiene Damasco responsabile per ogni violazione della propria “sovranità”.

La tensione è dunque altissima tra il governo di Benjamin Netanyahu e quello di Damasco, sostenuto dall’Iran e dal movimento sciita libanese Hezbollah, e quella odirena non è la prima incursione israeliana in territorio siriano. Dieci giorni fa, riprendiamo da Nena News, l’aviazione dello Stato ebraico ha colpito nella città di Quneitra, uccidendo sei uomini di Hezbollah, tra cui Jihad Mughniyeh, figlio dell’ex comandante dell’ala militare del Partito di Dio, Imad Mughniyeh, e il generale della guardia rivoluzionaria iraniana, Ali Allahdadi. Per questo omicidio Teheran ha promesso una “risposta” e ha detto di avere inviato il messaggio tramite funzionari statunitensi. Una circostanza che il dipartimento di Stato Usa non ha commentato né smentito.

Trovando Quneitra in una zona smilitarizzata delle Alture del Golan, in teoria sarebbe sotto controllo della missione peacekeeping Undof, in realtà si è trasformata nell’ultimo fronte apertosi nella battaglia tra l’esercito fedele ad Assad e i suoi oppositori, tra cui il Fronte al Nusra, braccio siriano di al Qaeda.
Da tempo Damasco accusa Israele di dare appoggio ai cosiddetti ribelli, e il presidente siriano da parte sua ha accusato Tel Aviv di fornire un’aviazione ad al Qaeda, ribandendo l’illegalità dei raid israeliani sulla Siria. Lo scorso dicembre, Damasco ha denunciato un bombardamento israeliano sui sobborghi della capitale.

La cooperazione tra Israele e il Fronte al Nusra, che a rigor di logica dovrebbero essere nemici giurati, è stata confermata anche dagli osservatori dell’Undof (Forza di disimpegno degli osservatori delle Nazioni Unite). E proprio in un rapporto Undof si parla di comunicazioni tra le due parti e di 59 incontri tenutisi dal marzo 2013 allo scorso maggio. Ancora secondo quando riferito dalla missione Onu, 89 miliziani del Fronte al Nusra feriti in combattimento sono stati trasportati e curati in ospedali israeliani e solo 19 hanno fatto rientro in Siria. Quest’ultima circostanza è stata confermata da Tel Aviv e giustificata con “ragioni umanitarie”, due parole che hanno il sapore di disprezzabile ironia se il pensiero va a Gaza, la scorsa estate.

L’aumento esponenziale della tensione alle frontriere tra Israele, Siria e Libano ha portato il segretario generale della Lega Araba, Nabil Elaraby, a rivoltersi al Consiglio di sicurezza dell’Onu Nazioni Unite con la richiesta di intervenire per fermare l’escalationn del conflitto. Un ultim’ora, da fonti libanesi, riferisce di una nave militare israeliana entrata nelle acque territoriali del Paese dei Cedri.

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