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Una neonata non è un pacco postale da spedire in una clinica privata

Lo scandalo indicibile delle cliniche private: cosa succede quando ci sono emergenze o complicanze? Il caso paradigmatico di Catania dopo la morte della neonata

di Mephisto

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In queste ore le prime pagine sono dedicate alla morte di una neonata catanese che presentava gravi sintomi respiratori, sembra da difficoltà meconiale in trachea, nata in una clinica privata e deceduta durante il trasporto in ambulanza da Catania all’ospedale di Ragusa.

Tre ospedali catanesi si sono lavati le mani: non avevamo posti disponibili in terapia d’urgenza neonatale. La clinica privata fa sapere che erano state seguite tutte le procedure da manuale: forse bisognerebbe chiedersi se Misseri dell’omicidio di Avetrana possa dire anche in questo caso “Ho stato io!”.

Ma vediamo piuttosto di scavare da vecchie talpe. Su un giornale locale SICILIA Journal il deputato, nonché medico, 5Stelle Giulia Grillo ha ieri detto di getto alla notizia della tragedia catanese: “ho presentato una interrogazione urgente poiché ritengo opportuno e necessario inviare immediatamente ispettori ministeriali per verificare se le condizioni della clinica privata di Catania erano idonee per il parto e per il decorso post partum della neonata in questione nonché per verificare se la non accettazione in rianimazione della neonata in grave crisi respiratoria negli ospedali catanesi è stata pienamente razionale e ineluttabile e se sia stato avvertito l’assessore regionale competente in relazione all’emergenza catanese di carenza di posti nelle unità pediatriche di rianimazione. In un paese che voglia dirsi europeo e in un distretto sanitario che coinvolge svariate centinaia di migliaia di residenti la situazione dei posti di rianimazione pediatrica deve rispondere a dei requisiti minimi di posti letto perfettamente funzionali e, nel caso raro di emergenze di sovraffollamento della rianimazione pediatrica, bisogna mettere in atto delle procedure di contenimento della situazione di “desaster” quali l’eventuale spostamento temporaneo di pazienti in altra unità ospedaliera in considerazione della gravità di nuovi ricoverati ovvero altri tipi di allestimento emergenziale in coordinamento con l’assessorato regionale alla Sanità”.

Si è incentrata l’attenzione di molti commentatori sul caos logistico del diniego di ricovero della neonata in grave crisi respiratoria: evento di assoluta gravità etica se non penale. Una neonata in gravi condizioni non è un pacco postale da sballottolare perché non c’è posto nelle unità di terapia d’urgenza neonatale in ben tre centri ospedalieri in una delle città più popolose d’Italia. Il dramma originale, il peccato originale consiste nel taglio dei posti letto e del personale medico e paramedico dei  negli ospedali pubblici per l’infamia del rigore dei tagli alla sanità pubblica che è stata imposta come un servile ja ai dettami delle cosiddette politiche di rigore nazionali ed europee. Siamo arrivati al paradosso che la gestione del primo caso italiano di Ebola allo Spallanzani di Roma è stata garantita dal lavoro eroico dello scarso personale medico e infermieristico specializzato con turni di lavoro massacranti insieme a una dose fortuna; il parossismo nei lavori stressanti porta spesso ai disastri!

Almeno una linea neoliberista di tagli si dovrebbe accompagnare all’esistenza di protocolli e misure rigorose per gestire razionalmente la penuria di posti letto: macché… la situazione della gestione ospedaliera emergenziale è lasciata al vuoto pneumatico della non esistenza di desaster manager. Quando c’è, esiste solo un po’ un po’ di buona volontà improvvisata e individuale. Anzi la prevalente attenzione è quella evitare di assumere una qualunque responsabilità.

Ma esiste una questione gravissima e mai stressata ed evidenziata: le cliniche private!

Le cliniche private si fanno pagare profumatamente dai pazienti, o dalle loro assicurazioni, interventi chirurgici ed ospedalieri, compresi ovviamente i parti. Però le strutture di rianimazione e di terapia d’urgenza sono molto molto costose: pertanto nelle cliniche private dette strutture sono limitate, anzi spesso inesistenti… Quando si realizzano nelle cliniche private delle difficoltà postoperatorie di rilievo, i medici si adoperano per qualche tempo a gestire l’emergenza ma poi si rivolgono sovente al SSN, ai tanto vituperati ospedali pubblici: insomma l’onere delle complicanze spetta al SSN, cioè a Pantalone senza possibilità di rivalsa pubblica contro le cliniche private. Il costo ospedaliero dell’unità di terapia intensiva è elevatissimo per non parlare della degenza e della terapia di ricupero di molti pazienti post terapia d’urgenza, se riescono a sopravvivere, quando non si assommano i costi di una pensione di invalidità a vita. Delle inadeguatezze delle cliniche private insomma risponde il welfare pubblico. Ma perché questa congiura del silenzio? I padroni delle cliniche private sono spesso congreghe religiose potentissime ovvero personaggi accriccati a cordate politiche di stazza.

In effetti come è la situazione della clinica in questione di Catania? Il Corriere della Sera ci fa sapere che la clinica “ è il fiore all’occhiello della sanità privata, orgoglio di una famiglia molto nota, quella di Vincenzo Gibiino, il coordinatore regionale di Forza Italia”.

Hic Rhodus, hic salta, era solito dire il Moro di Treviri….

1 COMMENTO

  1. Tanti anni fa, a Catania …
    Nei primi anni Ottanta ero un giovane cronista di nera a Catania. Una domenica pomeriggio di luglio mi chiamò dall’ospedale Garibaldi il poliziotto di guardia, con cui avevo un accordo: mi segnalava i casi buoni per la cronaca, e io in cambio gli insegnavo a giocare a tennis!: “Abbiamo un ragazzino morto in ambulanza mentre lo portavano a Messina; dicono che doveva fare un esame alla testa, ma in tutta Catania non c’è una TAC funzionante”.
    Nei giorni successivi ricostruii tutta la storia: Alfio aveva 14 anni, era caduto dal motorino battendo la nuca e lo avevano portato al Garibaldi, distante poche centinaia di metri dal luogo dell’incidente; da lì era ripartito perché in quell’ospedale con migliaia di posti letto e di dipendenti, le tre Tac erano in manutenzione. Da lì Alfio era stato portato al Vittorio Emanuele, poi al Santa Marta, poi negli altri ospedali cittadini. Ma la Tac era ovunque inagibile. Dopo ore di attesa e giri a vuoto, l’ambulanza aveva imboccato l’autostrada per Messina, ma il cuore di Alfio aveva smesso di battere all’altezza di Taormina.
    Iniziai a fare qualche domanda in giro, volevo capire per quale motivo in una città di 600.000 abitanti un ragazzino potesse morire per mancanza di una Tac funzionante. Venne fuori che tutti i primari e alcuni medici dei reparti dotati di Tac erano proprietari, attraverso mogli, figli e fratelli, di strutture private che fornivano il servizio di Tac in convenzione con la regione siciliana, a prezzi spropositati rispetto a quelli di mercato. (…)
    Il povero Alfio aveva avuto bisogno della Tac proprio di domenica quando le strutture private erano chiuse.
    Scrissi il mio pezzo, pubblicai i documenti, e poi aspettai che scoppiasse il putiferio. Invece non accadde nulla. Un primario onesto mi spiegò che i luminari coinvolti, i direttori sanitari dei tre ospedali, il sindaco di Catania, l’assessore regionale alla sanità, erano tutti iscritti alla Democrazia Cristiana, e tutti appartenenti alla stessa corrente di partito. Non iscritti, ma idealmente militanti nella stessa corrente, erano anche il procuratore capo della Repubblica e il Presidente del tribunale. Tutti questi uomini si coprivano fra di loro” (…)
    Da “Andreotti – Il papa nero” di Michele Gambino

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