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Fellini mi parlò perché m’ero venduto la moto

Il maestro dell’immaginazione mi aveva invitato quel giorno, per caso, a preferire sempre la realtà alla sua rappresentazione

di Carmelo Albanese

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Ripensavo a un momento simpatico che ho vissuto. Uno dei tanti. Come tutti intendiamoci, ognuno ha vissuto i suoi, ma io ci faccio caso. Me li ricordo a lungo. Finisco per attribuirgli un senso. Magari a distanza di tempo.

Avevo frequentato un corso di cinematografia con Silvano Agosti, se non sbaglio il primo che fece. Subito dopo ho venduto la mia moto, una Honda 125 NSF alla quale ero molto legato, per comprarmi una telecamera VHS: una delle prime.

Ancora oggi non so se feci la scelta giusta, ma questo è un altro discorso. Da allora non ho fatto altro, per cinque lunghi anni, che andare in giro con questa telecamera a filmare praticamente tutto.

Una volta mi trovavo a Via Margutta, a Roma, per la festa dei cento pittori. Incurante dei tanti quadri da filmare, mi ero concentrato nel riprendere un uomo che dormiva praticamente in mezzo alla strada, avvolto in un sacco della spazzatura. Aveva capelli lunghi arruffati e un barbone incolto. Stava sdraiato lì, in mezzo al trambusto. Anche lui incurante  di tutto. Io per indole, lui per necessità.

La cosa che più mi colpiva era il contrasto tra quello che sarebbe dovuto essere il trionfo del colore per la mostra dei quadri e il bianco/nero dell’uomo. Più nero che bianco, a dire il vero. Mi colpiva anche un’altra cosa (ero già molto polemico, ho iniziato ad esserlo proprio vendendo la moto); il fatto che tra cento pittori, nessuno sembrasse interessato a dipingere quel “quadro vivente”.

Ero lì da almeno mezz’ora, quando uscì dal portone di fianco un signore anziano con una busta della spazzatura in mano. Alto. Grassoccio. Capelli bianchi sulle tempie molto folti, un po’ ricci. Sciarpone rosso avvolgente. Occhiali. Impermeabile, o qualcosa del genere. Sembrava Federico Fellini. Infatti era lui. Prese a guardare l’addormentato. Poi guardò me che filmavo. Si avvicinò e mi disse:

  – Che è sta roba che hai? –

Mi venne da ridere. Come per dire “e che proprio tu me lo chiedi a me?”.

  – Una telecamera – risposi sempre sorridendo.

Aveva capito da subito che lo avevo riconosciuto, malgrado fosse ben coperto dalla sciarpa e dagli occhiali.

  – Eh si! Lo so che adesso ce so ste robe! – disse sospirando con leggero disappunto. Poi proseguì.

  – Non lo so se sono una cosa buona, ma tu usala sempre così. Riprendi sempre lui invece dei quadri. Bé, ora vado che devo buttare la mondezza –

Si girò e si allontanò. Secondo me sparì, perché non riuscii più a vederlo.

Solo ora mi rendo conto che il maestro dell’immaginazione mi aveva invitato quel giorno, per caso, a preferire sempre la realtà alla sua rappresentazione. In fondo è stata una grossa opportunità che mi è capitato di vivere.

P.S. e comunque sarebbe stato meglio tenere la moto.

per gentile concessione di https://carmeloalbanese.wordpress.com/2015/03/10/dolce-vita-si-ma-fino-a-un-certo-punto/

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