Oltre 1000 persone hanno manifestato oggi a Napoli per chiedere verità e giustizia per l’omicidio di Davide Bifolco
Di Carlo Perigli
Guardateli negli occhi mentre intonano cori per Davide tenendo lo striscione. Scrutate le loro espressioni, hanno la stessa età di chi non c’è più, anche loro vittime di quegli odiosi pregiudizi che li criminalizzano a prescindere, che si ergono a indagini sociologiche pur di giustificare l’eminente pistola che spara. Un gioco già visto, che delegittima la vittima pur di comprendere il colpevole. Così, come Federico Aldrovandi è stato dipinto come un tossico, Dino Budroni come uno stalker e Stefano Cucchi come uno spacciatore, per Davide Bifolco è bastato ricordare la sua provenienza dal Rione Traiano, un quartiere periferico di Napoli, tante case popolari e pochi servizi, per permetterci di infilare la testa nella sabbia, di non affrontare qualcosa o qualcuno più grande di noi, di bollare il tutto come “cose che capitano”.
La realtà però è diversa e l’ha spiegata appieno in un articolo Ascanio Celestini, oggi presente al corteo. «Li chiudono nel ghetto e raccontano che lì dentro c’è una guerra, così possono giustificare la militarizzazione e, se ci scappa il morto, fuori da quel recinto verrà letto come la vittima di un conflitto qualunque, come se ci trovassimo a Gaza o in Siria». Oggi però la realtà ha scavalcato il recinto, irrompendo nel centro di Napoli insieme ad oltre 1000 persone, per chiedere giustizia e verità per Davide Bifolco. «Davide vive con noi» non è solo un coro, è la realtà delle periferie che si manifesta con forza di fronte ad una città, ad un Paese, a tutti quelli che si ricordano di loro solamente quando c’è da aggiungere una nuova pagina al triste libro della cronaca nera. È di Davide ogni mano che tiene lo striscione, è di Davide ogni voce che grida il suo nome, sono di Davide gli occhi lucidi di quei ragazzi oggi in piazza, che ogni giorno vivono disagio sociale e repressione, soprusi e mistificazione.