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Come uccisero il Brasile d’Europa (parte 2)

Mentre la Nazionale si prepara ai Mondiali, dal 1989 la Jugoslavia inizia ad essere scossa da liberismo e nazionalismo. Ad Italia ’90 andrà in scena l’ultimo atto del Brasile d’Europa

Di Carlo Periglijugoslavia

(Segue da Parte 1)

Il calcio, almeno da parte di chi lo gioca, per il momento prova a rimanerne fuori. Se dal 1989 le sei Repubbliche accelerano il processo di allontanamento dalla Federazione, la Nazionale rimane coesa. Così, mentre sulla scena politica ed economica iniziano ad affacciarsi i partiti nazionalisti e l’economia liberista, la selezione che si appresta a viaggiare verso l’Italia rimane fedele alla sua identità jugoslava. I giovani sono cresciuti e ora affiancano senatori del calibro di Stojkovic, Savicevic e Katanec. La squadra è rodata, domina le qualificazioni senza perdere nemmeno una partita ed elimina la più blasonata Francia. Ma all’alba delle notti magiche una serie di episodi iniziano a scuotere il calcio jugoslavo, lastricandone la strada verso la distruzione.

Il primo, probabilmente anche il più famoso, racconta gli eventi che si svolsero al Maksimir di Zagabria il 13 maggio 1990, nella cornice dell’ormai noto, per quanto mai giocato, incontro tra Dinamo e Stella Rossa. A differenza del passato, questa volta gli scontri avvengono in una cornice politica totalmente inedita. L’8 aprile l’Hdz, il partito nazionalista guidato da Franjo Tudjman, ha vinto le prime elezioni multipartitiche in Croazia, della quale il 30 maggio diventerà poi Presidente. Sugli spalti compaiono le bandiere a scacchi, mentre i vessilli jugoslavi appaiono con un ampio buco al posto della stella rossa. L’ormai noto calcio volante, rifilato da Boban ad un poliziotto, divenne presto il simbolo del progressivo ma inevitabile allontanamento di Zagabria dal resto della Federazione. I nazionalisti si erano ormai affermati, e per nulla al mondo avrebbero rinunciato a sfruttare il calcio come infallibile strumento di propaganda.

Tuttavia, la prima vera scollatura tra la Nazionale jugoslava e il suo pubblico avviene circa venti giorni dopo. Il teatro è sempre il Maksimir, che stavolta ospita l’amichevole tra Jugoslavia e Olanda, ultimo test prima della partenza per l’Italia. Lasciamo il racconto degli eventi alle parole di Dragan Stojkovic, capitano e leader di quella selezione:

«Facemmo la preparazione a Zagabria e giocammo un amichevole contro l’Olanda. I tifosi di casa iniziarono ad intonare cori contro di noi e a favore degli olandesi. Era molto strano da vedere e da sentire, e il ct dell’Olanda Leo Beenhakker in conferenza stampa dichiarò di non sapere che la sua nazionale avesse così tanti fan là. Più tardi qualcuno gli spiegò che [la situazione] era contro di noi. A quel punto capimmo che qualcosa sarebbe successo, ma in squadra non c’erano problemi. Avevamo Prosinecki dalla Croazia, Pancev dalla Macedonia, Susic dalla Bosnia, Katanec dalla Slovenia, io dalla Serbia e Savicevic dal Montenegro. Non abbiamo mai avuto questo genere di problemi e mai discutemmo o scherzammo su questo».

jugoslaviaNonostante le premesse però, in Italia la Jugoslavia conferma il suo talento, passa agevolmente il girone (sconfitta solo dalla Germania) e delizia il mondo contro la Spagna, grazie alle prodezze di un meraviglioso Dragan Stojkovic, autore di una straordinaria doppietta. Sugli spalti sventolano le bandiere con la stella rossa, il pubblico sostiene la sua Nazionale, ma un ulteriore episodio contribuirà nuovamente a destabilizzare l’ambiente sportivo. Poco prima della partita con l’Argentina, valida per i quarti di finale, Srecko Katanec, mediano e punto di riferimento della selezione, chiede al c.t. Ivica Osim di essere escluso dalla formazione titolare: «Per favore non mi  faccia giocare, ho ricevuto delle minacce nella mia città, sono preoccupato di giocare per la Nazionale». Osim capisce, la situazione sta diventando instabile e nemmeno la Nazionale ne è più immune.

Non è più una questione di bilanciamento tra le varie Repubbliche per le convocazioni, gli avversari di quella Nazionale ora si chiamano politica e criminalità, che incitano quelli che una volta erano i suoi tifosi. La Jugoslavia in campo resiste, perdendo solamente ai rigori nonostante l’inferiorità numerica per circa novanta minuti. L’errore decisivo, ironia della sorte, è proprio di capitan Stojkovic. I mondiali italiani confermano però la maturità del calcio jugoslavo, pronto a puntare i Campionati Europei del 1992. Nessuno poteva immaginare che quell’esplosione di talento avrebbe rappresentato il canto del cigno del promettente Brasile d’Europa.

(Clicca QUI per la parte 3)

Come uccisero il Brasile d’Europa (parte 2)
www.storiedelboskov.it

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