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Porto Rico: la Grecia dei Caraibi

Il debito soffoca la colonia nordamericana di Porto Rico che non è libera neanche di dichiarare bancarotta. Ma di diventare un paradiso fiscale sì

di Marina Zenobio

Porto Rico, manifestazione per l'indipendenza dagli Usa
Porto Rico, manifestazione per l’indipendenza dagli Usa

Il debito soffoca l’economia di Porto Rico, sotto controllo degli Stati Uniti dal 1898, davanti lo sguardo impotente di un governo locale ammanettato da uno status coloniale che gli impedisce persino si dichiarare bancarotta.

Porto Rico ha un debito di 72.200 milioni di dollari, equivalente al 105% del suo Pil, poco meno degli 86.000 che potrebbe costare il terzo salvataggio della Grecia. La sua Costituzione, disegnata sotto l’attento sguardo degli Usa, è una camicia di forza che mette, sopra qualsiasi altra spesa, il pagamento del debito. Questa particolarità rappresenta un serio rischio in un territorio che importa l’87% degli alimenti e che è da nove anni in recessione.

Il 28 giugno la Grecia aveva annunciato il temuto default, dopo la decisione della Banca centrale europea di razionarle la liquidità di emergenza. Quello stesso giorno, dall’altra parte del mondo, il New York Times  pubblicava un titolo passato inosservato: “Il governatore di Porto Rico dice che il debito dell’isola è impagabile”.

Alejandro Garcia Padilla, governatore di Porto Rico, nel corso di una intervista ha dichiarato: “Il debito è impagabile, non ci sono altre opzioni (…) non si tratta di politica ma di matematica”. Da febbraio, Moody’s, Standard&Poor’s e altre agenzie del cartello di rating tengono il debito dell’isola nella categoria di titolo spazzatura.

L’economia portoricana non può continuare a nuotare ma non ha il permesso di affogare. Le turbolenze del 2008 hanno colpito l’isola nel momento peggiore e, come in Grecia, continuano ad erodere i suoi già di per sé deboli indicatori sociali e economici. I trattati di libero commercio tra Stati Uniti e i suoi vicini hanno spazzato via l’industria di Porto Rico trasferendola verso la Repubblica Dominicana, il Messico ed altri paesi della regione, elevando la disoccupazione fino al 13%, il doppio rispetto alla “madrepatria”. L’isola stringe la cinghia ma mantiene un deficit strutturale del 3,5%.

Come in Grecia, le politiche di austerità hanno accelerato l’esodo dall’isola caraibica. Tra il 2010 e il 2013 circa 144.000 portoricani sono emigrati negli Stati Uniti, dove questa comunità già ammonta a 4,7 milioni di persone, solo in 3,6 milioni sono rimasti nell’isola. Si calcola che tra il 2006 e il 2011 l’emigrazione verso il nordamericana ha stappato via l’equivalente di un quarto del Pil di Porto Rico. Il 45% delle famiglie rimaste sull’isola vivono al di sotto della soglia di povertà.

“Una prima alternativa sarebbe dichiarare una moratoria unilaterale del pagamento che permetta di revisionare il debito (…) i debiti cattivi devono essere dichiarati nulli, il resto va rinegoziato”, spiega Frederick Cortés, portoricano militante della Federazione di studenti e del lavoro sociale. Cortés denuncia anche il dramma degli oltre 8.000 sfrattati degli ultimi anni, la profonda precarizzazione del lavoro e la selvaggia privatizzazione del sistema sanitario.

“L’indipendenza dagli Usa è l’unica cosa che potrebbe permettere al mio paese di spezzare la sua condizione di colonia, e avrebbe sicuramente più probabilità di crescita” dichiavara qualche tempo fa René Pérez Joglar, cantante del gruppo portoricano Calle 13, ricordando anche che lo status di colonia obbliga molti giovani donne e giovani uomini di Porto Rico ad andare in guerra per difendere la nazione nordamericana.

Puerto Rico non può beneficiare del Bankruptcy Code, che regola il diritto fallimentare negli Stati uniti, di conseguenze le sue imprese pubbliche non possono ristrutturare il pagamento del debito. Dopo aver rimbalzato più volte contro il muro di gomma della sua sovranità limitata, per uscire dal pantano il governo portoricano ha contattato Anne Krugger. La ex dirigente della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale ha elaborato un ricettario tra i più originali: eliminare il salario minimo di 5,08 dollari l’ora, facilitare i licenziamenti, alzare le tasse al consumo, ritagliare sussidi sanitari ed educativi, licenziare gli insegnanti e altre perle dal sapor di troika.

La più piccola isola delle Antille spagnole non è autorizzata a negoziare aiuti con gli organismi finanziari internazionali, compreso la Banca Interamericana di Sviluppo. Tanto meno può chiedere aiuto ad istituzioni come la Fao o all’Unpd (Programma Onu per lo Sviluppo), né entrare in organismi regionale come Celac (Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi), Petrocaribe o l’Oea (Organizzazione degli Stati Americani). Tuttavia il governo locale sì che può cambiare la legge per trasformare l’isola in un paradiso fiscale. In realtà già lo ha fatto: 0% di tasse su dividendi e guadagni in conto capitale per attrarre i milionari.

Proprio come succede in Grecia con l’euro, Porto Rico non può svalutare il dollaro. A Washington fanno orecchi da mercante sui problemi della colonia caraibica, destinazione per vacanze al mare, spiagge e mojito a basso costo e culla di tante stelle del pop.
Molti analisti vedono in questa disattenzione da parte del Congresso degli Stati Uniti la paura che il mancato pagamento dell’isola inneschi richieste di finanziamento di città in bancarotta, come per esempio Detroit.

Altro fattore chiave sta nel ruolo dei creditori: il debito di Porto Rico è in mano di fondi di investimenti statunitensi. “I possessori di debito hanno moltissima influenza sul governo locale e federale”, spiega Cortés, che cita come esempio il Comité Asesor para la Reestructuración Económica y Fiscal, entità creata dal precedente governo e formata da dirigenti bancari e industriali che hanno messo in marcia le privatizzazioni e i tagli ai diritti sociali.

Per dirla con le parole di Rubén Berríos, storico leader indipendentista portoricano: “Se il problema è il colonialismo, non può essere anche la soluzione”.

Porto RIco, panoramica
Porto RIco, panoramica

1 COMMENTO

  1. Chissa’ se questo articolo, cosi’ coraggioso ed estremamente interessante,verra’ letto anche in Grecia e arrivera’ sul tavolo di lavoro di Tsipras ? Perche’ e’ chiaro che fra Grecia e Porto Rico vi sono molte.moltissime analogie. Ma l’analogia piu’ dolorosa e’ quella secondo cui sia Porto Rico che la Grecia altro non sono se non due colonie: Porto Rico sotto controllo degli USA e la Grecia nelle mani della nuova TROIKA !!!

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