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Che cos’è il genio?

Milan-Barcellona, la sera in cui la genialità di Savicevic mise a tacere l’arroganza di Cruyff

Di Carlo Perigli

savicevicChissà come si sarà sentito Johan Cruyff al fischio finale. Male, sicuramente male, sconfitto e umiliato da quella squadra a cui alla vigilia non dava alcuna possibilità di successo. Lui era un vincente alla guida di un dream team, l’espressione del calcio spettacolo contro cui niente avrebbe potuto il “difensivo catenaccio” rossonero. Ad Atene il 18 maggio 1994 il Barcellona era pronto ad alzare un altro trofeo, dopo lo scudetto, il quarto consecutivo, vinto tre giorni prima. In Catalogna, nonostante la finale fosse imminente, il successo in campionato venne festeggiato in pompa magna, con i tifosi blaugrana che stendevano striscioni in onore di  “Koeman el canonero“, “Romario el Pichichi“, e “Stoichkov la Garra“.

Festeggiare a pochi giorni da una finale è una mossa azzardata, ma Cruyff era sicuro di vincere, di alzare la sua seconda Coppa Campioni da allenatore battendo un’altra italiana a due anni dalla finale di Wembley contro la Sampdoria. Il tecnico olandese si faceva fotografare con la coppa alla vigilia della partita, diceva che avrebbe fatto polpette del Milan. «Capisco le preoccupazioni dei rossoneri – dichiarava alla vigilia – però bisogna ammettere che il nostro attacco è devastante. Senza Van Basten il Milan invece riesce appena a contrattaccare e noi sapremo come regolarci». D’altronde, aggiungeva, la differenza è nella differente caratura degli acquisti fatti dalle squadre: il Barcellona ha comprato Romario, una stella, mentre il Milan ha preso Desailly, «un operaio del pallone senza tecnica calcistica». Cruyff si piaceva così tanto da invitare i tifosi rossoneri presenti ad Atene a «godersi questo Barcellona», perchè, spiegava, «agli italiani non capita tutte le settimane di vedere una squadra che gioca come la nostra. Signori – annunciava profetico – il mondo ha bisogno del nostro spettacolo».

savicevicAl Milan di Capello, famoso perlopiù grazie alla sua tenuta difensiva, mancano sia Baresi che Costacurta, entrambi squalificati, la finale sarà una formalità. Per incidere ancora di più sui punti deboli dell’avversario, Cruyff cambia anche il modulo della sua squadra, proponendo un 4-3-3 che davanti schiera Stoichkov dirottato a destra, Beguiristain, inserito nei titolari per l’occasione, a sinistra, e Romario punta centrale. Ciò che l’allenatore olandese tuttavia non sa, è che così facendo sta sfregando incautamente la lampada del diavolo rossonero. Dal suo interno, come nelle migliori favole, uscirà fuori un genio, anzi, il genio. «Alla vigilia della partita Cruyff ci ha caricato – dichiarerà Dejan Savicevic diversi anni più tardi – perchè ha parlato sempre male della filosofia e del gioco del Milan. I suoi paragoni suoi giornali e nei servizi ci hanno dato tanta carica prima della partita. Penso ci abbia sottovalutato». Chi invece di parole alla vigilia ne spende davvero poche è Fabio Capello. Nonostante la tensione e le critiche piovute su un Milan vincente in Italia ma poco convincente in Europa, il mister di Pieris manifesta una calma serafica, limitandosi ad avvertire Cruyff che per vincere dovrà segnare, e che per farlo sarà necessario che i suoi arrivino vicino alla porta. «L’importante – dice – è che il Milan giochi da Milan».

Poche parole, Capello parla con i fatti, mettendo in campo una squadra organizzata alla perfezione. Al centro della difesa Romario viene affidato alle cure di Filippo Galli, affiancato da Maldini, dirottato centrale per l’occasione. A sinistra il giovane Panucci ha il compito di tenere a bada Stoichkov, mentre dall’altra parte Tassotti dovrà vedersela con Beguiristain. La mossa decisiva del tecnico rossonero è però a metà campo, dove Albertini viene chiamato a pressare senza sosta Pep Guardiola, unico faro del gioco catalano, mentre a Desailly viene ordinato di chiudere le linee di passaggio agli avversari. Sugli esterni ci si affida alla tecnica di Boban e alla rapidità di Donadoni, pronti a premiare i movimenti di Daniele Massaro. E poi c’è lui, avulso da ogni schema tattico e con licenza divina di inventare: Dejan Savicevic ha il compito più arduo di tutti, affidatogli direttamente da Berlusconi prima della partita: «Se sei il genio, dimostralo ad Atene».

savicevicA fine primo tempo è evidente a tutti che il Barcellona non ci sta capendo nulla. Cruyff, come disse Pizzul in telecronaca, «ha perso molta della baldanza della vigilia», mentre i giocatori appaiono sempre più spaesati e nervosi. L’incubo però si materializza all’inizio della ripresa: ha la faccia svogliata del tipico numero 10 jugoslavo, lo sguardo sornione di chi può permettersi di disinteressarsi della partita per ottantanove minuti e poi deciderla con un colpo di genio. Già, il genio, lui è il genio, e gli è stato chiesto di darne prova. Così, dopo un primo tempo giocato con incredibile continuità, ad inizio ripresa Dejan Savicevic decide di salire in cattedra, portando il Milan e la finale di Atene nella storia del calcio mondiale. Sul lancio di Albertini, Nadal è in netto vantaggio, ma il trequartista di Titograd lo anticipa e gli soffia il pallone. È fallo? Forse, ma quello che succede subito dopo è senza dubbio poesia. Savicevic dal vertice destro potrebbe proseguire la sua corsa verso l’area, aspettare l’inserimento di un compagno per servirlo o tentare la conclusione. Ma vede uno spazio che Andoni Zubizarreta ha lasciato libero tra sé e la porta. Ed è strano, perchè dalla posizione in cui si trova il 10 rossonero nessuno lo vedrebbe. Nessuno no, ma lui si, e dopo il secondo rimbalzo colpisce il pallone di piatto sinistro, disegnando una parabola magica, impensabile, che esce dal film più visionario di Kusturica e si fa accogliere in quel piccolo spazio che il grande Dio del calcio le ha gelosamente riservato. Il portiere catalano non può fare niente. Cerca di recuperare la posizione e si tuffa all’indietro, rispondendo con una goffa caduta all’infinita classe di Dejan Savicevic. Pizzul esplode incredulo, Capello sorride per la prima volta dal fischio d’inizio, mentre Cruyff, ormai sconfortato, scuote la testa.

Non se l’aspettava Johan. Abituato da una vita ad essere il centro del mondo, a due minuti dall’inizio della ripresa si ritrova al timone di una squadra senza arte né parte, esausta, nervosa, che per tutto il secondo tempo verrà ricordata solamente per una serie di falli che con il bel calcio decantato alla viglia hanno veramente ben poco a che fare. Ironia della sorte, quando ormai la partita è virtualmente conclusa – nonostante siano passati solamente tredici minuti dall’inizio della ripresa – il Milan dilaga. Davanti a Zubizarreta si presenta quell’«operaio del pallone senza tecnica calcistica» che risponde al nome di Marcel Desailly, che dopo una partita maestosa si prende anche il lusso di piazzare un destro a giro alle spalle del portiere catalano, esplodendo in una gioia che sa di rivincita verso chi aveva parlato decisamente troppo, e troppo presto. Milan-Barcellona finisce così, con Capello che finalmente si prende il lusso di esultare, mentre Cruyff sprofonda sconsolato nella più umiliante delle sconfitte. «Un’ulteriore testimonianza – sentenziò Pizzul in telecronaca – che il calcio è uno sport molto rigoroso, difficile, fatto non di chiacchiere ma di concentrazione, di umiltà. Quella che è sicuramente mancata al Barcellona».

Tratto da La partita geniale
www.storiedelboskov.it

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