Sul palco del teatro di Sampierdarena, che fu anche luogo dell’ ultima apparizione pubblica di don Gallo, rivive così la figura del prete da marciapiede
da Genova, Claudio Marradi
«Dio è papà, ma più ancora è madre». Parole di papa Luciani, che citando la Scrittura fece grande scalpore tra fedeli e teologi quando le pronunciò durante l’Angelus del 10 settembre 1978. Neanche 20 giorni dopo raggiungeva – come si dice in questi casi – la casa del Padre. Coincidenze. Anche se dopo di lui venne un pontefice che non si sarebbe fatto scrupolo di farsi fotografare mentre stringeva la mano di un dittatore feroce come Pinochet. Proprio il gesto che Don Gallo non riusciva a perdonare a Giovanni Paolo II, al secolo Karol Józef Wojtyła. E proprio Don Andrea Gallo è il protagonista assoluto, uno e trino, di “Papa Gallo”, la nuova produzione in prima nazionale con cui il Teatro dell’Archivolto di Genova, in collaborazione con la Comunità di San Benedetto, ha voluto ricordare la figura del sacerdote a poco meno di tre anni dalla sua scomparsa.
Ma se perfino il Dio dell’Antico Testamento non ha esitato a manifestarsi in transito reversibile tra un’identità sessuale maschile a quella femminile – è bene ricordarlo, con grande sconcerto, presumibilmente, di tanti aderenti al Family day – anche un umile prete di strada può tornare a visitarci assumendo fattezze femminili. E’ forse l’intuizione più preziosa del regista Giorgio Gallione, che porta in scena nei panni del Don – sciarpa rossa, cappellaccio e immancabile sigaro compresi – tre attrici monologanti: Simonetta Guarino, Barbara Moselli e Rosanna Naddeo.
Fino al 24 febbraio sul palco del teatro di Sampierdarena, che fu anche luogo dell’ultima apparizione pubblica di Don Gallo il 23 aprile 2013, rivive così la figura del prete più amato dai genovesi e non solo. Lo spettacolo, costruito su testi scritti dallo stesso Don Gallo e apparsi nei numerosi libri e articoli pubblicati, ripercorre in ordine sparso le fasi della sua vita e affronta temi che gli sono sempre stati cari. Sue anche le parole che spiegano con un aneddoto il titolo dello spettacolo quando, nel 1949 giovane novizio salesiano, si sentì dire da un vecchissimo sacerdote allievo di Don Bosco, una specie di reliquia col tricorno, che non sarebbe mai diventato pontefice, «perché Papagallo sarebbe disdicevole per la Chiesa». «E infatti, io, prete da marciapiede, sino alla fine del mondo» amava chiosare lui.
Perchè parlare ancora di questo prete scomodo è occasione preziosa per ragionare di cosette come democrazia, solidarietà e argomenti all’ordine delle prime pagine come i diritti degli omosessuali, il sacerdozio femminile, la prostituzione, lo scempio di diritti umani e democrazia che fu il G8 genovese del luglio 2001. E le contraddizioni molto poco evangeliche di certa chiesa cattolica. Il tutto in uno spettacolo che naviga sicuro di cabotaggio tra una citazione di Gesù e di Gramsci, di Pasolini e di Don Milani, del subcomandante Marcos e di quel testo di “religione laica” che è la Costituzione italiana e che sempre Don Gallo teneva aperta sul leggio accanto alla Bibbia durante la celebrazione della messa. Colonna sonora obbligata le canzoni di Fabrizio De Andrè, cantautore molto legato al sacerdote, che amava spesso citarlo come “il quinto evangelista”.
Nell’ultima scena viene dispiegato un grande bandierone arcobaleno, gli stessi colori delle bandiere della pace che nel 2003 sventolavano da tante finestre delle case di quel popolo che sperava, contro ogni speranza, che la tragedia annunciata dell’invasione all’Iraq in cerca di inesistenti armi di distruzione di massa potesse non compiersi. Come andò a finire è ormai storia. Anzi, cronaca, perché tra califfato e bombardamenti di ospedali, nazioni che si sgretolano nelle guerre civili, esodi biblici di interi popoli e sparatorie nelle capitali europee in quella “guerra mondiale a pezzi”, per citare le parole di un pontefice che sarebbe stato interessante sentire dialogare con Don Gallo, ci siamo tutti dentro fino al collo ancora oggi.