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Referendum contro le trivelle, non fossilizziamoci

Si vota il 17 aprile nel silenzio dei media. Le mistificazioni del governo e i pericoli dell’energia fossile. Al prossimo referendum un Sì contro le trivelle per cambiare paradigma

di Giampaolo Martinotti

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Quando si vota

Mancano ormai poco meno di quattro settimane al voto popolare che domenica 17 aprile 2016 vedrà i cittadini italiani recarsi alle urne per esprimere il proprio parere sulle trivellazioni in mare. Sostenuto da innumerevoli associazioni e movimenti No Triv, e promosso da ben nove regioni dal sud al nord, questo referendum abrogativo, tra i pochi strumenti di democrazia diretta che la nostra Costituzione ancora prevede, chiederà ai cittadini di fermare le trivelle, mettendo progressivamente fine all’estrazione di petrolio e gas nei mari italiani. Inoltre, il prossimo referendum rappresenta uno spauracchio fastidioso per quella politica governativa costruita sull’egoismo personale e sulla logica dello sfruttamento e del massimo consumo. La censura mediatica a livello nazionale, forzata sporadicamente dalla disinformazione, è il segno tangibile delle paure di un establishment che per mezzo della legge di Stabilità e del decreto Sblocca Italia tenta di asservire i diritti, l’ambiente e la salute pubblica al sistema del profitto privato.

Il quesito referendario

I promotori del referendum chiedono di cancellare, grazie all’unico quesito dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale sui 6 presentati, l’assurda norma che, rinnovando in automatico le concessioni fino all’esaurimento delle scorte, consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Per realizzare questo obbiettivo, basterà rispondere con un Sì al testo del quesito: «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale?”». Hanno diritto di voto tutti i cittadini italiani maggiorenni, anche residenti all’estero, e domenica 17 aprile si voterà in tutta Italia. Perché il referendum sia valido sarà necessario raggiungere il quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto e, a tale proposito, la vergognosa propaganda pro-astensione del Partito Democratico è essenzialmente strumentale agli interessi delle lobby.

Royalties, concessioni e risorse

Partendo proprio dal presupposto che gli idrocarburi presenti sul territorio nazionale dovrebbero essere considerati come patrimonio dello Stato, è bene sapere che le aziende estrattrici di petrolio e gas versano cifre irrisorie nelle casse pubbliche. Tramite concessioni, aiuti e sconti vari, le fonti fossili del nostro Paese, già dannose di per sé, vengono svendute alle multinazionali che sono tenute a pagare solo il 7% del valore del petrolio estratto e il 10% del gas. Oltretutto, in questo conteggio non figura la metà di quanto estratto, perché il materiale fino ad un limite di 80 milioni di metri cubi di gas, e di 50 mila tonnellate di petrolio, non è soggetto a royalties. Questo significa che il totale dei proventi per lo Stato derivati dalle estrazioni dell’ultimo anno non arrivano a 350 milioni di euro. Un vero e proprio regalo alle compagnie petrolifere, alle quali viene concesso il privilegio di sfruttare una quantità di fonti fossili che, in ogni caso, non possono assicurare all’Italia l’indipendenza energetica. Infatti secondo gli esperti, il fabbisogno nazionale potrebbe essere assicurato dal totale del petrolio per 7 settimane, e fino a un massimo di 6 mesi per quanto riguarda il gas. E se volessimo considerare anche le riserve probabili, come hanno fatto in una intervista gli scienziati del CNR critici con la politica energetica del governo, trivellando a tappeto tutto il nostro territorio la totalità degli idrocarburi estratti non sarebbe comunque sufficiente per più di 25 mesi. Siamo dunque ancora una volta molto lontani dalle più rosee previsioni del governo Renzi.

Pericoli e lavoro

Le trivellazioni petrolifere e di gas vanno avanti da decenni nei nostri mari mettendo a rischio ecosistemi fragili e dal raro significato storico e paesaggistico. In questo contesto, i dati recentemente resi pubblici per la prima volta in un dettagliato rapporto di Greenpeace raccontano una realtà senz’altro preoccupante. Nell’Adriatico, a quanto emerge dai monitoraggi e dalle analisi chimico-fisiche dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), commissionati peraltro dall’ENI, “i sedimenti nei pressi delle piattaforme sono spesso molto contaminati”, al punto che la maggioranza delle piattaforme stesse “presenta sedimenti con contaminazione oltre i limiti fissati dalle normative comunitarie”. Metalli pesanti, sostanze tossiche e cancerogene che, risalendo la catena alimentare, sempre più spesso ritroviamo nei nostri piatti o nelle acque che utilizziamo. La Basilicata, per esempio, è una regione ricca di petrolio ma, allo stesso tempo, è la più povera d’Italia e ha una percentuale di morti per tumore superiore alla media nazionale. In una inchiesta realizzata dal Corriere della Sera nel 2013, il legame tra inquinamento, attività di estrazione e malattie è riassunto perfettamente, mentre si sottolinea che le aziende agricole della regione si sono dimezzate nell’arco di soli 10 anni. Come in Francia per quel che riguarda l’energia nucleare, anche in Italia molti incidenti di “secondo piano”, e varie anomalie, vengono ufficialmente nascosti. Molti degli impianti infatti pur essendo largamente automatizzati sono obsoleti, e alcuni dei giacimenti risalgono addirittura agli anni ’70. Sul versante lavoro con una vittoria del Sì non verrebbe perso neppure un posto, liberando gradualmente il territorio dal ricatto delle aziende petrolifere che ormai da anni preferiscono la tecnologia ai lavoratori. Chi rischia invece di essere ulteriormente danneggiata dall’attività a tempo indeterminato delle trivelle è una biodiversità dal valore inestimabile. L’economia fondata sul turismo e sulla pesca impiega nel nostro Paese più di 3 milioni di persone, arrivando a contare per circa il 20% del PIL nazionale. Secondo gli operatori dei due settori, da tempo in fase di mobilitazione per sostenere il Sì al referendum, le piattaforme sono indubbiamente dannose.

Incidenti e mistificazioni

Sono passati più di sei anni dal disastro ambientale provocato dalla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon della BP nel Golfo del Messico, ma i danni sono ancora profondi e ben visibili. Questo tipo di incidenti però non sono così lontani da noi, sia in ordine di tempo che di spazio, ed hanno un altissimo potenziale distruttivo per la natura. Solo una decina di giorni fa, un guasto alle condotte sottomarine di una piattaforma offshore britannica avrebbe provocato uno sversamento di greggio nei pressi delle isole tunisine Kerkennah, e la marea nera scaturita dall’incidente si troverebbe in questo momento a non più di 100 chilometri da Lampedusa. In questo senso il PD, cercando di boicottare il voto popolare, mostra chiaramente come le sue politiche neoliberiste siano antitetiche a uno sviluppo territoriale, economico e culturale, basato sulla qualità e sul rispetto dell’ambiente. Tagli lineari e austerità per tutti noi, favoritismi fiscali e normativi per le compagnie petrolifere che vogliono investire a basso costo nel nostro Paese, come documenta Italian Offshore. Al di là delle narrazioni tossiche, alle quali il premier ci ha ormai abituati, l’esecutivo, decidendo di non accorpare il referendum alle elezioni amministrative in un “election day”, ha letteralmente sperperato una quantità di denaro pubblico esorbitante. E pensare che proprio Renzi, al tempo del referendum sull’acqua pubblica, fu in prima fila nel chiedere a Berlusconi un tale accorpamento. Ma si sa, la coerenza nel PD non è di casa. Debora Serracchiani, vice-segretaria del partito, in un paio di anni è passata dalla difesa del mare Adriatico dai rischi delle trivellazioni petrolifere, all’attacco dei principi democratici in nome delle trivelle. E come se non bastasse, all’ultimo congresso dei “giovani democratici”, il presidente del Consiglio si è lanciato a sostegno dell’astensionismo sfoderando una serie di argomentazioni grottesche e mostrando per l’ennesima volta il suo disprezzo per la democrazia e per il popolo, che già era stato ampiamente evidenziato dalla mancanza di una qualsiasi campagna di informazione a favore dei cittadini. Tempestati da un fiume di retorica, che va dalle non meglio precisate speculazioni dei nostri vicini croati all’invasione dei nostri mari da parte di una miriade di petroliere, siamo stati abbandonati al sentito dire. Con un serio piano di rinnovamento energetico, e alla luce della costante diminuzione del consumo di energie fossili (-22% negli ultimi 10 anni), l’importazione di petrolio e gas (solo il 10% è importato in forma liquida, il resto arriva attraverso i gasdotti) scomparirà progressivamente come le mistificazioni del governo.

Un Sì per cambiare paradigma

Quello che serve oggi al nostro Paese è un radicale cambio di paradigma. Il petrolio e il gas, misero regalo nelle mani delle multinazionali, non convengono né all’ecosistema né all’economia. L’atteggiamento retogrado del governo, che punta su risorse tanto nocive quanto irrilevanti, mette in serio pericolo il futuro energetico dell’Italia. Liberi dal giogo politico dei fossili, per il quale l’Italia ha “investito” un 60% in meno in energia pulita rispetto agli altri paesi, e dalla scellerata logica del profitto “costi quel che costi”, i nostri territori avrebbero una potenzialità enorme per rilanciare una modernizzazione fatta di ricerca, innovazione e fonti rinnovabili, le stesse che quest’anno ci porteranno a produrre il 40% dell’elettricità totale. È possibile ottenere l’indipendenza energetica passando a un modello di sviluppo nel quale l’uso e la produzione di energie alternative vengono inquadrati in una dinamica di riduzione dei consumi e di risparmio energetico, proiettandoci così verso un futuro sostenibile in linea con gli impegni presi dall’Italia alla COP21 di Parigi e lontano dalle catastrofiche guerre del petrolio. Il 17 aprile votiamo Sì per fermare le trivelle e per cambiare il nostro presente, assicurandoci un futuro.

 

Mappa dei giacimenti interessati

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