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Regeni: non crediamo al Cairo, non crediamo a Roma

Un attivista che scompare, un lavoro di ricerca scomodo per il regime, l’insabbiamento, i depistaggi e il tentativo di diffamare la vittima. L’omicidio Regeni sembra un film di Loach. Quasi

di Enrico Baldin

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L’intricata e sconvolgente vicenda della morte di Giulio Regeni ricorda un vecchio film di Ken Loach del 1990, L’Agenda nascosta, premiato al Festival di Cannes. Nel film di Loach, Paul Sullivan è un attivista americano per i diritti umani che si reca a Belfast e denuncia violenze, rapimenti ed esecuzioni sommarie da parte delle forze dell’ordine inglese ai danni di persone sospettate di far parte dell’IRA. Paul Sullivan verrà in possesso di un nastro segreto che accredita le sue accuse ed altre ancor più scottanti, ma verrà ammazzato senza troppi complimenti dalla polizia inglese che gli sottrarrà il nastro. Nel corso della ricerca della verità le autorità inglesi insabbieranno, falsificheranno, depisteranno. E diffameranno il defunto sostenendo fosse membro dell’IRA.

Il cinema di Loach non è campato in aria, e dietro ad ogni film del regista britannico i contesti sono reali. La storia di Giulio Regeni pare simile: un attivista che scompare, un lavoro di ricerca e di indagine sulle realtà scomode al regime, l’insabbiamento dell’inchiesta da parte delle autorità governative, i depistaggi, e pure il tentativo di diffamare la vittima. Il comportamento delle autorità egiziane è un pugno in faccia a tutti quelli che han voluto bene a Giulio Regeni e all’attività di un ragazzo che lavorava e stava al mondo con la schiena dritta.

Nessuno può credere a nulla di quanto raccontato dal governo egiziano: non si può credere che a scopo di rapimento sia stata torturata per dieci giorni una persona, non si può credere che si possa rapire un ragazzo per soldi senza mai chiedere un riscatto, non si può credere che i supposti rapitori non si siano disfatti dei suoi documenti. E poi, stando a quanto ribadisce chi conosceva bene Giulio, non si può credere che tra i suoi effetti personali ci fosse della droga.

Purtroppo dalle parti del Cairo non ci si accontenta di omettere la verità su quanto accaduto a Giulio, non ci si accontenta di depistare le indagini. Si punta a distruggere anche la memoria di una persona, ed in modo reiterato. Perché è fin dall’inizio dell’inchiesta che a Giulio vengono associate le più fantasiose ricostruzioni: dalla sua presenza negli ambienti malavitosi, a presunte liti in ambienti omosessuali. Cento versioni diverse, nessuna di queste teneva conto delle inchieste di Giulio tra gli ambienti sindacali e politici che in un contesto dittatoriale tentano di opporsi al regime di Al Sisi.

C’è un particolare di non poco conto che in tutta questa storia non ha proprio analogia con la pellicola di Ken Loach: manca quell’ispettore Kerrigan, inviato a Belfast che condurrà le indagini in modo indipendente, fino al triste epilogo. Non ne abbiano a male gli inviati italiani in Egitto, ma fino ad ora – eccetto quell’autopsia – non è stato contrapposto quasi niente alla lunga serie di “balle” messe in fila dai delegati del governo egiziano. Un po’poco per un governo che dice di chiedere verità. Salvo poi voler tutelare i buoni rapporti politici e commerciali con l’Egitto.

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