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Così fu ucciso Trockij, la bestia nera del Ratto della Georgia

Era il 21 agosto del 1940 quando un sicario di Stalin uccise Lev Davidovic Brontejn, meglio conosciuto come Trockij, uno degli artefici dell’Ottobre ’17

di Checchino Antonini

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Il 17 agosto un certo Jackson, amante di un’attivista, si presentò a casa Trockij per sottoporgli un articolo sulla Quarta Internazionale. Era la prova generale. Ma già il 24 maggio, all’alba, una banda agli ordini del pittore Siqueiros aveva provato un blitz. Il 20 agosto, Jackson tornò, alle cinque della sera nella casa di Avenida Viena, nel quartiere di Coyocan. Aveva lo stesso impermeabile di tre giorni prima ma un viso più pallido e un portamento che Natalia, la moglie del rivoluzionario in esilio, definì nervoso e assente. Pochi minuti e dallo studio, dove suo marito stava lavorando a una biografia di Stalin, le giunse un grido terribile. L’assassino aveva una piccozza nascosta nell’impermeabile, colpì da dietro, con gli occhi chiusi e con tutta la forza. Jackson, in realtà, era Ramon Mercader, uno spagnolo, fratello di Marina, moglie di De Sica. Ci vorranno tredici anni per scoprire la sua vera identità e altri quaranta perché fosse noto il suo rapporto con la polizia staliniana. All’uscita dal carcere, vent’anni dopo, sarebbe stato accolto a Cuba e poi a Mosca come un eroe. Sulla sua tomba c’è un altro nome ancora: Ramon Ivanovich Lopez. Il 21 agosto del 1940, alle sette e venticinque della sera, Lev Davidovic Brontejn, meglio conosciuto come Trockij, moriva in un ospedale di Città del Messico. Aveva quasi sessantun’anni ed era stato uno dei leader dell’Ottobre e prima ancora della Rivoluzione del 1905. Dopo le purghe era stato deportato e, dal 1929, viveva in esilio. Nel 1938 aveva fondato la Quarta Internazionale.

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Poco prima di essere ucciso aveva annotato sul diario: «Quali che siano le circostanze della mia morte, io morirò con la incrollabile fede nel futuro comunista. Questa fede nell’uomo e nel suo futuro mi dà, persino ora, una tale forza di resistenza che nessuna religione potrebbe mai darmi… La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla di ogni male, oppressione e violenza e goderla in tutto il suo splendore». E’ quanto mai necessario uscire dalle secche di una vulgata che lo disegna come «improbabile icona di un comunismo senza peccato» speculare a Stalin con narrazioni che evitano accuratamente di sfiorare quanto l’eredità di Trockij e l’elaborazione della Quarta c’entrino con l’esperienza dei movimenti no global o quanto siano attuali certe sue pagine come quelle su pubblico e privato (si veda “Rivoluzione e vita quotidiana” (Savelli, ’77). Quasi un secolo di scomuniche non è servito a evitare che la figura del rivoluzionario facesse breccia nell’immaginario di diverse generazioni non solo militanti. Il giallista francese, Leo Malet, lo chiamerà con ammirazione «la bestia nera del ratto della Georgia». La sua ombra, solo per citare, spunta in film come “Terra e libertà” di Ken Loach o nei romanzi di Stefano Tassinari. Cinzia Leone, fumettista e corsivista del Riformista, ne ha messo in scena l’unico buco della biografia nel “Il diamante dell’Haganah” (Rizzoli Milano Libri, 1990): «Ho scoperto che Trockij era stato ingaggiato a Hollywood come esperto di divise russe – spiega a Liberazione – ho voluto raccontare la nascita dell’Haganah, l’esercito di liberazione ebraico con una storia che ruota attorno a un diamante rubato dal fuochista del treno dell’Armata Rossa a un principe russo. Così ho immaginato Mae West e Trockij a Gerusalemme per vendere quel diamante. Cose che non sono accadute ma sarebbero potute accadere».

Quello che davvero è accaduto è che Trockij sia passato per l’Italia. Bologna, in particolare. All’ombra delle Due Torri, infatti, c’era la scuola di partito dei bolscevichi di sinistra. Ricorda Lunacharsky: «Poco dopo il Congresso di Copenaghen [1910] organizzammo la nostra seconda scuola di partito a Bologna ed invitammo Trotsky a darci una mano per il l’addestramento giornalistico e per tenere una serie di letture su, se non sbaglio, la tattica parlamentare dei socialdemocratici tedeschi e austriaci e sulla storia del partito socialdemocratico russo. Trotsky accettò questa proposta con cordialità e passò quasi un mese a Bologna. È vero che mantenne la propria linea politica per tutto il tempo e che cercò di smuovere i nostri allievi dalla loro posizione di estrema sinistra, cercando di guidarli verso un atteggiamento conciliatorio e centrista – posizione, per inciso, che egli considerava come fortemente di sinistra. Per quanto il suo gioco politico si dimostrò infruttuoso, i nostri allievi apprezzarono moltissimo le sue ingegnose ed interessanti lezioni ed in generale, per durante tutto il periodo che Trotsky passò lì, egli fu insolitamente allegro; egli era brillante, estremamente leale nei nostri confronti e lasciò la miglior immagine possibile di se stesso. Egli si dimostrò uno dei più straordinari collaboratori che avemmo nella nostra seconda scuola di partito». Ma questa è un’altra storia e, restando connessi, verrà raccontata anche questa.

[articolo apparso su Liberazione on line nell’agosto del 2o13]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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