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Raggi: grillini, non mi sento più parte dei cinquestelle

Grillo pronto a togliere il simbolo a Raggi che non si riconosce più nel “moVimento”, partito di proprietà di Grillo e Casaleggio. De Magistris: «Votando Raggi i romani volevano un cambiamento che non c’è stato»

di Giulio AF Buratti

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«Io non mi sento più parte del M5S, non mi ci riconosco più»: l’Adnkronos giura che sono parole che la sindaca di Roma, Virginia Raggi, andrebbe sussurrando in queste ore ai suoi più stretti collaboratori, dopo la drammatica riunione di maggioranza di questa notte. È nel corso di quel vertice infatti che la sindaca si sarebbe resa conto di avere con sé una parte esigua della maggioranza che oggi la sostiene. Sarebbero almeno una decina i consiglieri pronti a mollarla nel caso in cui Beppe Grillo ritirasse il simbolo del partito di cui è padrone con i Casaleggio. A quel punto alla Raggi non rimarrebbe altro che fare ricorso a un appoggio esterno per andare avanti. Nel direttorio M5s, ancora una volta, si parla di scaricare l’ennesimo sindaco, com’è stato per Parma, Comacchio, Gela, Quarto.

«Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, la giunta capitolina guidata da Virginia Raggi sarebbe disposta ad andare avanti anche senza il simbolo del Movimento Cinque Stelle, ma queste ricostruzioni sono destituite di ogni fondamento», si apprende da fonti interne del Campidoglio.

Secondo quanto apprende Omniroma intorno alle 14-14.30 si svolgerà una riunione di maggioranza dei consiglieri M5S capitolini ma il luogo non sarebbe ancora stato definito. Non è quindi confermato che l’incontro si svolgerà in Campidoglio, dove al momento l’unico visto entrare è il vicesindaco Daniele Frongia nel mirino di Grillo e del suo cerchio magico, e pietra dello scandalo nella faida interna ai pentastellati che vede contrapporsi Raggi e Lombradi, la prima “mitica” portavoce parlamentare, quella che disse che c’era stato un fascismo buono, quella che ora flirta con settori di sindacalismo “non concertativo”. Al centro del confronto di oggi, che comunque ci sarà, l’arresto del capo del personale Raffaele Marra, braccio destro di Alemanno, prima, di Raggi poi, sconfessato da entrambi al momento del tintinnar di manette.

«Non credo che la Raggi debba dimettersi dopo l’arresto di Marra. La riflessione politica che faccio è questa: con l’elezione della Raggi i romani hanno voluto dare un segno di rottura e cambiamento, ma ciò non è avvenuto», così Luigi de Magistris a margine dell’inaugurazione di via Panagulis nel quartiere Ponticelli, periferia est di Napoli. «Marra è stato fortemente voluto, eppure si sapeva da dove veniva e con chi aveva amministrato Roma. Quindi negli atti iniziali dell’amministrazione Raggi, appoggiata anche dal direttorio del Movimento 5 Stelle, si è avvertito tutto tranne che un segnale forte contro il sistema, a differenza di quello che dicono Di Maio e Fico», ha continuato il sindaco, che ha commentato anche l’auto sospensione del sindaco di Milano Sala: «È una scelta che non comprendo. Lo stesso Sala dice di non sapere perché è indagato e l’auto sospensione non è una forma giuridicamente sostenibile. Un sindaco se non ha nulla da nascondere spiega ai cittadini di cosa si tratta. Se si è autosospeso avrà avuto le sue ragioni. Ancora una volta la Milano della moralità, del cambiamento, è ancora una volta al centro della questione morale. Non voglio fare lezioni politiche, ma siccome Napoli è troppo spesso bombardata, vorrei ricordare che fra le tre grandi città d’Italia è quella che con maggiore nettezza e convinzione si è schierata contro la corruzione e le mafie. Io ci ho rimesso la toga da pm per colpa di uno Stato corrotto e intriso di criminalità organizzata».

E’ il momento di chiedersi come possa essere intercettata la forte domanda di cambiamento che gli strati popolari di Roma avevano sperato di soddisfare votando per la controversa formazione proprietaria che, in sei mesi, non è riuscita a lanciare nemmeno un segnale di discontinuità se non quello aleatorio sulle olimpiadi (nessuno sa se davvero sarebbero state assegnate alla Capitale). La vicenda romana dimostra anche la fragilità del progetto politico del M5Stelle e in particolare dell’amministrazione comunale romana di Virginia Raggi, certo, non coinvolta direttamente nei fatti (all’epoca era un’oscura consigliera comunale) ma altrettanto sicuramente perlomeno imprudente nell’aver testardamente promosso a un così importante incarico un funzionario già molto discusso e pericolosamente compromesso con la gestione del sottopotere capitolino all’epoca di Alemanno. La corruzione è connaturata con il sistema della concorrenza e della ricerca del massimo profitto. L’unica regola della concorrenza e del profitto è che non ci sono regole. E i grillini non sono certo nati per guarire le istituzioni malate di capitalismo.

In questo contesto starnazzano in parecchi e, sfruttando la poca memoria, l’eterno presente mediatico, si ergono a paladini della buona politica. Il catalogo è una galleria degli orrori impressionante: dalle destre fino a Orfini, commissario del Pd romano commissariato proprio perché impelagato fino al collo nel pantano di Mafia Capitale, quel senatore Esposito leader del partito YesTav e alfiere della “legalità” delle grandi opere con il loro portato di economia criminale, militarizzazione e inquinamento.

Nota comica. Rispunta perfino Diaco Pierluigi, sedicente “portavoce dei giovani” a cavallo dei secoli XX e XXI, poi stipendiato nella costosa e inutile radio dei “ggiovani” voluta dalla indimenticata ministra dei ggiovani Meloni: «Urge una manifestazione-presidio di noi romani sotto al Campidoglio per pretendere le dimissioni di virginiaraggi #raggidimettiti Ci state?».

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