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Igor, il mostro della palude che è in noi

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Il sedicente mostro che impazza nei paesi della Bassa ferrarese e sulle piazze mediatiche è un paradigma italiano, racconta il paese legale, narrato e reale

di Maurizio Zuccari

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C’è chi gli augura: Buona Pasquetta Igor, sempre in guardia campione. Chi lo ritrae come un Rambo incubo della Bassa, coi cartelli segnaletici di spalle a ogni trivio. C’è l’impiegata che preferirebbe andare con lui per asparagi piuttosto che starsene in ufficio e l’ammiratrice che, semplicemente, lo trova un gran figo e vorrebbe sbatterlo ovunque, fuorché in guardina. È un manuale di umane pulsioni e passioni – non chiamateli orrori – quello che emerge sulla pagina facebook di Ezechiele Norberto Feher, alias Igor il russo, libero professionista di Valencia, come recita il suo profilo fb dalle molteplici pose.

Sui media, poi, c’è chi lo vuole in fuga in zattera sul Delta del Po, chi scomoda l’ex compagno di cella e il cappellano del carcere per farsi raccontare chi sia davvero l’uomo in fuga da giorni, oggetto della più grande (e finora vana) caccia all’uomo nell’Italia repubblicana. E scoprire con sorpresa che, oltre che un efferrato assassino, era un chierichetto modello, l’amico fidato al quale affidare una figlia. È emblematica la vicenda del pluriomicida ricercato da un battaglione di forze speciali e guardie d’ogni tipo da settimane, braccato dai cani molecolari (altra boutade mediatica) e inseguito pure dall’immancabile veggente.

Igor o Ezechiele – nome sulla cui scelta gli esegeti dibattono se trattasi del profeta caro al killer convertito di Tarantino, o del lupo delle fiabe – è altro dalla rivincita della cronaca nera sul terrorismo, dal freddo sicario d’innocenti che gridano vendetta. Il mostro della laguna – ricordate il film culto di Jack Arnold? – che impazza nei paesi della Bassa ferrarese e sulle piazze mediatiche, come nei salotti e nei bar d’ogni paese, è un paradigma italiano, racconta chi siamo meglio di quanto parrebbe, disvelando tre realtà.

La prima, chiara, rivela le falle del paese legale dove un criminale è libero d’andare in giro per anni con ascia, arco e frecce. Più volte arrestato e condannato, sempre rimesso in libertà e mai estradato. Quando poi, dopo il fatto grosso, la caccia all’uomo si scatena, si promette di pigliarlo per l’ora di cena, salvo restare con un palmo di naso. Per ingannare l’attesa, sui media nel frattempo impazzano scenette esilaranti di cronisti immelmati nella mota e nel ridicolo e finti raid nei casolari, a uso e consumo del pubblico.

E qui siamo nel chiaroscuro del paese narrato da un sistema mediatico che del mostro di turno svela tutto, menù e gusti sessuali compresi, ma non ne sa praticamente nulla. Neppure la reale identità, se sia davvero un ex combattente dei reparti speciali russi o un ladro di polli come lo credevano tutti, e se sia proprio lui l’uccisore delle varie vittime. Né manca l’immancabile bufala, con un sito civetta che annuncia (il dì di Pasqua) la sua cattura in uno sperduto casolare calabrese, ubriaco e con l’irrinunciabile arco al fianco. La falsa notizia fa un frego di ascolti e tanto basta, nell’era della post verità non c’è manco bisogno d’una smentita. Del resto, il mostro si segnala ormai da Aosta in giù. E vattelappesca. Nei paesi dove si presume passi, per tenerlo buono la gente gli lascia cibo, abiti e qualche soldo sulle porte di casa, com’era d’uso nei villaggi balcanici per tenere quieti spiriti inquieti, briganti e dragoni.

Sul sedicente mostro, intanto, s’alza una narrazione parallela a quella ufficiale: la terza realtà, quella del paese reale, oscura. Dove il mostro della palude diventa un supereroe, la sua storia criminale si fa saga popolare. Un mercoledì da Liboni; Liboni uccidili tutti; Liboni sei il mio dio, era scritto sui muri di Roma, e d’Italia, nell’estate del 2004. Quando un altro povero sbandato, ritenuto ladro di polli, diventò assassino, mettendo sotto scacco per un pezzo le forze dell’ordine di mezza Italia. E guadagnandosi la sua fetta di popolarità, libri e film come quello dell’ottimo Stefano Calvagna.

Nessun sondaggio lo dice, ma una bella fetta del Belpaese vede in Igor quello che vedeva nel “lupo”: un giustiziere, il vendicatore d’ogni torto reale o presunto della vita. Quello che o muore o se la scampa, comunque non si fa fregare da questo mondo, dallo stato canaglia che non ti protegge e non lo piglia. Ché in fuga con un’arma, contro tutti e tutto, è sempre meglio che crepare ogni giorno un po’. Dietro al mutuo per chi ce l’ha, e ai figli per chi li tiene, e alle rogne d’una vita normale. Al fondo pensano questo, quelli che si chiudono in casa mettendo sulla porta soldi e vestiti. Quelli che invocano per i mali della giustizia italiana una soluzione all’americana: un fucile a tutti, con buona pace dei pistoleri. Più che nei meandri della Bassa, il mostro va cercato nella palude che è in noi.
www.mauriziozuccari.net

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Giornalista e scrittore, è nato il primo novembre 1963 a Poggio Mirteto, in Sabina, e vive a Roma. Dopo l’alberghiero a Rieti e la leva come ufficiale di complemento a Firenze, si è laureato in scienze politiche alla Sapienza di Roma (Comunismo e titoismo, con Pietro Scoppola, 1994) e si è specializzato in scienze della comunicazione (Il consenso videocratico: masse, media e potere nella transizione dalla partitocrazia alla telecrazia, con Mario Morcellini, 1996). Ha scritto su Paese Sera, il Manifesto, Diario, Medioevo, Archeo, Ragionamenti di Storia (dove ha provato, grazie a documenti inediti, l’uso dei gas da parte dell’esercito italiano nella guerra d’Etiopia). Ha ideato e diretto il mensile Cittànova (1996-97). È stato caporedattore dei periodici d’arte Inside Art e Sofà (2004-2014). È opinionista sul quotidiano Metro e su Agi. Ha pubblicato il Dito sulla piaga. Togliatti e il Pci nella rottura fra Stalin e Tito, 1944-1957, Mursia, 2008. Con questa casa editrice è uscito il romanzo fantastorico Cenere (2010), primo di una trilogia sul mito. Sito www.mauriziozuccari.net.