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Calcio, saranno veri mondiali quando giocheranno i popoli in lotta

Calcio, intervista a Minuto Settantotto, collettivo politico-calcistico, gente che si commuove «per il diario di Bobby Sands e per i gol di Zampagna»

«I veri Mondiali sarebbero stati con Euskal Herria, Catalunya, Palestina e le altre rappresentative dei popoli in lotta». Esordiscono così sui Mondiali di calcio quelli di Minuto Settantotto (al settantottesimo minuto di Germania Ovest-Germania Est, 22 giugno 1974, Jurgen Sparwasser segna il goal che decreta la vittoria della Germania Est sull’Ovest). Loro si definiscono un collettivo politico-calcistico, di certo sono autori di un blog e di una pagina che in materia è tra le più seguite in Italia. Seguono, raccontano, commentano il calcio dalla loro prospettiva, quella di ragazzi di sinistra che oltre al gesto tecnico apprezzano il gesto politico. O, come la dicono loro, si commuovano per il diario di Bobby Sands e per i gol di Zampagna.

Da inizio Mondiale hanno dato il via ad una rubrica sulle Nazionali “escluse” chiamata “L’altro Mondiale”, quello che sarebbe se vi avessero potuto partecipare anche quelle Nazioni non riconosciute ufficialmente, di popoli sparsi tra vari paesi, o sciolte. Popoff ha intervistato il collettivo andando oltre i Mondiali  e parlando di calcio in generale, anche nei suoi volti “meno spettacolari”.

Non sono in molti ad apprezzare il connubio tra calcio e politica. Perché voi avete deciso di farne un marchio di fabbrica?

È una decisione che nasce come opposizione alla continua svalutazione del calcio da parte dei cosiddetti “ambienti di sinistra”, ovviamente (e purtroppo) non solo quella borghese. Un atteggiamento che ha di fatto consegnato all’avanzata della destra neofascista ampi settori dello sport che amiamo. Alla base del nostro progetto c’è la volontà di mostrare che il pallone è in grado di veicolare in modo straordinariamente efficace i valori in cui crediamo e che pensiamo debbano essere riproposti in ogni settore della società. Inoltre intendiamo opporre validi argomenti ai sostenitori del “non bisogna mischiare calcio e politica”: tutto è politica, e non vediamo come potrebbe restarne fuori uno sport che coinvolge milioni di persone in ogni parte del mondo.

Secondo l’ultimo rapporto del Viminale sulle manifestazioni sportive, le tifoserie di destra sono nettamente maggioritarie rispetto a quelle di sinistra. Come ve lo spiegate?

Tranne qualche caso, la sinistra ha colpevolmente ignorato il calcio e lo stadio, mentre la destra è stata abile a infiltrarsi e inserirsi in tante curve che di destra non erano. Inoltre è innegabile che il fenomeno sia molto più esteso e interessi l’intero occidente, contaminato in questo momento da recrudescenze neofasciste, razziste e sessiste sempre più forti. Lo stadio è uno specchio di quello che accade nella società e come tale riflette questo slittamento a destra.

I partiti e i gruppi neofascisti hanno infiltrato moltissime tra le curve italiane, anche tra le più importanti. Eppure la presenza nelle tifoserie non pare pagare in termini di voti, visto che l’estrema destra rimane sotto l’1%. Non è che forse lo stadio è vissuto dalla popolazione come luogo ai margini della società?

Più che altro ci sembra una mera questione numerica: essere una parte di una minoranza (a meno di non credere che gli ultras siano milioni) difficilmente può tradursi in percentuali enormi di voti. È semmai preoccupante che la sinistra abbia abbandonato o quasi le curve, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Sono passati i tempi di Paolo Sollier e di Socrates che veniva a giocare alla Fiorentina per leggere Gramsci in italiano, e paiono passati anche i tempi più recenti di Zampagna, Protti e Lucarelli tutti ormai ex calciatori anche se dal passato recente. Per chi è di sinistra e va in curva sono tempi difficili. Come sopravvivere all’inettitudine dell’immagine del “calciatore da rotocalchi” senza dover vivere solo di ricordi?

Noi non siamo per la nostalgia, cerchiamo di trovare spunti e istanze di sinistra nell’attualità, operazione che ci sembra molto più sensata del continuo rivangare un passato “mitico”. Chi è di sinistra e ama il calcio ha in realtà moltissimi modi per superare gli stereotipi del calciatore e del pallone moderni: squadre popolari, club e calciatori politicamente schierati (qualche nome: Celtic, St. Pauli, Rayo Vallecano, Deniz Naki, David Babunski, James McClean), nazionali che rivendicano il loro diritto ad esistere (i Paesi Baschi o la Catalogna), piccole e grandi rivendicazioni che vengono tuttora fatte sul campo e sugli spalti. La situazione non è rosea ma neppure così funerea come la si dipinge, sono i media semmai a non dare più risalto a chi la pensa diversamente.

Alcune curve sono divenute ricettacolo economico della criminalità organizzata, col benestare delle società che chiudono un occhio e a volte anche due. Che ne pensate e cosa pensate dei rapporti tra tifoserie e società?

Senza entrare troppo nel merito ci viene da rispondere che i legami troppo stretti tra società e gruppi organizzati non ci piacciono per nulla. Chiunque conosca il mondo ultras sa cosa comporti un certo modo “affaristico” di gestire una curva: un modo che svuota di passione il luogo in cui la passione dovrebbe essere tutto.

Negli ultimi tempi, anche le “istituzioni” della narrazione sportiva, paiono raccontare il calcio tenendo legato il versante delle vite sentimentali, delle feste e delle passioni notturne dei calciatori. Sono i calciatori a restituire una loro immagine frivola o è il racconto che narra in modo frivolo?

Sicuramente la narrazione sportiva sta subendo un notevole cambiamento negli ultimi anni, in particolare a causa dello strapotere assunto dai social network. Da un lato abbiamo uno storytelling esasperato, che arriva ad esaltare anche episodi o personaggi francamente trascurabili; dall’altro c’è il cosiddetto “bomberismo”, ovvero l’esaltazione acritica delle “imprese” extracampo dei giocatori. Che ovviamente tendono a condividere sempre più momenti personali o privati, ma come tutti i loro coetanei. Servirebbe maggiore distanza, ma quando anche un grande giornale come la Gazzetta punta sulle foto delle fidanzate dei calciatori o sull’apertura di un portale come Fantagazzetta (mero contenitore di “cazzate” da social) la situazione appare ovviamente compromessa.

In molti hanno sostenuto, dopo il mancato accesso dell’Italia al Mondiale, che l’eccessiva presenza di stranieri nel Campionato indebolisca la crescita dei ragazzi dei vivai. Voi che ne pensate?

Pensiamo che sia una scusa, una foglia di fico che vorrebbe coprire l’incapacità dei dirigenti del calcio italiano nel far crescere e maturare i propri talenti. Ricordiamo ancora quando Roberto Baggio si dimise, in polemica con la FIGC, dopo aver presentato un piano per il rilancio del calcio giovanile, accusando che nessuno ai vertici lo avesse considerato. È assolutamente vero che i club italiani spesso preferiscono investire su stranieri sconosciuti piuttosto che sui giovani dei vivai, ma ridurre tutto a questo aspetto sarebbe sbagliato. L’intero sistema-calcio italiano è vecchio, poco efficiente e indietro anni-luce rispetto ad altre realtà; servirebbe un piano serio di ricostruzione, ma è evidente che la volontà politica non va in questo senso. Anche le squadre B, presentate come cambiamento epocale, in realtà consolideranno le grandi storiche e penalizzeranno le piccole e i club delle serie minori, minando anche il complesso universo delle rivalità campanilistiche sul quale si regge la Lega Pro. Un campionato che andrebbe riformato in modo radicale, a partire dal numero di squadre e dal girone unico, ma che si preferisce far vegetare tra fallimenti, penalizzazioni e ripescaggi che lo rendono credibile come un incontro di wrestling.

I capitali stranieri si stanno impadronendo di pezzi importanti anche del nostro calcio. Che ne pensate?

È una tendenza innegabile e che ricalca in modo evidente le dinamiche del capitalismo dominante. La globalizzazione dei mercati e della finanza si è ovviamente estesa anche al calcio, importantissimo strumento di controllo sociale e veicolo privilegiato per l’ingresso in settori economici ben più strategici (pensiamo alle strategie ad ampio raggio dei qatarioti del PSG o dei vari oligarchi russi). La serie A al momento è un torneo minore per bacino di spettatori tv e infrastrutture, per questo da noi si vedono per adesso proprietà straniere di secondo piano o ben poco interessate ai risultati sportivi. I capitalisti nostrani, in ogni caso, non sono interessati ad investire cifre berlusconiane o non riescono a tenere il passo con i miliardari esteri, quindi anche da noi le proprietà straniere saranno sempre più comuni. Non che ci interessi: italiani o no, le dinamiche di sfruttamento del prodotto calcio e di disinteresse verso la parte popolare del tifo sono le stesse.

Chi tifa Minuto Settantotto per questo Mondiale?

Su questo non abbiamo neppure cercato di metterci d’accordo, ognuno tifa le squadre che preferisce.

 

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