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Processo Cucchi: il giorno di Rita, Giovanni e Ilaria

Processo per l’omicidio di Stefano Cucchi: oggi al banco dei testimoni i familiari del ragazzo ucciso durante le operazioni di arresto e detenzione. Imputati cinque carabinieri

«Oggi io, insieme a mio papà e mia mamma, abbiamo testimoniato al nuovo processo per la morte di Stefano Cucchi. Non commento le nostre drammatiche testimonianze ma posso dire a testa alta che siamo una famiglia onesta e per bene – scrive Ilaria Cucchi – nel processo che venne fatto con imputati ed accuse sbagliate, abbiamo dovuto vivere per sei anni ben 73 estenuanti udienze. Tutto questo grazie al maresciallo Roberto Mandolini, il carabiniere sbagliato, che è accusato di calunnia e falso.
Dico sbagliato perché Mandolini, dopo essere accusato di tutto questo, ha imperversato sui social coprendo di insulti noi e Stefano che, morto, non si poteva certo difendere e ha rilasciato interviste anche su giornali nazionali.
Il Carabiniere, quello giusto, è Riccardo Casamassima che invece, dicendo la verità insieme a Maria Rosati, ha reso possibile questo importante processo.
Ha denunciato al processo i suoi colleghi.
Orbene, il Comando generale dell’Arma ha “agevolato” il Carabiniere Casamassima allontanandolo da casa e demansionandolo. Lo ha poi punito duramente con 5 giorni di consegna di rigore che significherà privazione della libertà personale. Insomma il comando generale dell’arma lo priverà letteralmente della libertà personale.
Il carabiniere sbagliato Mandolini viene lasciato invece tranquillo nella solidarietà di tanti suoi colleghi.
Sono veramente disorientata.
Ora capisco bene la paura di tanti carabinieri nel testimoniare.
Io ora voglio solo dire questo: giù le mani dai carabinieri Casamassima e Rosati. E giù le mani dal mio processo.
Ministro della Difesa ci sei?

Parla Ilaria

«Non posso dimenticare le urla disperate dei miei genitori all’obitorio quando ebbero la possibilità di vedere il cadavere del figlio. Piangevano, li sentii gridare ‘Dio mio, che ti hanno fatto’. Io non avrei voluto vederlo, preferivo ricordarlo con il suo sorriso. Ma poi ho ceduto e ho visto una scena pietosa: un corpo irriconoscibile, non sembrava neppure Stefano. Aveva il volto tumefatto, un occhio fuori dall’orbita, la mascella rotta, l’espressione del volto segnato dalla sofferenza e solitudine nella quale era morto». Sono le parole di Ilaria Cucchi ascoltata in aula oggi davanti alla Corte d’assise al processo sulla morte del fratello Stefano, il geometra di 31 anni deceduto il 22 ottobre del 2009 all’ospedale Sandro Pertini di Roma, sei giorni dopo essere stato arrestato per possesso di droga dai carabinieri che, secondo la Procura, lo hanno massacrato di botte. «La nostra era una famiglia fantastica e meravigliosa, sempre unita, nonostante le tante batoste dovute ai problemi di tossicodipendenza di Stefano – ha detto ancora – Non c’era Natale o compleanno che non festeggiassimo sempre assieme. Stefano era come me, non tollerava le ingiustizie. Spesso litigavamo anche pesantemente, ma da parte sua non ricordo mai un gesto di violenza fisica. Aveva un bel caratterino. La sera prima dell’arresto era andato in palestra. Stava bene, era magro come me, ma non aveva alcun problema di salute. Fino all’ultimo istante della sua vita ha combattuto e lottato per essere aiutato».

Le parole della madre di Stefano

«La morte di un figlio è terribile, non ti potrai mai rassegnare». Tra le lacrime l’ha detto oggi in aula Rita Calore, la madre di Stefano Cucchi, chiamata alla testimonianza in aula dalla pubblica accusa nell’ambito del processo ai cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale per la morte di Stefano, deceduto in ospedale nell’ottobre 2009, una settimana dopo il suo arresto per droga. La madre ha ricostruito tutti gli attimi della storia del figlio Stefano, a partire dalla sera precedente all’arresto e fino al giorno in cui vide il corpo senza vita in obitorio. «Non l’ho riconosciuto. Quello che vedevo non era più Stefano – ha detto – era uno scheletro, tutto nero, un occhio di fuori, la mascella fratturata». E la sera prima dell’arresto, forse un presagio. «Mio figlio mi disse ‘abbracciami, dormi tranquilla, vedi che adesso sto bene’. Fu l’ultimo abbraccio con mio figlio. Verso l’una di notte sentii suonare il citofono: erano i carabinieri che venivano per la perquisizione». E il giorno dopo «mio marito andò in tribunale; al ritorno disse che Stefano era stato trattenuto. Era disperato. La prima cosa che mi disse fu che mio figlio l’aveva trovato gonfio in viso e pesto sotto gli occhi; e che forse qualche pugno glielo avevano dato». L’ultimo giorno, la terribile notizia. «Due carabinieri mi consegnarono un foglio e poi uno mi disse ‘devo darle una brutta notizia: suo figlio è deceduto. È questo foglio è per nominare un consulente per l’autopsia. Come pazzi, con mio marito corremmo al Pertini. L’unica cosa che ci dissero fu: ‘Suo figlio si è spento’».

La testimonianza di Giovanni Cucchi

«Com’è possibile che un ragazzo nelle mani dello Stato sia stato ridotto nel modo in cui l’ho visto all’obitorio. Una cosa spaventosa; non lo auguro a nessuno». Così Giovanni Cucchi, padre di Stefano, nel processo che per la morte del figlio vede imputati cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale. Giovanni Cucchi, nel corso della sua deposizione, è partito dal vissuto di Stefano, fino ad arrivare al momento in cui vide il figlio senza vita all’obitorio. Ha parlato dei problemi di tossicodipendenza del figlio, del periodo passato in due comunità, delle ricadute da eroina e di quanto fatto in famiglia per fargli superare i problemi. «Sono stati dieci anni d’inferno – ha detto – Noi abbiamo fatto tutto il possibile. Stefano tutti gli sbagli che ha fatto li ha sempre pagati». Dopo le comunità «per un anno andò tutto bene; pensavamo che il percorso fosse andato a compimento». Poi, però, quella notte del 15 ottobre 2009, la perquisizione in casa, l’arresto e l’udienza di convalida. «In tribunale lo vidi pochi secondi – ha detto Giovanni Cucchi – Aveva il viso gonfio come una zampogna e gli occhi neri. Il mio problema però non era il fatto dell’arresto, ma quello della droga. Mi concentrai sul fatto che dovevo convincerlo ad andare in comunità, ma lui mi rispose due volte ‘Papà, ma lo vuoi capire che m’hanno incastrato?’». E qualche giorno dopo la morte, il ritorno in casa di Stefano e la scoperta di una cassetta strana; la successiva perquisizione portò al ritrovamento di droga. «Denunciammo tutto all’Autorità giudiziaria. Io sono stato duro con Stefano sia in vita sia in morte, denunciando proprio questo fatto». Prossima udienza il 27 settembre.

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