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Processo Cucchi, l’inchiesta punta in alto: indagato anche un colonnello

Caso Cucchi, per il pm è una «storia è costellata di falsi». Ed è caccia a chi organizzò il depistaggio. Indagato un colonnello, finora il più alto in grado in questo processo

«Siamo basiti, scioccati, non sappiamo più cosa pensare. Quello che ci fa veramente molto male e arrabbiare è che da quest’inchiesta emergono fatti e comportamenti esecrabili, indegni per appartenenti all’Arma dei Carabinieri, di cui si sono rese responsabili persone che non erano coinvolte nell’arresto di Stefano Cucchi né direttamente coinvolte nella sua morte – dice l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi – io e Ilaria abbiamo preso atto che per i Carabinieri i problemi sono Casamassima, Rosati e Tedesco, noi abbiamo fiducia nell’Arma dei Carabinieri, ma qui emerge un quadro desolante ed esiste un grave problema da risolvere». Le parole in fondo a una lunga giornata di udienza che s’è aperta con le comunicazioni del pm di nuove integrazioni di indagine. E spunta un ennesimo indagato, ancora più in alto, nella scala gerarchica dei carabinieri di Roma nella tranche dell’inchiesta che sta cercando di risalire a chi in quell’ottobre del 2009 ordinò di falsificare gli atti sullo stato di salute di Stefano Cucchi, il geometra romano arrestato per droga e morto una settimana dopo in ospedale. Il nuovo ufficiale indagato è il tenete colonnello Francesco Cavallo all’epoca capo ufficio comando del Gruppo carabinieri Roma.

Secondo quanto emerge dalle nuove carte depositate dalla procura sarebbe stato Cavallo a suggerire al luogotenente Massimiliano Colombo, comandante della stazione Tor Sapienza, di effettuare modifiche all’annotazione di servizio sullo stato di salute di Cucchi. Insieme al colonnello Cavallo altre cinque persone sono finite nel registro degli indagati della procura nel nuovo filone di indagine.

E sembrano non finire mai i colpi di scena sulla vicenda della morte del giovane geometra. Non ultima la frase intercettata ad uno dei carabinieri imputati, Vincenzo Nicolardi. «Magari morisse, li mortacci sua», parole che hanno provocato uno choc in aula. La frase è riportata negli atti depositati dal pm Musarò e si riferisce ad una intercettazione di Nicolardi con il capoturno della centrale operativa del comando provinciale avvenuta tra le 3 e le 7 del mattino del 16 ottobre del 2009, ovvero il mattino dopo l’arresto di Stefano Cucchi. Il militare fa riferimento alle condizioni di salute del geometra che era stato arrestato da alcune ore e si trovava in quel momento nella stazione di Tor Sapienza. «Mi ha chiamato Tor Sapienza – dice il capoturno della centrale operativa – Lì c’è un detenuto dell’Appia, non so quando ce lo avete portato se stanotte o se ieri. È detenuto in cella e all’ospedale non può andare per fatti suoi». Nicolardi, quindi, risponde: «È da oggi pomeriggio che noi stiamo sbattendo con questo qua».

Il pm in aula non ha usato mezzi termini. «Questa storia è costellata di falsi, da dopo il pestaggio e proseguita in maniera ossessiva anche dopo la morte di Cucchi. C’è stata un’attività di inquinamento probatorio che ha indirizzato in modo scientifico prove verso persone che non avevano alcuna responsabilità e che sono state sottoposte a giudizio», ha affermato in apertura dell’udienza del processo a carico di 5 carabinieri, tre dei quali per omicidio preterintenzionale, per la vicenda della morte di Cucchi. Del nuovo filone d’indagine ha parlato in apertura dell’udienza lo stesso pm, il quale ha reso edotte le parti dell’avviso di deposito di una serie di atti (assunzioni testimoniali di carabinieri, perquisizioni e sequestro di documenti, consulenze foniche su chiamata al 118 e riascolto comunicazioni radio tra le forze dell’ordine, e altro); ed è da questi atti che emergono le novità d’indagine. Poi, le parole dello stesso pm: «quello che ha detto il carabiniere Fancesco Di Sano nell’udienza del 17 aprile è vero: la modifica dell’annotazione di servizio sullo stato di salute di Cucchi non fu frutto di una decisione estemporanea e autonoma di un militare ma fu l’esecuzione di un ordine veicolato dal comando di stazione, che a sua volta recepì un ordine dal comandante di Compagnia, che a sua volta aveva recepito un comando dal gruppo». Prossima udienza, il 7 novembre. Continueranno le audizioni testimoniali, e non sono esclusi ulteriori colpi di scena.

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