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Cucchi e Anselmo: basta compromessi sui diritti umani

Ilaria Cucchi e Fabio Anselmo sul palco della Fiom all’indomani dell’ennesima udienza in cui una teste conferma che Stefano fu picchiato da chi l’arrestò

Un’ovazione ha accolto Ilaria Cucchi e Fabio Anselmo, l’avvocato dei casi di malapolizia, al congresso Fiom in corso a Riccione. «Sono nove anni che, mio malgrado, sono costretta a parlare in pubblico», ha premesso Ilaria, emozionata di fronte alla platea dei metalmeccanici della Cgil, presentandosi come la sorella di un detenuto morto «per la violenza e l’indifferenza» di chi lo aveva arrestato e lo aveva in custodia. Ha parlato della sua famiglia, alle prese con «istituzioni che all’improvviso diventano ostili» e, più volte interrotta dagli applausi, ha spiegato come «non è assolutamente vero che la giustizia è uguale per tutti: è per chi se la può permettere, per chi può ipotecarsi casa, per chi incontra un avvocato che ha il coraggio e la tenacia di portare avanti battaglie spesso da solo contro tutto e tutti, una famiglia che decide di non avere il tempo di piangere quella morte ma di portare avanti una battaglia di civiltà, legalità, per i diritti. La nostra battaglia è la vostra battaglia, l’appello è quello di continuare a sostenerci».

Anche Anselmo, probabilmente, non se lo sarebbe mai aspettato di parlare in un teatro pieno di operai o comunque sindacalisti delle tute blu: «siamo in vertenza permanente da quindici anni – spiega contando il tempo dal caso Aldrovandi, al cui nome viene giù un ennesima salve di applausi – abbiamo un’emergenza diritti umani causata da uno Stato che non processa volentieri se stesso, che lascia gli ultimi da soli, senza diritti. Ci siamo battuti per una degna legge contro la tortura», continua ricordando il pessimo esito del luglio 2017 quando il governo Pd-alfaniani impose un testo scritto in ossequio alle potentissime lobby delle polizie. «Basta compromessi quando parliamo di diritti umani – chiede alla Fiom – se accettiamo compromessi sui diritti umani fondamentali che ne potrà essere del diritto al lavoro, se accettiamo l’idea che la coperta dei diritti umani non può bastare per tutti, se un decreto torna a perseguire il reato di povertà (ce l’ha con sia con Salvini che con Minniti, ndr) e mette in galera chiunque si affaccia in questo paese in condizioni di disperazione?».

Tutto ciò all’indomani dell’ennesima udienza del processo per l’omicidio di Stefano Cucchi. «Stefano ripeteva “sto male, sto male”. Poi mi confidò di essere stato picchiato da chi lo aveva arrestato». Annamaria Costanzo, ex detenuta, ha ricordato in aula cosa le disse Stefano Cucchi quando lo incontrò nelle celle del tribunale capitolino dove il geometra romano attendeva l’udienza di convalida. La donna, quelle frasi le aveva già dette (e in quel caso era stata la prima volta) nel processo scaturito dalla prima inchiesta per la morte di Cucchi e oggi le ha ripetute anche davanti alla prima Corte d’assise di Roma, i cui giudici per quella morte stanno valutando la posizione di cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale. «Fu Stefano a fermarmi mentre ero nel corridoio delle celle – ha detto la Costanzo – mi chiese una sigaretta, mi disse che era in cella per un po’ di fumo e che stava male perché non gli volevano dare la pasticchetta. Continuava a dire “sto male” e gli domandai “ma che ti hanno menato?”. Mi rispose di sì e che erano stati gli agenti che l’avevano arrestato; e che erano in due. Io quella sigaretta gliela diedi dicendogli “speriamo che non è l’ultima che ti fumi”, perché vidi che stava veramente male».

Le condizioni di Cucchi, in quell’occasione sono state descritte nei particolari: «Vidi la sua faccia dallo spioncino della celletta, aveva lividi in faccia. Agli agenti dissi “chiamate qualcuno, chiamate un dottore, perché questo ragazzo sta male”. E un secondino mi rispose che non dipendeva da lui, ma dal nucleo che l’aveva portato lì, che l’aveva arrestato. Mi sento sempre in colpa, sto col pensiero quando sento parlare di questo ragazzo». Il resto dell’udienza di oggi è stato occupato dal sentire testimonianze per “fissare” lo stato dei luoghi della sala della caserma dove Cucchi sarebbe stato picchiato; impresa impossibile, questa, perché quando nel 2016 è stato fatto il sopralluogo e l’accertamento fotografico, quei luoghi erano già stati ristrutturati. E poi è stato sentito anche un carabiniere che pochi giorni dopo la morte di Cucchi, nella casa dove lui abitava trovarono un quantitativo di sostanza stupefacente. Prossima udienza, il 25 gennaio.

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