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Cucchi, ufficiali reticenti ma l’8 aprile parlerà il superteste

Processo Cucchi, un altro colonnello si avvale della facoltà di non rispondere. Alla prossima udienza sarà ascoltato il carabiniere Tedesco

Imputato e teste chiave nel caso Cucchi, Francesco Tedesco sarà sentito in aula il prossimo 8 aprile. E per la prima volta si assisterà alla testimonianza oculare del pestaggio del detenuto. Tedesco, il carabiniere che con le sue dichiarazioni diede una svolta alle indagini sulla morte di Stefano, probabilmente ribadirà quanto aveva denunciato nel luglio scorso davanti al pm. Allora Tedesco puntò il dito contro gli altri due colleghi accusati come lui di omicidio preterintenzionale, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, raccontando di aver assistito al pestaggio del geometra poco dopo il suo arresto. Una testimonianza che – secondo i familiari di Stefano – aveva fatto crollare quel «muro di omertà», ma che non ha trovato finora altrettante ammissioni nel corso del processo, al quale in questi mesi si è affiancata un’inchiesta sui depistaggi e falsi documenti legati alla vicenda del giovane fin dal suo arresto. «L’atteggiamento reticente e non particolarmente collaborativo di alcuni testi è visibile», ha rilevato il pm Giovanni Musarò nel corso del processo al processo in Corte d’Assise a carico di cinque militari dell’Arma, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale proprio per via di quel pestaggio. «L’obiettivo – ha aggiunto – non è fare un processo sui depistaggi, quello è un altro procedimento. Ma ci sono circostanze che rilevano in questo processo perché la prova davanti a questa Corte è stata condizionata da quei depistaggi».

Musarò ha depositato nel fascicolo del dibattimento una serie di note riguardanti documenti su Cucchi, sottoscritte da ufficiali dell’Arma che nel corso del processo si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. L’ultimo dei quali è il tenente colonnello Francesco Cavallo, nel 2009 capo ufficio comando del Gruppo carabinieri di Roma, indagato per falso nell’ambito dell’inchiesta sui depistaggi. Ha potuto non rendere l’esame in quanto l’ufficiale dell’Arma è uno degli indagati per la vicenda dei depistaggi che avrebbe caratterizzato la vicenda; nei confronti di 8 militari a metà mese la procura ha depositato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. In aula sono però emersi altri dubbi su quanto successe il 4 novembre del 2015, quando il capitano Tiziano Testarmata (poi indagato nell’inchiesta sui depistaggi) si presentò presso la Compagnia Casilina per acquisire una serie di atti. Il tenente Carmelo Beringheli, comandante del nucleo operativo della compagnia di Roma Casilina ha ribadito di avere invitato allora Testarmata a prelevare il registro del fotosegnalamento in originale. Ma il suggerimento non sarebbe stato accolto e di quel registro, dove il nome di Cucchi risultava sbianchettato, fu fatta solo una fotocopia.

disegni da “Il buio. La lunga notte di Stefano Cucchi” di Emanuele Bissattini, Floriana Bulfon, D. Esposito, C. Giulian, RoundRobin, 2018

«Nel novembre 2015 venne alla Compagnia Casilina il capitano Tiziana Testarmata; mi disse che aveva bisogno del registro dello Spis con riferimento al 2009, e dei cartellini fotosegnaletici e dattiloscopici», ha spiegato il tenente. E si è tornato a parlare di quella riga sbianchettata sotto la quale compariva il nome di Stefano Cucchi. «Non potevo avere la certezza che sotto la parte sbianchettata ci fosse il nominativo di Cucchi, però il sospetto era fortissimo. Dissi che quel registro secondo me andava sequestrato. A me sembrò assurdo che non avessero sequestrato quel registro in originale; rappresentai le mie perplessità al capitano Testarmata, che con mi rispose», aggiunse. Invece inizialmente fu acquisito ‘in copià fino a quando «dopo un pò di tempo tornò il capitano Testarmata e questa volta ci chiesero di consegnare l’originale. Sinceramente me l’aspettavo». «Trovai strano e assurdo che il registro delle persone sottoposte a fotosegnalamento non venisse portato via in originale – ha detto in udienza Beringheli – era evidente che il registro delle persone sottoposte a fotosegnalamento della Compagnia di Roma Casilina era stato sbianchettato. E al capitano Tiziano Testarmata (già comandante del nucleo investigativo, ndr) feci presente che il registro in originale, e non solo la fotocopia, andasse acquisito e consegnato alla magistratura per essere sottoposto ad accertamenti», ha aggiunto Beringheli ribadendo di avere invitato Testarmata, quando il 4 novembre del 2015 si presentò presso la Compagnia Casilina per acquisire una serie di atti, a prelevare il registro in originale: «Secondo me, quello che la magistratura cercava stava proprio in quelle carte che davano conto del passaggio di Cucchi dalla Compagnia alla sala Spis nella giornata del 16 ottobre del 2009 (quando fu arrestato, ndr)».

Resta cruciale anche il nodo sulle cause della morte del detenuto. La Corte d’Assise ha deciso di acquisire agli atti la perizia che era stata effettuata nell’ambito dell’altro procedimento, dove sono imputati i medici. Secondo il documento, si «permette di individuare quale causa del decesso del paziente Stefano Cucchi una morte cardiaca su base aritmica». Tutto resta ora sospeso fino al prossimo 8 aprile, quando in aula le parole di Tedesco potrebbero far rivivere – con il racconto di quegli attimi di violenza ancora da accertare – il momento più atroce dell’intera vicenda. E forse il più importante.

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