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Cucchi, anche Salvini tra le parti civili nel processo sui depistaggi

Caso Cucchi: ammesse le costituzioni di parte civile di Palazzo Chigi, Difesa, Interno, Comando dell’Arma, nel processo sui “depistaggi a 360°”

Depistaggi nel caso Cucchi: ammesse le costituzioni di parte civile di Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Difesa, Ministero dell’Interno, Comando Generale dell’Arma e Cittadinanzattiva Onlus che compariranno come parti lese nel procedimento a carico di otto militari dell’Arma accusati di avere messo in atto falsi e depistaggi per sviare le indagini sulla morte di Stefano Cucchi, avvenuta nell’ottobre del 2009 a Roma a sei giorni dal suo arresto. Il gup Antonella Minunni, nell’ambito dell’udienza preliminare in cui il pm Giovanni Musarò ha ribadito le richieste di processo per gli imputati, ha dato l’ok alla costituzione di parte lesa anche per i familiari di Cucchi, per il carabiniere Riccardo Casamassima, il militare grazie alle cui dichiarazioni è stato possibile riaprire le indagini sulla morte del geometra 31enne, e per tre agenti della polizia penitenziaria. Il giudice ha, invece, escluso il Sindacato dei Militari in quanto all’epoca dei fatti non esisteva. Nella requisitoria il rappresentate dell’accusa ha ricostruito i vari snodi dell’inchiesta che ha svelato l’attività di depistaggio messa in atto fin da subito, pochi giorni dopo la morte di Stefano, anche da ufficiali e vertici dell’Arma capitolina di allora. «Un depistaggio a 360 gradi – ha detto Musarò – cominciato il 30 ottobre di dieci anni fa quando, mentre ancora la Procura doveva nominare i medici legali, il Comando gruppo di Roma, all’epoca guidata dall’allora colonnello Alessandro Casarsa, aveva stabilito una sua verità e cioè che Cucchi era morto a causa delle sue condizioni di salute e non per quello che abbiamo scoperto in epoca successive». Il riferimento è anche alle percosse che il 31enne ha subito nella caserma Casilina dopo il suo arresto per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Oltre a Casarsa la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio anche per il colonnello Lorenzo Sabatino, ex capo del nucleo operativo di Roma; Francesco Cavallo,all’epoca dei fatti tenente colonnello capoufficio del comando del Gruppo Roma; Luciano Soligo, già comandante della Compagnia Montesacro; Massimiliano Colombo Labriola, ex comandante della stazione di Tor Sapienza; Francesco Di Sano, all’epoca in servizio a Tor Sapienza; Tiziano Testarmata, già comandante della quarta sezione del Nucleo investigativo e il carabiniere Luca De Cianni. I reati contestati, a seconda delle posizioni, sono falso, omessa denuncia, favoreggiamento e calunnia.

Al netto della retorica di chi pensa che queste mosse possano essere un gesto di riconciliazione, sembra paradossale che Salvini e l’Arma, ma anche la Difesa, si costituiscano parte civile nel processo contro 8 tra ufficiali e carabinieri per la macchina degli insabbiamenti e dei depistaggi seguiti all’omicidio di Stefano Cucchi. E’ solo un atto dovuto che arriva perdipiù nove anni dopo i fatti, nove anni dopo la “partita truccata” come l’ha definita il pm Musarò, pubblica accusa anche contro i 5 carabinieri a vario titolo imputati nel processo per l’omicidio. Per altri versi questa mossa processuale è un tentativo di marketing da parte del comando di Viale Romania, simile alle “scuse” di alcuni capi della polizia che si sono succeduti al Viminale dopo il G8. Allora e adesso sono solo modalità per ricalibrare i titoli dei giornali, per rilanciare il brand in uno dei momenti di minore credibilità. Solo il rigore di alcuni settori della magistratura e l’indignazione di alcuni settori della società che si sono schierate dalla parte della vittima hanno consentito che le denunce degli abusi potessero avere la tribuna di un processo.

Almeno un centinaio tra prefetti, questori e dirigenti della polizia di stato, solo negli ultimi due anni, sono stati condannati, arrestati o indagati per gravi reati (associazione a delinquere, sequestro di persona, violenza – anche sessuale – corruzione, falso, omissione, abuso d’ufficio, depistaggio, rivelazione di notizie riservate, truffa, peculato, connivenza con organizzazioni criminali ecc.) o illeciti erariali; anziché essere rimossi spesso sono stati spalleggiati da sigle sindacali grandi e piccole, promossi o parcheggiati in attesa di rilancio (si pensi ai responsabili delle torture del G8, del sequestro Shalabayeva, del pluriomicidio Calderini, del pestaggio Gugliotta) lanciando un terribile segnale di impunità al personale che, malgrado le promesse dei governi che si sono avvicendati, nemmeno se la passa bene a giudicare dal raddoppio dei suicidi e dal boicottaggio del governo e del Pd delle sacrosante richieste di avere sindacati in grado di funzionare così come detta una sentenza della corte costituzionale.

Nel caso Cucchi non si può ignorare che, mentre l’Avvocatura di Stato presenta la richiesta di costituzione di parte civile, l’Arma continua a mobbizzare due dei testi-chiave, l’appuntato Casamassima e la sua compagna e collega Maria Rosati, la ministra Trenta proseguiva a ignorare le richieste di verità e giustizia dei militari ammalati per via dell’uranio impoverito, e il ministro Salvini ha spedito la digos e la celere di mezza Italia a tappare la bocca a chi esercitava il legittimo diritto di manifestare o anche il solo diritto di cronaca come è capitato a un cronista di Repubblica che è tornato a casa con 4 fratture e un trauma cranico. Salvini è lo stesso che, quando finalmente fu chiaro che i carabinieri c’entravano, eccome, con la morte di Stefano, si permise di dire a Ilaria che si sarebbe dovuta vergognare, che certi suoi post gli facevano schifo! Che credibilità possono avere certe istituzioni o quei personaggi che hanno inventato il reato di solidarietà, che lucrano consensi costruendo un senso comune razzista, abusante, fascistoide e sessista?

Gli abusi in divisa sono il frutto marcio dell’emergenza sicurezza e di una subcultura autoritaria che alberga in ampi settori nelle forze dell’ordine e nei corpi di polizia fin dalle fasi del reclutamento e dell’addestramento. Il rapporto tra cittadini con la divisa e cittadini senza si ricuce solo con sradicando quella cultura dell’abuso, senza se, senza ma, senza complicità.

I tre ministeri, tra cui quello guidato dal ministro di polizia, sono le stesse istituzioni che si oppongono a misure come il codice alfanumerico sulle giubbe di chi opera travisato in ordine pubblico (pensate a Genova come sarebbe stato semplice trovare i picchiatori del giornalista), a una vera legge contro la tortura o alla rimozione del segreto di stato.

La costituzione dell’Arma e del Viminale come parti lese in questa vicenda lascia perplessa anche Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, che già da alcuni giorni aveva diramato questa nota.

 

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