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Arafet, scontro fra periti ma la procura vorrebbe archiviare

Arafet morì durante un controllo di polizia in un money transfer di Empoli. La famiglia della vittima e Acad si opporranno al tentativo di archiviazione

«Come ormai prassi, anche nel caso di Arafet la tendenza è quella di archiviare morti e pestaggi quando ci sono di mezzo le forze dell’ordine», commenta a caldo Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa che segue il caso, in solidarietà con la famiglia fin dalle prime ore. La pm Christine Von Borries della procura di Firenze ha chiesto al gip l’archiviazione delle indagini per omicidio colposo relative alla morte del 31enne tunisino Arafet Arfaoui, deceduto la sera del 17 gennaio scorso a Empoli (Firenze) in circostanze da chiarire durante un controllo di polizia all’interno di un money transfer. La ricostruzione dei fatti emersa dall’inchiesta, rimasta sempre a carico di ignoti, si è basata sui racconti dei testimoni, tra cui gli agenti intervenuti nel money transfer e i sanitari che soccorsero il 31enne, sui risultati dell’autopsia e sulle immagini riprese dalle telecamere sistemate dentro e fuori il negozio.

«La  pm ritiene che la morte di Arafet – spiegano gli attivisti dell’associazione – sia dovuta ad una “reazione emotiva data dal suo stato di salute di estrema agitazione” in seguito all’intervento della polizia e che questa agitazione insieme “all’assunzione di cocaina avrebbero determinato un arresto cardiaco da morte elettrica in corso di intossicazione” in un contesto, sempre secondo la pm, nel quale i poliziotti “hanno agito in maniera regolare” e lo stesso i sanitari del 118 intervenuti. Alla luce di questo, uniti alla moglie e insieme all’avvocato Giovanni Conticelli, legale di Arafet e nostro rappresentante nella difesa delle parti civili, dichiariamo a gran voce che non si condivide in alcun modo le conclusioni del pubblico ministero e che provvederemo, nei termini di legge di 20 giorni, a proporre opposizione al GIP chiedendo ulteriori accertamenti, con particolare attenzione alle cause di morte, poiché il medico-legale consulente della difesa ha individuato invece elementi clinici e medico legali riconducibili ad una sofferenza respiratoria da asfissia posizionale che sarebbe concausa della morte di Arafet al di là del suo stato di alterazione dovuto all’intervento della polizia e all’assunzione di cocaina. Per questi motivi faremo ferma opposizione al GIP chiedendo di accettare questi ulteriori elementi anche e soprattutto alla luce del fatto che tutta la fase di colluttazione e dell’arresto di Arafet non sono state riprese da telecamere in quanto il fermo stava avvenendo nell’unica zona del locale sprovvista e che la testimonianza degli stessi poliziotti e degli altri soggetti coinvolti dice che Arafet era tenuto a terra a pancia all’ingiù, in posizione prona con le mani ammanettate, le gambe legate da una corda fornita dal proprietario del locale e con un poliziotto che lo teneva per le caviglie e altri due che lo tenevano per le spalle. In questo contesto quindi, riteniamo che debba essere fatta assolutamente chiarezza in quanto, lo ribadiamo, non convince in alcun modo la conclusione prodotta dal pubblico ministero».

Come in ogni storia del genere quello che c’è da chiarire è l’adeguatezza, per l’incolumità delle persone soccorse, delle tecniche di contenzione da parte dei poliziotti in modalità “soccorritori”. Arafet era stato accusato dal titolare del money transfer di avere una banconota falsa e anche questa è una circostanza tutta da chiarire. In base all’esame autoptico disposto dalla procura, l’uomo, che si trovava in un forte stato di agitazione psicofisica, sarebbe deceduto per un arresto cardiaco verificatosi durante un’intossicazione acuta da cocaina, assunta circa un’ora prima della morte. Nessuna responsabilità sarebbe stata riscontrata poi a carico dei sanitari del 118, che non poterono fare nulla per salvarlo nonostante il tempestivo intervento.

«In base agli accertamenti medico legali del nostro consulente – spiega Conticelli – sono stati rilevati elementi che potrebbero indicare una concausa asfittica da posizionamento». Secondo quanto ipotizzato dal legale, dunque, al decesso del 31enne potrebbe aver concorso anche la posizione nella quale è stato immobilizzato. «Dagli atti d’indagine e dalle dichiarazioni dei poliziotti – precisa Conticelli – è emerso che c’è stato un posizionamento a terra», e che il tunisino era «prono con le mani ammanettate e le gambe legate, e gli agenti che lo tenevano per le caviglie e sulle spalle». «Pertanto – annuncia l’avvocato – proporremo opposizione chiedendo tra le altre cose al giudice ulteriori accertamenti di natura medico legale, da effettuare eventualmente anche tramite una perizia». «Dal 2014, anno del caso Magherini, aggiunge Conticelli – i carabinieri hanno avuto direttive specifiche circa il modo di immobilizzare soggetti in stato di alterazione, è sorprendente che dopo 5 anni la polizia non abbia specifiche circolari sul tema. In sede d’indagine abbiamo fatto richiesta di verificare alla procura e non risulta che siano state emanate». Conticelli difende i familiari di Arfaoui insieme all’avvocato Gianluca Vitale.

 

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