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Cannabis, Cassazione choc: piantarla non è reato

Non costituirà più reato coltivare in minime quantità la cannabis in casa. La decisione epocale delle sezioni unite penali della Cassazione

Non costituirà più reato coltivare in minime quantità la cannabis in casa. A stabilirlo una decisione epocale quella delle sezioni unite penali della Cassazione.

Per Stefano Vecchio, presidente di Forum Droghe, la storica associazione che si occupa di politiche sulle droghe a livello nazionale ed internazionale (fondata nel 1995, è membro dell’International Drug Policy Consortium e della Coalizione Italiana per i Diritti e le Libertà Civili ed è ONG accreditata con status consultivo all’ONU) che la decisione degli ermellini «mette nero su bianco che è insensato colpire penalmente condotte che sono evidentemente volte al consumo personale. Dovremmo tutti prendere atto che il fenomeno del consumo, ma anche dell’autoproduzione di cannabis per uso personale, è ormai normalizzato nella società e che quindi è compito dello Stato regolarlo per limitarne i danni sulle persone. Purtroppo la politica è sorda agli appelli che in questi anni abbiamo fatto più volte per un intervento legislativo di riforma complessiva del DPR 309/90 che compie ormai 30 anni. Un primo passo potrebbe essere, in attesa di una riforma complessiva, che il parlamento discuta ed approvi la proposta Magi di riforma del 73 e dei fatti di lieve entità, da non confondersi con quella assurda e crimonogena di Salvini. Manca però un luogo di confronto: la Conferenza nazionale da troppi anni non viene convocata, mentre si parla di droghe, anzi di “DROGA” al singolare, solo per collegarla nei titoli a tragici fatti di cronaca o per generare allarmi per lo più generici e senza alcun approfondimento».

«E’ la quarta volta che i giudici intervengono in sostituzione della politica per adeguare la legge italiana sulle droghe al dettato costituzionale e al buon senso giuridico. Per 3 volte la Corte Costituzionale ha prima dichiarato illeggitima la Fini-Giovanardi, poi cassato al’art 75 bis sulle sanzioni amministrative ed infine adeguato il minimo di pena per le sostanze cosiddette pesanti ad un minimo principio di proporzionalità della pena – aggiunge Leonardo Fiorentini, direttore di Fuoriluogo, la testata di Forum Droghe  – si arrivava all’assurdo che si colpiva pesantemente chi si coltivava la propria pianta in casa proprio per non foraggiare le narcomafie. La grande assente di oggi è la politica, che è ancora ostaggio dell’ideologia proibizionista. Ne è dimostrazione le risposte troppo timide di molti politici rispetto all’ultima crociata dell’ex Ministro della Paura Salvini, addirittura in guerra (senza quartiere) anche contro sostanze che non hanno effetti psicoattivi, come la cannabis light. Per iniziare però 30 anni di pesante proibizionismo in Italia, quasi 60 nel mondo, non hanno fatto altro che riempire le carceri di spacciatori e persone che usano sostanze (rispettivamente il 35% e il 28% dei detenuti), mentre il mercato illegale delle droghe è più libero, florido e variegato che mai».

Maurizio Acerbo, segretario del Prc lo definisce «un bel regalo di Natale». Per Sinistra anticapitalista è un «segno preciso che la battaglia per la legalizzazione debba essere di segno opposto al modello “profit driven”». Comunque la sentenza della Cassazione sull’autocoltivazione di cannabis per uso personale è destinata a lasciare il segno anche perché sconfessa un parlamento che, non ammettendo l’emendamento sulla possibilità di commercializzare le infiorescenze di cannabis con meno dello 0,5 di Thc, aveva imboccato la tragicomica via della guerra alla non droga, variante salviniana di un proibizionismo tanto ottuso quanto feroce.

«In attesa di leggere le motivazioni – continua Acerbo – non si può che plaudire a una sentenza che potrebbe sancire la fine della persecuzione di tanti onesti cittadini. I magistrati della Cassazione hanno parzialmente posto riparo all’ignavia del parlamento e del governo che non si decidono a legalizzare la cannabis».

Si è sentenziato per la prima volta che «non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica» e «per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante ed il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore». In sostanza chi coltiva per sè non compie più reato. Viene sostenuta così la tesi per cui il bene giuridico della salute pubblica non viene in alcun modo pregiudicato o messo in pericolo dal singolo assuntore di marijuana che decide di coltivarsi per sè qualche piantina. I kit per la coltivazione dei semi di cannabis sul balcone di casa sono ormai assai diffusi, venduti anche on line su siti specializzati di internet, ma si incorreva in rischi da un punto di vista legale, finora a livello giuridico non c’era mai stata un’apertura vera in questa direzione. Dopo questa decisione, che è stata sin da subito commentata come un evento epocale, per Giovanni D’Agata, presidente dello «Sportello dei Diritti», è giunto il momento che il legislatore prenda una posizione definitiva sulla legalizzazione o meno della cannabis e dei suo derivati.

«Consentendo l’autocoltivazione nell’orto o sul balcone di casa si riducono affari delle narcomafie e si salvaguarda la salute dei consumatori che sul mercato illegale spesso acquistano ogni sorta di schifezze -riprende Acerbo – ricordo che l’isteria proibizionista continua a rendere difficile l’accesso persino alla cannabis terapeutica. Una situazione tragicomica e irrazionale in cui lo stesso Ministero della Sanità fa bandi per acquistare le piante escludendo espressamente coltivatori italiani. Invece di dare retta ai deliri ipocriti di Salvini il parlamento proceda alla legalizzazione e all’approvazione di una normativa seria. Se la Cassazione ha depenalizzato il giardinaggio una buona legislazione potrebbe consentire lo sviluppo di un intero comparto agricolo e produttivo consentendo anche positive entrate fiscali per lo Stato».

Ma il proibizionismo sembra essere il miglior alleato delle narcomafie: anche il successo dei grow shop, quei negozietti che fanno inorridire Salvini e Giovanardi, Binetti e San Patrignano, ha intaccato del 10% (dati della York University) i profitti delle cosche e ha causato la loro reazione rabbiosa: a Monterotondo lo riconobbero dal labbro, era bruciacchiato, conseguenze di un incendio che lui stesso aveva appiccato a un grow shop, un negozio di cannabis light. E’ capitato a marzo del 2018 nell’hinterland di Roma e la bocca ustionata era quella di un pusher di 21 anni, uno di quelli del “Pincetto”, la zona da cui partivano per fornire di ecstasy, cocaina e fumo le discoteche di Montesacro e i consumatori della loro cittadina, e che in 14 sono stati arrestati nel febbraio di quest’anno. Poche settimane prima, a Barletta, era andato a fuoco un grow shop, come rappresaglia delle cosche dopo una maxiretata, 126 gli indagati, contro gli spacciatori che «militarizzavano gli spazi della movida dopo il tramonto», dissero gli inquirenti. Le organizzazioni della Società Civile, gli operatori del settore insieme alle persone che usano sostanze  hanno  deciso di autoconvocare a fine febbraio a Milano (28-29 febbraio) una grande Conferenza in cui discutere di come governare il fenomeno sociale del consumo di droghe dopo 30 anni di fallimentare guerra alla droga. «E’ il momento del coraggio per affrontare di petto il fallimento delle politiche proibizioniste a livello nazionale ed internazionale, a partire dalla sostanza più diffusa e normalizzata fra quelle nelle tabelle delle convenzioni internazionali. Al pari di paesi come Uruguay, Canada ed 11 stati USA è il tempo di avviare anche in Italia una riforma per la regolamentazione legale della cannabis», conclude Fiorentini.

 

 

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