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Scopa, sacco, scarpe rotte: la Befana di Rodari

Trattato della Befana di Gianni Rodari dalle Novelle fatte a macchina

La Befana è divisa in parti tre: la scopa; il sacco; le scarpe rotte ai piè — Alcuni la dividono in altri modi e sono ben padroni di farlo, ma io credo di essere nel giusto. Ora passerò a descrivere una per una le tre parti senza confondermi.

Parte prima La scopa

Dopo il Sei Gennaio, la Befana di piazza Navona si serve della scopa per visitare altri mondi. Vola sulla Luna, su Marte, su Antàres. Fa il giro delle nebulose e degli universi. Poi torna nel paese delle Befane dove, per prima cosa, sgrida sua sorella perché non ha lavato i pavimenti, non ha spolverato i mobili e non è andata dal parrucchiere. La sorella della Befana, è una Befana anche lei, ma non le va di viaggiare. Se ne sta sempre in casa a mangiucchiare cioccolatini e a succhiare caramelle all’anice. È più pigra di ventiquattro mucche.
Le due sorelle hanno un negozio di scope. Ci si servono tutte le Befane del paese: la Befana di Omegna, la Befana di Reggio Emilia, quella di Rivisondoli, eccetera. Le Befane sono migliaia, consumano un monte di scope, gli affari vanno benone. Quando le vendite diminuiscono, la Befana dice a sua sorella:
— Le vendite diminuiscono. Bisogna fare qualcosa. Ti sarà ben venuta un’idea, a forza di mangiare cioccolatini.
— Si potrebbe fare una liquidazione. L’anno scorso, con la liquidazione, abbiamo venduto per nuove anche le scope rigenerate.
— Trova qualcosa di meglio, altrimenti ti riduco la razione delle caramelle.
La sorella della Befana si spreme il cervello.
— Si potrebbe, — dice, — lanciare una nuova moda. Per esempio, la moda della miniscopa.
— Cosa intendi per miniscopa?
— Una scopa corta corta.
— Non sarà un po’ scandaloso?
— Be’, protesterà qualche vecchia bigotta, ma vedrai che le Befane giovani ne andranno pazze.
La moda della miniscopa fa furore. In principio le Befane più anziane fanno fuoco e fiamme, mandano petizioni ai giornali di destra, organizzano cortei di protesta. Poi cominciano anche loro a fare delle prove di nascosto, in casa, con le tende ben tirate. Un bel giorno escono anche loro con la miniscopa. Le più avare hanno semplicemente tagliato un pezzo del manico della scopa vecchia. Ma la cosa da nell’occhio, non ci fanno mica una bella figura, perché le proporzioni sono sbagliate.
Dopo un po’ di tempo le vendite riprendono a calare.

— Dai, — dice la Befana a sua sorella, — fatti venire un’altra idea, altrimenti non ti do più i soldi per andare al cinema.
— Ma mi viene il mal di testa a stare continuamente a pensare!
— Niente pensare, niente cinema andare.
— Uffa! E tu lancia la moda della maxiscopa, no?
— E cosa sarebbe?
— Una scopa lunghissima. Due volte più del necessario.
— Hm… Non sarà un’esagerazione?
— Naturale che sarà un’esagerazione. E proprio per questo sarà un successo.
Il giorno che la prima Befana — una Befanina giovane giovane, molto graziosa — si fa vedere in giro con la maxiscopa, tutte le altre diventano matte per l’invidia. Si contano ventisette svenimenti, trentotto crisi di nervi e quarantanovemila singhiozzi. Prima di sera, davanti al negozio delle maxiscope, c’è una fila lunga da qui a Busto Arsizio.
L’anno dopo la sorella della Befana, in cambio di una scatola di marrons glacés, inventa la scopa-midi. La Befana diventa ricca e mette su un negozio di aspirapolvere.
E qui cominciano i guai. Perché le Befane, viaggiando con l’aspirapolvere invece che con la scopa, aspirano nuvole, comete, uccellini e uccellacci, paracadutisti, aquiloni, meteoriti, satelliti naturali e artificiali, pianetini, pipistrelli, professori di latino. Una volta una Befana distratta cattura un aeroplano con tutti i passeggeri ed è costretta a recapitarli a domicilio, uno per uno, giù per i camini. L’aspirapolvere va bene in casa, per le pulizie. Per i viaggi, è più pratica la vecchia scopa.

Parte seconda Il sacco

Una volta la Befana non si accorge che nel sacco dei regali c’è un buco. Mentre fa il suo giro, i regali cadono in ordine sparso e senza costrutto. Un trenino elettrico finisce sulla cupola di San Pietro e comincia a correrle intorno all’impazzata. Un monsignore del Vaticano, guardando fuori dalla finestra, vede quella cosa che fa la giostra sul Cupolone e gli vengono i sudori freddi.
— È il diavolo, — grida, — è la fine del mondo.
Un altro monsignore guarda l’orario ferroviario e crolla il capo:
— Dev’essere l’accelerato per Viterbo che ha sbagliato binario.
Una bambola cade vicino alla tana dei lupi, che subito si fanno delle illusioni: — Ah, — dicono, — dev’essere come quella volta di Romolo e Remo. La gloria a portata di zampa. Alleviamo questa creatura; quando sarà grande fonderà una città e a noi ci faranno tante sculture di bronzo che il sindaco regalerà ai visitatori illustri, per levarsele di torno.
Allevano amorosamente la bambola per anni e anni. Ma quella non cresce. Anzi, si consuma. Perde le scarpe, i capelli, gli occhi. Il lupo e la lupa diventano vecchi senza gloria, ma capiscono che sono fortunati lo stesso, con tutti quei cacciatori in libera uscita.
Una pelliccia di visone, regalo del commendator Mambretti alla sua amica (che è anche amica di sua moglie, ma un po’ meno), cade in Sardegna, a due passi da un pastore che guarda le sue pecore. Il pastore, invece di scappare spaventato, gridando: “Gli spiriti! Gli spiriti! “, s’infila la pelliccia e sta al caldino. La Befana lo vede nello specchio retrovisore, torna sui suoi passi, cala in picchiata sull’ovile, ma a mezza altezza, ci ripensa: — Siamo giusti, — dice, — chi ha più bisogno di una bella pelliccia? Il pastorello o quella benedetta figliola, che ne ha già due e ha pure la macchina con l’aria condizionata?
Un’altra volta le Befane, nella confusione della partenza — saluti, raccomandazioni, colpi di tosse, lacrimucce — si scambiano i sacchi. La Befana di Domodossola prende il sacco di Massalombarda, la Befana di Sarajevo quello di Friburgo in Brisgovia. Terminata la distribuzione, si accorgono di aver sbagliato tutto. Succede un mezzo finimondo: colpa tua, colpa sua, io l’avevo detto, forse l’avevi detto a tua nonna, eccetera.
— Non perdiamo tempo a piangere sul latte versato, — dice la Befana di Roma.
— Io non piango, — ribatte una Befanuccia bionda dagli occhi neri, — ci mancherebbe altro che mi rovinassi il trucco.
— Volevo dire che c’è solo una cosa da fare: tornare sui nostri passi, riprendere i regali e recapitarli di nuovo, senza confusioni, al giusto indirizzo.
— Io non ci penso neanche, — fa la Befanuccia tanto carina, — ho l’appuntamento col mio fidanzato per andare a mangiare la pizza, m’importa assai degli indirizzi giusti e di quelli sbagliati.
E se ne va senza voltarsi. Ma le altre, sospiron sospironi, si rimettono in cammino. Purtroppo è già tardi. Dappertutto i bambini si sono già alzati per vedere i regali della Befana.
— Oddio, che disastro!
Macché, nessun disastro. I bambini sono contentissimi così, non ce n’è uno che si lamenti del giocattolo che gli è toccato. I bambini di Vienna hanno avuto i regali dei bambini di Napoli e ci si divertono lo stesso.
— Ho capito, — dice la Befana di Roma, — i bambini di tutto il mondo sono uguali e amano gli stessi giochi. Ecco la spiegazione del mistero.
— Ma va’, — le dice più tardi sua sorella, versandosi due dita di Porto, — sei la solita idealista. Non capisci che in tutto il mondo, ormai, i bambini sono abituati agli stessi giocattoli perché sono le stesse grandi industrie che li fabbricano. I bambini credono di scegliere… e scelgono tutti la stessa cosa… quella che i fabbricanti hanno già scelto per loro.
Non si sa bene, delle due sorelle, chi abbia ragione.

Parte terza Le scarpe rotte ai pie’

Tutti i bambini sanno che la Befana ha le scarpe rotte, perché così dice la canzone. Alcuni bambini ci ridono, perché con le scarpe rotte si vede il ditone del piede. Altri ci soffrono e non dormono la notte: — Povera Befana, avrà freddo alle estremità inferiori — (dicono così per dire “i piedi”, perché sono stati all’asilo dalle suore).
Hanno la maggioranza i bambini che s’impietosiscono. Scrivono ai giornali, alla radio, a Sabina Ciuffini. Propongono una colletta per fare le scarpe nuove alla Befana. Una banda di lestofanti gira per le case, prima a Milano, poi a Torino e a Firenze (a Napoli, chi sa perché, non ci prova), raccogliendo abusivamente le offerte. Raccolgono duecentododici milioni e scappano a spenderli in Svizzera, a Singapore e a Hong Kong.
E la Befana ha sempre le scarpe rotte ai pie.
Molti bambini, allora, la sera del 5 gennaio, accanto alla calza vuota destinata a ricevere i regali, mettono una calzettona nera, con su scritto: “Per la Befana”. Dentro c’è un bel paio di scarpe nuove, da signora anziana, ma eleganti. Quasi tutte nere, ma anche marrone scuro o beige. Con il tacco, il mezzo tacco, senza tacco. Con la fibbia o con le stringhe.
La Befana di Vigevano, non si sa come, viene a conoscenza del fatto prima delle altre. E che ti fa? Mette la sveglia un’ora prima e fa il giro del mondo a velocità supersonica. Riempie tre autotreni di scarpe nuove e torna al paese delle Befane contenta come una pasqua.
A questo punto la storia si divide in due, perché gli esperti in scienza befanologica non sono d’accordo sulla sua continuazione.
Ci sono degli esperti buoni e degli esperti cattivi e senza cuore.
Gli esperti buoni sostengono che la Befana di Vigevano, contemplando tutte quelle belle scarpe, di tutte le misure, pensa alla gente che va scalza e si commuove. Allora riprende il suo carico e, torna a fare il giro del mondo per regalare le scarpe a tante povere donne. E gliene avanzano ancora per tanti poveri uomini: fa niente se sono scarpe da donna; piuttosto che pungersi i piedi, vanno bene anche per loro…
Gli esperti senza cuore dicono invece che la Befana di Vigevano ha aperto una calzoleria nel Paese delle Befane e fa affari d’oro, vendendo alle sue amiche le scarpe regalate dai bambini. Ricavo uguale guadagno, perché a lei quelle scarpe non sono costate un baiocco. E ci mette sopra anche l’Iva!
Per forza si è fatta un’automobile con otto ruote e un tram tutto d’oro!
Io non sono un esperto, non sono buono, non sono cattivo: perciò la mia opinione non conta.

Poscritto.

Quando ho mostrato a un esperto la mia descrizione delle tre parti della Befana, egli ha osservato con un sogghigno: — Tutto bene. Ma lei si è dimenticato la cosa più importante.
— E cioè ?
— Si è dimenticato di dire che la Befana porta i regali solo ai bambini buoni. Ai cattivi no.
L’ho guardato per trenta secondi, poi gli ho domandato: — Preferisce che le stacchi un orecchio o che le mangi il naso?
— Come dice, scusi?
— Le domando se vuole un’ombrellata in testa o un chilo di ghiaccio nel collo della camicia.
— Ma come si permette? Guardi che io sono quasi cavaliere!
— Come si permette lei, piuttosto, di sostenere ancora che esistono bambini cattivi? Si metta in ginocchio e chieda perdono.
— Che cosa vuol fare con quel martello?
— Glielo picchio sul dito mignolo, se non giura subito che tutti i bambini sono buoni. Soprattutto quelli che non ricevono regali perché sono troppo poveri. Allora, giura o no?
— Giuro, giuro.
— Benissimo. Guardi, me ne vado e non le sputo nemmeno in faccia. Sono troppo buono, io.

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