21.9 C
Rome
venerdì 19 Aprile 2024
21.9 C
Rome
venerdì 19 Aprile 2024
HomemondiPerché la cacciata di Meghan c'entra con la Brexit

Perché la cacciata di Meghan c’entra con la Brexit

Regno Unito. La Megxit, lo sfratto del principe Harry e di sua moglie Meghan, rivela il darwinismo razzista della Brexit

di  Antoine Perraud/Mediapart

Lo sfratto del principe Harry e di sua moglie Meghan dalla “ditta” – il nome che la casa reale britannica ama chiamarsi – appare metaforico del darwinismo sociale indotto da Brexit: ogni uomo per sé e il denaro per tutti!

Nel Regno Unito ha avuto luogo così la Megxit, cioè l’esfiltrazione della coppia principesca formata dal Duca e dalla Duchessa del Sussex, conosciuti in tutto il mondo con i loro nomi di battesimo: Harry e Meghan. Un tale processo di pulizia regia la dice lunga sul passato di una monarchia segnata da una subdola illegittimità, ma anche sul presente di una società minata dal razzismo dilagante, e infine sul futuro politico di un Paese che presto sarà caratterizzato dalla caratteristica “ognuno per sé” di Brexit, prevista per il 31 gennaio.
L’illegittimità dimostra di essere al centro di una casa reale che da tempo ha inventato un programma televisivo di reality – “Buckingham Story” molto prima di “Loft Story”! – dove la lussuria si scontra con l’ipocrisia. Nel 1917 Windsor divenne il nome della casa reale al posto di Saxe-Coburg-Gotha – così come Battenberg, che era stato trasformato in Mountbatten – a causa della prima guerra mondiale contro la Germania, che rese necessaria la rimozione di tutte le sfumature germaniche dal titolo.
Non torniamo indietro fino al re femminicida Enrico VIII (1491-1547), il cui castello di Hampton Court dà vita ad animazioni di dubbio gusto in occasione di Halloween (si sente il respiro di Anna Bolena o di Catherine Howard decapitata per adulterio?)
Non torniamo indietro neanche sul sospetto di bastardismo che grava sul principe Harry (che sarebbe il frutto dell’amore extraconiugale di Diana con l’ufficiale di cavalleria nordirlandese James Hewitt): facciamo uno zoom sulla sovrana stessa.
Si aggrappa ai suoi doveri di regina come se ci facesse dimenticare che i suoi diritti non sono ovvi. Aveva 10 anni nel 1936, annus horribilis da dietro i fagotti, che videro tre sovrani succedersi sul trono che ora occupa con un culo di ferro, da 67 anni, 11 mesi e 21 giorni.
Suo nonno Giorgio V morì il 20 gennaio 1936. Gli successe lo zio Edoardo VIII. Dopo l’abdicazione dell’11 dicembre 1936, il padre dell’attuale sovrana si trovò re (e imperatore dell’India) sotto il nome di Giorgio VI.
Il fratello minore ingoiava il rospo grazie a una trama ordita dall’arcivescovo di Canterbury, Cosmo Lang, come descritto in un affascinante documentario.
Edoardo VIII è un re popolare e proto-populista – egli contrappone l’idea che “qualcosa deve essere fatto” per i disoccupati nel corso di in visita in Galles, alla furia del primo ministro Stanley Baldwin. Sua Maestà non si cura della sete di onore e di decoro dell’Arcivescovo, l’anima dannata del suo defunto padre, dalla cui influenza intende sottrarsi. Il Principe della Chiesa non è invitato a Balmoral dal nuovo re.
Il fratello di quest’ultimo, consigliato dalla moglie, la futura regina madre (1900-2002), coglie l’occasione per mettere se stesso e la sua affascinante figlia Elisabetta: un lignaggio sostitutivo viene presentato su un vassoio nel settembre 1936. Il colpo di stato può avvenire. Giorgio VI sostituirà Edoardo VIII – quest’ultimo vivrà fino alla sua morte nel 1972, in esilio nella villa di Windsor, annidata nel Bois de Boulogne a Parigi, il cui attuale inquilino non è altro che Mohamed al-Fayed, padre dell’ultimo amante della principessa Diana: la vita è un romanzo!


Nel 1936 la stampa britannica, adatta all’autocensura, non aveva fatto parola dell’amante di Edoardo VIII, un americana divorziata: Wallis Simpson. La buona società vi è poi dedicata a volontà, individuando – horresco referens! (inorridendo nel raccontare) – un accenno di accento americano nel discorso del sovrano che annunciava la sua abdicazione quando dichiarava di non poter svolgere il suo compito “senza l’aiuto e il sostegno della donna che amo”.
C’era, nella pronuncia di questo “amore”, una leggera inflessione yankee che poteva contaminare la purezza inglese. Era tempo di rispedire questo re, il cui cuore e la cui lingua sono stati macchiati da un’intrigante donna d’oltreoceano, dall’altra parte dell’Atlantico.
Sessant’anni dopo, l’integrità della nobiltà britannica, la sua purezza, il suo biancore – per dirla senza mezzi termini – si rivela come lo sfondo della crisi attuale. Il principe caduto Harry non è stato chiamato al trono – anche se un fratello può sempre sostituirne un altro – ma il problema è venuto ancora una volta da una donna americana, che è nera per la madre, discendente da schiavi.
Lo scoppio della stampa scandalistica britannica è stato eguagliato solo dalla frenesia razzista che inquina i social network. E la negazione delle élite pensanti era pari all’insulto – palese (“razzismo palese”) o insidioso (“razzismo occulto”) – fatto a una persona di colore provocando reazioni … epidermiche. Un estratto dal programma di punta della BBC “Newsnight” (9 gennaio 2020), illustra l’arco di tensione razziale e xenofoba che attraversa il Regno Unito.

Con il pretesto di riprendere in mano il destino di una nazione (Let’s Take Back Control), i sostenitori di Brexit soffiano un vento di sciovinismo con il suo corollario di esclusione, radicamento e ostracismo. Il Duca e la Duchessa del Sussex sembrano essere vittime collaterali di questo allarmante tropismo iniziato con la caccia agli idraulici polacchi e ad altri ladri di manodopera inglese.
L’episodio del principe deposto costretto a provvedere a se stesso, fuggendo in Canada con la moglie e il figlio, ha dato luogo a una ripresa ufficiale: la monarchia britannica si è rafforzata purificandosi e solo il lignaggio diretto dalla regina al pronipote Giorgio attraverso Carlo e Guglielmo dovrebbe prevalere in una moderna regalità.
Tuttavia, al di là di una tale narrazione, aggrappandosi ai rami mentre li taglia, si trova la morale politica della storia, che riguarda un intero popolo. Le vecchie solidarietà collettive non sono più rilevanti. Il contribuente deve ottenere un buon rapporto qualità-prezzo e ognuno deve provvedere ai propri bisogni. Tutto deve scomparire: le conquiste sociali, come le conquiste reali!
Rimangono solo gli individui chiamati a scegliere da che parte stare di fronte agli interessi privati: dalla parte dei vincitori, o dalla parte dei vinti. I brutti anatroccoli – dall’antiquato plebeo dello Yorkshire all’antiquato Windsor di sangue blu – non hanno posto nella competizione permanente in corso. Incendio al quartier generale della protezione! Sotto le spoglie di Brexit e Megxit, è iniziato il teatro della crudeltà politica.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento, prego!
Inserisci il tuo nome qui, prego

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Ultimi articoli

Alloisio, Flaco Biondini e le partigiane

Il cantautore genovese e in chitarrista storico di Guccini in scena con "Signora Libertà". Con loro il sassofonista Antonio Marangolo

Un’autobiografia danzante

Genova, Chotto Deshm del coreografo Akram Khan chiuderà la decima edizione di Resistere e creare

Il Carro del principe, un viaggio durato 27 secoli

Inaugurata nel museo di Fara Sabina la sala del carro di Eretum. Dalla Sabina alla Danimarca e ritorno

Fotografare per immaginare

Marchionni e Scattolini, itinerari del reportage poetico al museo Ghergo di Montefano

Il malgusto ai tempi del consumo

Food porn, oltre la satira del cibo spazzatura: Andrea Martella torna in scena con Hangar Duchamp