Coronavirus. Frammenti di analisi sull’oggi per preparare le lotte di domani
Chiusi in casa impotenti, andiamo alla ricerca di guide che ci diano strumenti di analisi e idee su quello che sarà il mondo dopo il virus e indicazioni per costruire le lotte che verranno, già fin da ora in gestazione nel ventre del capitalismo malato. Sulla strada incontriamo Alain Badiou, filosofo francese, Daniel Tanuro, ecosocialista belga e Augusto Illuminati, filosofo, in un percorso accidentato e personale; necessariamente parziale.
Un breve testo di Badiou, intitolato “Sulla situazione epidemica” è stato pubblicato da poco su doppiozero.com e risponde alla necessità del filosofo di chiarire alcuni aspetti della crisi in corso a beneficio non solo di sé stesso ma anche del suo entourage:
“Ma ecco che, davvero, leggo e ascolto troppe cose, compreso all’interno del mio entourage, che mi sconcertano per la confusione che dimostrano e per la loro inadeguatezza totale alla situazione – in realtà semplice – nella quale ci troviamo.”
“Semplice” e “semplicità”, ma anche “logico” sono i termini chiave di questo breve testo, nel quale Badiou – dopo essersi scagliato contro la “dissoluzione della Ragione” indotta a sinistra dal virus – fa professione di fede cartesiana e cerca di mettere nero su bianco la sua posizione sul tema.
Nella prima parte del suo testo egli analizza il “punto di articolazione tra determinazioni naturali e determinazioni sociali” della pandemia, per poi concentrarsi sulle strategie adottate dal Capitale (è il termine utilizzato) per affrontarla:
“È noto da tempo che in caso di guerra tra i Paesi, lo Stato deve imporre notevoli vincoli, non solo ovviamente alle masse popolari, ma anche ai borghesi stessi, per salvare il capitalismo locale. Delle industrie possono venir quasi nazionalizzate a vantaggio di una sfrenata produzione di armi che, sul momento, non produce alcun valore aggiunto monetizzabile. Molti borghesi vengono mobilitati come ufficiali ed esposti alla morte. Gli scienziati cercano notte e giorno di inventare nuove armi. Molti intellettuali e artisti sono tenuti ad alimentare la propaganda nazionale, etc.”
Non stupisce dunque che in questa fase di crisi globale il capitalismo possa ricorrere a misure apparentemente contrarie all’ideologia liberale che ha dominato incontrastata negli ultimi 40 anni: “tutto questo non è né sorprendente, né paradossale.”
E allora lo Stato (in questo caso quello Francese) fa quello che può, con gli strumenti che ha, cercando di reagire all’emergenza preservando il sistema economico e nello stesso tempo cercando di prevenire l’emergere di conflitti sociali, anche attraverso misure di tipo keynesiano.
Le conclusioni alle quali giunge il filosofo francese sono però sorprendenti: guerre mondiali o epidemie sarebbero secondo lui particolarmente “neutre” (Badiou usa le virgolette) dal punto di vista politico. Avrebbero infatti dato luogo “soltanto” (qui le uso io) a due rivoluzioni, in Russia e in Cina.
Sorvoliamo sul semplicismo di questa lettura storica: qui importa il termine “neutro”. Secondo Badiou la crisi che stiamo vivendo non avrà conseguenze politiche rilevanti e la borghesia è già pronta a sacrificare qualche pedina nel Grande gioco del Capitale per mantenere lo status quo. Tutto semplice, tutto secondo copione. E’ il capitalismo, che c’è di strano?
L’appello rivolto a coloro che desiderano un “cambiamento reale” è dunque quello di
“approfittare dell’intermezzo epidemico, e persino del – necessario – confinamento, per lavorare a delle nuove figure della politica, al progetto di luoghi politici nuovi e al progresso transnazionale di una terza tappa del comunismo dopo quella, brillante, della sua invenzione e quella interessante, ma infine sconfitta, della sua sperimentazione statale.”
Stiamocene a casa, dunque, a ripassare i classici, aspettando con calma che l’evento “neutro” dell’emergenza ci passi accanto, nella consapevolezza che il Capitale sta facendo quello che ha sempre fatto. “Circulez, y’a rien à voir”.
Quello che Badiou espelle dalla sua riflessione è proprio il potenziale motore del cambiamento, la dialettica di classe e l’analisi dei rapporti di forza in campo, come se tutto fosse congelato e fermo a causa del passaggio del virus. La sua analisi della risposta capitalista naturalizza il sistema economico e sociale attuale in una eternità che non si può scalfire e neutralizza il conflitto e le sue potenzialità.
Intanto però la gente (se può) sta chiusa in casa, l’economia crolla e buona parte delle lavoratrici e dei lavoratori si chiedono se alla fine del mese avranno un salario. La questione della salute sul posto di lavoro diventa vitale, gli operai scioperano spontaneamente e ci sono qua e là segnali di rivolta popolare. Le classi popolari soffrono, lavoratrici e lavoratori muoiono, s’incazzano, protestano. E qui si apre lo spazio della lotta, che è solo uno spazio, ma che nessuno occuperà limitandosi a aspettare che la crisi “neutra” passi.
Questo spiraglio, di riflessione e di azione, si apre grazie alla funzione di disvelamento assunta dal virus dei meccanismi dello sfruttamento capitalistico.
Per Daniel Tanuro, ecosocialista belga, in tempi normali la maggioranza degli sfruttati subiscono l’oppressione e alcuni la considerano incontestabile. Ma ora la lotta contro la pandemia “tende a modificare la situazione”.
In un post su Facebook del 26 marzo, Tanuro distingue tre livelli di consapevolezza potenzialmente indotti dalla crisi che stiamo vivendo. Il primo è quello delle lavoratrici e lavoratori della sanità, del settore alimentare, della raccolta dei rifiuti, delle pulizie, ecc. Se tra di essi non c’è una perdita del senso del proprio lavoro che, anzi, dimostra tutta la sua importanza proprio in un periodo di crisi, diventa invece per loro evidente come la società non investa a sufficienza in queste attività vitali: salari bassi, carichi di lavoro alti. Il capitalismo considera secondarie le attività che hanno al centro la cura del corpo, del vivente: sono costi improduttivi.
Il secondo riguarda coloro che sono obbligati a lavorare in settori non essenziali perché le loro aziende hanno deciso di non arrestare la produzione. Per questa parte della classe operaia la crisi aiuta a dissipare tutte le illusioni sul senso del lavoro: diventa chiaro il loro carattere di appendici viventi delle macchine, del lavoro morto, alle quali non è riconosciuto il diritto di difendersi da un eventuale contagio.
Infine ci sono coloro che sono confinati in casa, costretti al telelavoro o all’inattività, messi alla prova dalla convivenza forzata in spazi piccoli che fa emergere tutte le contraddizioni insite nella retorica della famiglia. Confrontati a loro stessi e a un tempo nuovo, nel quale la disciplina del lavoro alienato che strutturava la loro esistenza diventa meno presente
“Sollevano questioni di fondo sul senso di questa forma incongrua di ‘economia del tempo’ che si chiama capitalismo”
Secondo Tanuro, la contraddizione della strategia capitalista per affrontare la pandemia – arrestare il virus intaccando il meno possibile la produzione e le politiche di austerità – favorisce
“una presa di coscienza della brutalità e dell’assurdità del sistema che i possidenti difendono accanitamente.”
Naturalmente questo spazio aperto dallo sconvolgimento epidemico che stiamo vivendo deve essere riempito dal pensiero critico e dall’iniziativa sociale per rimanere aperto e produrre mobilitazione, lotta.
“Ignoro – scrive Tanuro – come tutto questo può evolvere, ma sta succedendo qualcosa di molto profondo. L’umanità produce la sua esistenza attraverso il lavoro come attività cosciente. Quando il lavoro entra in crisi, il velo che anestetizza le coscienze delle produttrici e dei produttori si squarcia e tutto l’edificio è scosso”.
Il filosofo Augusto Illuminati, in una lunga analisi su Dinamopress.it prova a capire “a che punto è la notte” e a mettere in fila alcune parole d’ordine unificanti per riempire di critica l’inedito spazio di verità aperto dalla pandemia. Anche in questo caso si insiste sul ruolo pedagogico della crisi:
“Non è la fine del mondo, ma di un mondo. Anzi, è la crisi profonda di un mondo e, in quanto tale, apocalittica, cioè rivelatrice. E quel mondo è la globalizzazione neoliberale, i cui fragili flussi e catene di fornitura e consumo sono stati sconvolti e interrotti da una pandemia che forse hanno contribuito a suscitare, di sicuro ad amplificare e accelerare.”
Nell’abbozzo di un programma d’azione, Illuminati riprende prima di tutto la parola d’ordine del reddito di quarantena, proposta che arriva da più parti, per
“coprire proprio le figure non tutelate dai meccanismi di compensazione tipici del lavoro dipendente formale – operatori sociali, dipendenti di cooperative, lavoratrici e lavoratori del terzo settore, della cultura e dello spettacolo, finto e vero piccolo lavoro autonomo, ristorazione, alberghi, palestre, turismo, formazione ecc., che vanno incontro a un blocco totale e di non breve periodo delle retribuzioni e del reddito”.
Il secondo e centrale elemento di riflessione di Illuminati è “la dilagante rivolta spontanea (cioè non supportata e quindi boicottata dalle centrali sindacali) degli operai di fabbrica, che non vogliono diventare le cavie per l’incubazione del Coronavirus solo per salvaguardare il loro regime di sfruttamento. Gli assembramenti di protesta sono proibiti, mentre li si consente nei capannoni e alla catena di montaggio. Forse vale la pena di capovolgere la situazione.”
L’articolo, intitolato “Sentinella, a che punto è la notte” si conclude con la risposta della sentinella interrogata dal viandante:
“la notte sta per finire, ma l’alba non è ancora spuntata; tornate di nuovo perciò a domandare; non vi stancate, insistete!” (Isaia, 21).
Lo spazio della lotta è aperto, ma soltanto la dinamica dei rapporti di forza potrà decidere quando il buio passerà. E non c’è niente di “semplice” in questo.