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La borsa dopo le vite. Benetton all’attacco del governo

Atlantia congela gli investimenti e manda gli avvocati. La strage di Ponte Morandi non è abbastanza per rinunciare alla concessione

Il Cda straordinario di Atlantia, alla luce delle difficoltà del gruppo che controlla Autostrade per l’Italia (Aspi), il principale concessionario italiano (il gruppo che gestisce i ricchissimi dividendi anche della tratta in cui è crollato Ponte Morandi), ha deciso di congelare gli investimenti e «dare mandato ai propri legali di valutare tutte le iniziative necessarie per la tutela della società e del Gruppo, visti i gravi danni».  Una lettera minatoria al governo – dentro il quale Italia Viva s’è sbrigata a dare solidarietà al gruppo Benetton in lotta contro la demagogia – contenuta in un comunicato della società della famiglia Benetton diffuso al tramonto. Niente liquidità da Cdp e nemmeno dalle banche attraverso la garanzia Sace. Il downgrade di Autostrade per l’Italia seguito alla norma del Milleproroghe che cambia il valore dei meccanismi di indennizzo in caso di revoca della concessione, ha inceppato tutti i meccanismi creditizi. Così Atlantia ha convocato un consiglio di amministrazione straordinario e dato un’indicazione tranchant alla propria controllata: acceda ai 900 milioni stanziati dalla holding per la sola messa in sicurezza della rete e, contestualmente, blocchi tutti gli altri investimenti: 14,5 miliardi di lavori. È un vero e proprio affondo che apre un altro capitolo della sfida tra il governo e la società dei Benetton. Atlantia parla di «gravi danni» dovuti alle lentezze delle decisioni e alle scelte del milleproroghe che tengono la società sulla graticola anche dei mercati, tanto da aver dato «mandato ai propri legali di valutare tutte le iniziative necessarie per la tutela della società e del Gruppo». Già, perché agli effetti dell’articolo 35 del milleproroghe, si è aggiunta una recente dichiarazione del viceministro allo Sviluppo Economico, Stefano Buffagni, che ad una domanda sulla richiesta di liquidità attraverso il meccanismo di garanzia dello Stato con Sace ha risposto recentemente, sbarrando la strada: «domandare è lecito, rispondere è cortesia: no grazie!». Una frase sulla quale il Cda di Atlantia «ha espresso forte preoccupazione» perché si tratta di «affermazioni peraltro contrastanti con lo spirito e il dettato del decreto e basate piuttosto su valutazioni e criteri di natura ampiamente discrezionale e soggettiva verso chi sta dando un importante contributo allo sviluppo infrastrutturale del Paese». Il nodo è sempre quello: la concessione. Il comunicato diffuso da Atlantia dopo il cda straordinario parte proprio da questa premessa: «non è ancora pervenuta alcuna risposta alla proposta formale inviata da Aspi al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti lo scorso 5 marzo, al fine di trovare una soluzione condivisa relativamente al procedimento di contestazione in corso ormai da quasi due anni». Questo – aggiunge – nonostante gli oneri per la costruzione del nuovo ponte di Genova, i risarcimenti, le ispezioni alle infrastrutture esternalizzate e che alcuni esponenti di governo hanno dichiarato di aver concluso l’analisi del dossier. «Tale contesto ha determinato e continua a determinare gravi danni all’intero gruppo e genera preoccupazioni sul mercato e a tutti gli stakeholder». Di fatto dopo il milleproroghe il rating di Aspi è stato portato a «sub investment grade» e così – racconta Atlantia – Cdp «non ha ritenuto di dar corso finora ad alcuna erogazione» per una linea di credito per la quale rimangono oggi inutilizzati 1,3 miliardi. Viene poi ricordato di aver avviato l’istruttoria con alcuni istituti di credito per poter accedere ad un prestito garantito da Sace. Le banche stanno ancora esaminando il dossier che non sarebbe ancora arrivato sul tavolo di Sace ma, dopo le dichiarazioni di Buffagni, la società deve aver ritenuto davvero difficile riuscire ad ottenere liquidità attraverso questa strada, tanto da aver deciso di sospendere i 14,5 miliardi di investimenti.

«Poteva mancare l’impero Benetton nell’assalto alla diligenza (le nostre risorse collettive)?», si chiedeva nemmeno 24 ore prima del proclama Marco Bersani di Attac, alla notizia del tentativo dei Benetton di utilizzare lo stesso schema consentito a Fca. In un intervento apparso sul sito del terminale italiano di una delle più grandi reti internazionali scaturite dal movimento altermondialista, Attac (presente in oltre 40 paesi in Europa, Africa, Asia ed America Latina e si definisce “movimento di autoeducazione orientata all’azione): «La richiesta ha dell’incredibile perché parliamo di una società, contro la quale, dopo il disastro del crollo del ponte Morandi a Genova, è stata approvata una norma che stabilisce la revoca della concessione (art.35 Legge n.8/2020) – ricorda Bersani a proposito la richiesta di accesso al credito sulla falsariga di quanto fatto da Fca – tra l’altro, essendo il contenzioso ancora aperto, non è secondario ricordare come, ad oggi, la ricostruzione del Ponte Morandi sia stata interamente pagata dallo Stato e neppure un euro sia stato versato dal privato, il quale ha però chiesto, in caso di ritiro della concessione, 20 miliardi di indennizzo. Peccato che, dentro questa arguta analisi economica, nessuna menzione sia riservata al fatto che negli ultimi due decenni siano stati drenati da Autostrade per l’Italia oltre 10 miliardi di dividendi, che, invece di essere investiti nelle infrastrutture, sono stati utilizzati per uno shopping internazionale, con cui i Benetton hanno incamerato gli aeroporti di Roma e di Nizza, il 15,5% dell’Eurotunnel e il 50% delle autostrade spagnole (Albertis)».

La holding controllata da Benetton ha anche chiesto a Cassa Depositi e Prestiti di riattivare una linea di credito aggiuntiva stipulata nel 2017 per 1,3 miliardi e sinora mai utilizzati. «Guarda caso – osserva Marco Bersani – dovevano servire a potenziare investimenti sulla rete autostradale, in particolare relativi agli interventi ambientali e alla sicurezza). Che, nel frattempo, i mancati investimenti abbiano provocato il crimine di Ponte Morandi e abbiano reso il passaggio sopra i viadotti di gran parte della rete autostradale una sorta di roulette russa per autotrasportatori e semplici viaggiatori non ha destato alcuna preoccupazione. Neanche da parte del Ministero competente, che avrebbe dovuto vigilare ed intervenire. Ma perché farlo, quando arriva una pandemia che tutti i raggiri nasconde via, e si può tranquillamente addossarle ogni difficoltà insorta per l’imprenditore privato? Cosa risponderà il governo a questa accorata richiesta di aiuto? Non lo sappiamo, ma mentre languono i quattro miliardi necessari a rendere degne le scuole e a permettere a otto milioni di bambini e giovani di recuperare il loro posto nella società e mentre ai Comuni sono negati cinque miliardi per permettere loro di svolgere appieno la funzione pubblica e sociale che gli compete, decine e decine di miliardi sono pronti per adempiere il motto “se sta bene l’impresa, sta bene la società”. La loro.

 

 

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