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Quando il mostro si nascondeva nella notte

Leggere Il mostro di Modena, il nuovo romanzo di Giovanni Iozzoli è un modo per capire la mutazione antropologica che ci ha portato al punto in cui siamo (Fabio Ciabatti)

C’era una volta un mondo in cui i mostri si nascondevano e colpivano nell’oscurità della notte. Perché, qualcuno potrebbe chiedersi, oggi agiscono alla luce del sole? Tempo al tempo. Per ora torniamo indietro di qualche anno. Siamo a Modena tra il 1985 e il 1995. Otto giovani donne vengono uccise. Sono tossicodipendenti e prostitute. Grazie agli articoli scritti da Luigi Salinaro, giornalista della Gazzetta di Modena, prende corpo l’ipotesi di un serial killer. Ma la polizia non ha tempo e voglia di indagare seriamente. Gli omicidi rimangono impuniti. Queste sono le vicende realmente accadute da cui parte Il mostro di Modena. Otto femminicidi ancora irrisolti (Edizioni Artestampa, 208 pagg, 18 euro), l’ultimo romanzo di Giovanni Iozzoli. L’autore è stato uno dei fondatori negli anni 90 dello storico centro sociale napoletano Officina 99, prima di trasferirsi a Modena dove svolge attività sindacale. E’ inoltre redattore della webzine Carmilla dove si distingue come attento osservatore del conflitto di classe contemporaneo, cosa che emerge anche dai suoi precedenti romanzi. Perché un autore militante come Iozzoli si dedica a un’oscura e lontana storia di cronaca nera? Chiediamo di nuovo al lettore un po’ di pazienza.

Nel frattempo osserviamo che nel suo ultimo romanzo compare, come personaggio di pura invenzione, la nona potenziale vittima del mostro, Graziella, adolescente tossicodipendente, saltuariamente prostituta che sparisce la notte del 13 marzo 1996. La storia inizia nel giorno del ventitreesimo anniversario della sua scomparsa, quando l’anziano padre, Saverio Bertacchini, ripercorre per l’ennesima volta la penosa strada che lo porta a parlare con tutte le persone che potrebbero aiutarlo a capire cosa era successo quella disgraziata notte. Da allora della figlia non si è avuta più alcuna notizia, a parte due controverse cartoline spedite da Londra. Si scontrerà, come al solito, con un muro di gomma. Atteggiamento in tutto simile a quello della polizia che aveva derubricato frettolosamente l’accaduto a fuga di un’adolescente inquieta.

In questo straziante percorso Iozzoli ci fa scoprire la piccola città di provincia come un mondo doppio. Gli anni 90, quando scompare Graziella, sembrano il Bengodi dell’ottimismo. Girano un sacco di lavoro, di benessere, di grana. C’è la normalità modenese, il tran tran quotidiano fatto di superficiale cordialità e false riverenze. Ma dietro l’allestimento di scena c’è il mostro, silenzioso e sornione.  Mentre signore con cani di ogni taglia e omoni con la pipa e la Gazzetta sottobraccio procedono imperturbabili nel consueto andirivieni del centro storico, “leggeri miasmi salgono dai tombini in corrispondenza dei bar, mischiandosi agli odori dolciastri da caffetteria, lasciando immaginare la vita sotterranea e putrida che scorre, anch’essa imperturbabile, sotto l’ordine apparente delle cose”. Alle volte tutto sembra fuori sincrono, come se si stesse girando un film e intorno ci fossero solo comparse. Un fittizio e precario allestimento.

E in effetti dietro la messa in scena ci sono i tossici. Il loro mondo è in realtà un riflesso dell’altro, quello del benessere. Ma con l’esibizione delle loro piaghe i tossici sono considerati i moderni appestati che devono rimanere nascosti: ammazzatevi pure, sembrano dire i benpensanti, ma non turbate gli adulti e non adescate le adolescenti. Quando si affaccia la possibilità che ci sia un serial killer nella placida città di provincia, l’ipotetico mostro non fa paura perché ammazza donne fragili e indifese, ma perché sporca la città. Non bisogna diffondere inutili allarmismi.

Seguendo le vicende di Saverio Bertacchini e di altri personaggi attraversiamo a più riprese la soglia tra i due mondi. Saverio è per certi versi il rappresentante tipico della città ufficiale. Nel 1983 inizia a dare corpo al suo sogno di ascesa sociale aprendo una sua officina, una torneria di precisione. Negli anni successivi “C’era da far crescere l’attività, c’era da allargarsi, incrementare, investire: Bertacchini era come la sua città, florida, ottimista, lanciata verso il successo. Distratta. Con un’eco inavvertita di silenziosa disperazione, tutt’attorno”. Ma in questo modo, lo accusa la moglie con il suo ostinato e rancoroso mutismo, aveva ignorato deliberatamente le crepe del suo piccolo mondo pur di non turbare la sua soddisfazione di artigiano di mezza età.

Quando Saverio aveva incominciato a capire tutto ciò era oramai troppo tardi. Sua figlia era scomparsa e lui, per rimarginare la ferita della perdita, si addentra ripetutamente nel mondo oscuro che aveva inghiottito la figlia. Bertacchini “non immaginava che quelle stesse strade che di giorno parevano così ordinarie e per bene di notte si trasformassero e vivessero secondo leggi e regole non scritte”. Dopo quello che era successo a Graziella, “non distoglieva più lo sguardo da quelle ragazze, da quei grumi di sofferenza che però non erano solo perdizione o disperazione – erano vive, piene di tensione, di aspettative, di attese, anche quando stazionavano lungo i viali con un occhio aperto e uno chiuso, strafatte in attesa di un cliente tirchio o sordido, che le avrebbe caricate piene di disprezzo o irrisione. Adesso Bertacchini vedeva tutto con chiarezza: tutte quelle giovani … erano altrettante figlie legittime della città. Figlie sue in qualche modo. Come Graziella”.
Come figlio legittimo di Modena, a modo suo, è anche il mostro che nel racconto parla in prima persona. Perché quello di Iozzoli è un romanzo polifonico in cui le vicende vengono narrate da più punti di vista che si intrecciano e si sovrappongono, descrivendo con profonda umanità le sofferenze dei protagonisti del racconto, veri e propri fantasmi in cerca di requie. E’ soprattutto la partecipazione al loro dolore, il desiderio di sapere se tanto patire avrà al dunque una qualche forma di risarcimento che spinge ad andare avanti nella lettura del libro, più che la curiosità di sapere se alla fine, a differenza di quello che è accaduto nella realtà, il mostro verrà scoperto. Non abbiamo a che fare con un romanzo poliziesco che si incentra sul ristabilimento dell’ordine attraverso la ricerca e la cattura del colpevole. Nell’economia della storia è più interessante sapere chi esso sia cosa lo spinga ad agire.

Giovanni Iozzoli

Ebbene il nostro serial killer si ritiene in fondo il più onesto dei suoi concittadini. E anche il più coraggioso e conseguente. Si tratta di un uomo che ha abitato il mondo con disinvolto successo, scegliendo la normalità come cifra distintiva. Potrebbe sembrare l’ennesima riproposizione dello strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde. Ma qui c’è qualcosa di più. Perché quest’uomo muove i primi passi della sua vita adulta all’inizio degli anni 70 quando, a suo dire, Modena sembrava stesse scrollandosi di dosso la cappa cattocomunista e straprovinciale che l’aveva condannata al grigiore. Sono tempi in cui si fa fatica a ridefinire i confini tra ciò che si può fare e ciò è consentito fare. Perché temere i tempi nuovi, si chiede il mostro? Perché porsi dei limiti, perché inibire i propri desideri per salvare ciò che resta della civiltà, come avrebbe voluto il suo psicanalista? In un mondo che iniziava ad andare fuori sesto e che negli anni 80 e 90 avrebbe definitivamente imboccato la strada senza ritorno dell’individualismo ipercompetitivo, lui era “stato un organismo forte, vorace e organizzato, che assorbiva vite deboli, se ne nutriva e le assimilava”. Lui, in fin dei conti, era stato uno sperimentatore.

A questo punto possiamo tornare gli interrogativi iniziali. Prima, però, dobbiamo farci un’altra domanda, la stessa che si pone Iozzoli in un articolo precedente alla pubblicazione del suo romanzo, dopo aver visto in televisione un documentario sul mostro di Modena: “mentre cerchiamo di scovare i fantasmi dei vecchi killer della nostra memoria, cerchiamo di chiederci: chi sono oggi i nuovi Mostri di Modena? Chi ci sta uccidendo, lentamente, ogni giorno, corrompendoci e assuefacendoci alle sue brutture e alle ragioni dei suoi profitti”? Arriviamo al dunque: quello che il serial killer del romanzo sperimenta nell’oscurità, certamente in forma iperbolica, oggi viene praticato alla luce del sole. Il mondo di sotto oramai è sotto le luci della ribalta. Per rendercene conto possiamo leggere i precedenti romanzi e gli articoli di Iozzoli che ci raccontano le vicende contemporanee del conflitto di classe nel mondo produttivo emiliano. L’autore nei suoi scritti ha presentato lo spaccato drammatico delle vite di operai e di operaie che lavorano nelle vetrine dell’eccellenza emiliana per un tozzo di pane, senza arrendersi. Chi sono queste persone se non le vite deboli assorbite e assimilate da quegli organismi più forti, voraci e organizzati che sono gli imprenditori dei nostri giorni?

Leggere Il mostro di Modena, insomma, è un modo per capire la mutazione antropologica che ci ha portato al punto in cui siamo oggi. Bertacchini rappresenta una figura tragica anche perché, pur provandoci, non riesce a mutare completamente, ad adeguarsi fino in fondo allo spirito dei tempi. Quando, in ritardo con una commessa a causa della scomparsa della figlia, cerca di richiamare alla memoria del suo committente i tempi in cui gli artigiani si aiutavano tra di loro, la risposta che ottiene non è quella sperata: “Artigiano? Mi consenta Bertacchini: io sono un imprenditore, magari medio, anche piccolo, se vogliamo, ma ero un artigiano quindici anni fa. Poi mi sono fatto un culo così, sono passato di categoria e vorrei restarci”. Bertacchini, a causa della ferita aperta dalla perdita di Graziella, arriva a percepire confusamente che qualcosa era cominciato impercettibilmente a cambiare quando aveva rilevato il piccolo capanno dove aveva installato la sua ditta. Sentiva che da allora un’ombra oscura si era allungata sul suo destino. Era arrivato infine a odiare il suo modesto benessere, la sua evoluzione sociale, il suo micro mondo, la città dei probi e dei moderati. Quanti traumi collettivi dovremo ancora subire, per quanto dovranno continuare sanguinare le nostre ferite prima di cominciare a odiare, tutti insieme, il mondo costruito a immagine e somiglianza dei nuovi mostri?

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