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HomecultureMorchio, la letteratura per ricucire le ferite di una città

Morchio, la letteratura per ricucire le ferite di una città

Popoff ha incontrato lo scrittore genovese Bruno Morchio nel quartiere in cui è crollato Ponte Morandi

… dal mio quartiere non si vede altro che il Ponte dell’autostrada

e il torrente, un rigagnolo d’acqua marrone che quando piove si gonfia e fa davvero paura.

Il mare è troppo lontano e posso solo immaginarlo…

C’è anche Bruno Morchio, con il suo DOVE CROLLANO I SOGNI (Nero Rizzoli, 2020) nella cinquina, pubblicata ieri, dei romanzi finalisti del Premio Giorgio Scerbanenco 2020. Massimo Lauria e Checchino Antonini, collaboratori di Popoff e autori di video per la Rsi, la tv pubblica della Svizzera italiana, hanno incontrato Bruno Morchio nella sua Genova, per la precisione a Certosa, il quartiere di Ponente in cui è crollato Ponte Morandi nell’agosto del 2014. Un trauma collettivo che non poteva non fare irruzione nella produzione letteraria (segnaliamo anche il pregevole 24 ORE PER NON MORIRE di Annamaria Fassio, uscito a ottobre nella collana Il Giallo Mondadori).

La scrittura, probabilmente, è la tecnologia più semplice e antica anche per elaborare i traumi. Specialmente i traumi collettivi. Per questo, siamo tornati a Certosa con Morchio, da vent’anni sulla scena letteraria con romanzi pubblicati prima da Fratelli Frilli, poi da Garzanti e Rizzoli.

«La caratteristica della letteratura – spiega nel servizio linkato di RsiNews – è quella di andare sui luoghi dove accadono gli eventi e di raccontarli, anche trasfigurandoli». La vita delle città sta slittando, ancora più velocemente nel tempo Covid, dal centro, spesso gentrificato, alla periferia. E Morchio è tra quegli autori, tra Noir mediterraneo e New italian epic, che si dedicano alla narrazione di luoghi in profonda mutazione. «Il quartiere non è solamente una location dove avvengono gli avvenimenti», spiega ancora l’autore del recentissimo “VOCI NEL SILENZIO”, la nuova indagine di Bacci Pagano pubblicata per Garzanti e in lettura proprio in queste ore qui a Popoff.

L’appuntamento con Morchio era a Brin, al capolinea di Ponente della metropolitana a due passi dal ponte sul Polcevera, il nuovo ponte adesso, e a 50 metri dai giardini della scuola dove si svolge l’azione di DOVE CROLLANO I SOGNI. E’ la scuola elementare dove Blondie, la protagonista, ha studiato. «Poi è passata alla scuola media, poi si è fermata, peccato perché un’intelligenza come la sua… – osserva il suo creatore – e in questi giardini della scuola Blondi e i suoi amici trascorrono gran parte del tempo, tempo vuoto, che viene riempito da discorsi vuoti, il calcio, la droga, la noia… che è un po’ tipica dell’età dell’adolescenza ma che qui è esasperata fino al momento in cui, invece, questi discorsi e questi spazi si riempiranno con sentimenti forti che sono che sono la paura il senso di disperazione, la colpa e anche i sogni. Perché Blondi è capace di sognare, insomma…».

Il motore della trama è il desiderio di questa ragazza, Ramona, detta Blondie, che quando compirà i 18 anni vuole, a qualunque costo, andare in Costa Rica, «un desiderio che è apparentemente di liberazione ma in realtà poi non si dimostrerà tale perché la imprigionerà. E’ disposta a tutto e quindi anche a superare il confine tra il bene e il male. La scelta del noir era a questo punto inevitabile. Il noir ha almeno due declinazioni storiche, una è quella del romanzo di indagine in cui si parte dal crimine, dal morto, e poi a ritroso, si ricostruisce quello che è successo, pensiamo all’hard boiled di Chandler ai romanzi di Montalban, Markaris, Izzo. L’altra declinazione del noir, che per certi versi è anche più nobile letterariamente, è quella di autori come Cain, pensiamo al Postino suona sempre due volte, oppure Simenon tutti i grandi romanzi di Simenon dove non c’è Maigret. Lì che cosa viene raccontato? Viene raccontato il percorso che porta una persona normale a commettere un crimine, quindi tutte le sollecitazioni che l’ambiente sociale produce su una persona e che lo portano alla fine a delinquere. Quindi è una sorta di anatomia del crimine e in questo senso è anche un’anatomia della società».

il gazometro di Campi a sovrastare Certosa. L’impianto è stato la location per alcuni film “poliziotteschi” degli anni 70, “Genova a mano armata”, “Mark il poliziotto spara per primo”

E allora diamo uno sguardo al quartiere. «Questo è stato il più importante distretto industriale della città – ha spiegato Morchio – l’industria genovese nasce intorno alla metà dell’800 dalla foce del Polcevera. Qui siamo proprio all’inizio di una valle che è stata occupata da importantissime fabbriche, del tessile, della metalmeccanica, della siderurgia. E dove è cresciuta una classe operaia tra le più professionalizzate d’Italia. Il processo di deindustrializzazione che è cominciato con la fine degli anni ‘70 ha comportato uno svuotamento delle fabbriche che noi oggi ritroviamo qui, ancora, in gran parte come strutture, gusci vuoti, scheletri, inutilizzati, enormi aree che non banno trovato un riutilizzo e una ricollocazione. E questa è forse la caratteristica che più colpisce della Val Polcevera perché di tutte le aree industriali della città questa è quella che più risente del processo di desertificazione produttiva dove proprio si respira davvero un’aria di periferia. A Genova una periferia vera e propria non esiste per via del fatto che la città è nata dall’accorpamento di 15-16 comuni che sono stati appunto uniti, unificati nel 1926 nella Grande Genova. Quindi ogni realtà, da Voltri fino a Nervi, parliamo di 37 km di sviluppo costiero, era un comune e ha ancora una sua forte identità, c’è ancora una piazza, c’è un comune, e quindi parlare di periferia è un po’ di difficile perché ogni centro ha un centro, tant’è che gli abitanti di queste zone quando vengono nella Città vecchia, in centro storico, dicono vado a Genova non dicono vado in centro. Però diciamo che la Val Polcevera ha molto forti le stimmate della periferia, proprio perché qui la deindustrializzazione ha significato davvero desertificazione e impoverimento del territorio».

Volontari del progetto OnTheWall, che ha decorato alcune facciate del quartiere Certosa, allìombra del murale dedicato a Paolo Villaggio

Un dato che anche lo stesso Morchio mette in relazione con una composizione sociale radicalmente mutata, «anche se in Val Polcevera rimangono per fortuna una serie di industrie qualcuna anche medio-grande importante. Ma il tratto caratteristico e drammatico, che riguarda tutta la città ma riguarda fortemente la valle è l’invecchiamento della popolazione. Ci troviamo di fronte a una popolazione vecchia, c’è stata una immigrazione, in parte dai Balcani, molto dal Sudamerica (che poi qui è abbastanza integrata perché lavorano gran parte le donne come badanti, gli uomini nell’edilizia) che però non ha assolutamente compensato lo svuotamento e l’invecchiamento della popolazione». L’altro grande fenomeno della valle, comunque legato alla deindustrializzazione, ed è anche quello raccontato nel romanzo «è la assenza totale di progetti, prospettive, futuro per i giovani. Il numero di ragazzi – racconta Morchio – che non studiano e non lavorano, qui nella Valle, supera il 20%, cioè supera di gran lunga il numero dei ragazzi iscritti all’università. Questo è un dato drammatico perché è un dato che schiaccia una generazione sul presente e la priva del futuro. Privandola del futuro la priva anche dei sogni. E io nel romanzo di questo mi sono voluto occupare. Il romanzo si intitola DOVE CROLLANO I SOGNI proprio perché parla di una generazione di ragazzi che non hanno la possibilità di sognare un futuro nel posto dove sono nati.

«Il bisogno di elaborare quel trauma (il Ponte Morandi crollato, ndr) è stato alla base della scrittura del romanzo – confessa infine Bruno Morchio – la caratteristica della letteratura è quella di andare sui luoghi dove accadono gli eventi e di raccontarli, in parte anche trasfigurandoli. Credo che uno dei grandi meriti della letteratura, e in gran parte della letteratura noir europea e del Mar Mediterraneo, sia stato proprio quello di riscoprire le città e di dare ai luoghi delle città una valenza quasi mitica perché la città non è solamente una location dove avvengono gli avvenimenti e dove viene raccontata una storia ma è un luogo vissuto filtrata dalla fantasia dell’autore, il luogo urbano ma anche la provincia anche il luogo periferico, l’area interna assume quasi una dimensione mitica e questo è uno dei grandi fattori di interesse della letteratura».

Tornando al Premio Scerbanenco: la cinquina è risultata dalla sommatoria dei voti dei lettori sul sito – quest’anno ben 2.372 – e di quelli ponderati della Giuria letteraria, che ha votato in questa formazione: Cecilia Scerbanenco (Presidente), Alessandra Calanchi, Valerio Calzolaio, Luca Crovi, Sergio Pent, Sebastiano Triulzi e John Vignola.

Ancora una giovane volontaria del progetto On The Wall nella piazza del quartiere Certosa

In ordine alfabetico, i finalisti sono Francesco Abate, I DELITTI DELLA SALINA, Einaudi; Tullio Avoledo, NERO COME LA NOTTE, Marsilio; Cristina Cassar Scalia, LA SALITA DEI SAPONARI, Einaudi; Lorenza Ghinelli, TRACCE DAL SILENZIO, Marsilio; Bruno Morchio, DOVE CROLLANO I SOGNI, Nero Rizzoli. Il romanzo Psychokiller di Paolo Roversi (SEM) si aggiudica il Premio dei lettori – Noir in Festival 2020 per essere stato il più votato sul sito del festival. I cinque finalisti e l’autore più premiato dal pubblico saranno presentati tra il 30 novembre e il 3 dicembre prossimi in una serie di incontri live sui social network del festival.

 

 

 

 

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