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La morte di Musa Balde. Il razzismo e il Cpr uccidono

Migranti. Ragazzo suicida nel Cpr di Torino, inaccettabile suicidio di Stato

«Perchè mi hanno rinchiuso?” chiedeva al suo avvocato. Aveva 23 anni, veniva dalla Guinea. Il suo nome era Musa Balde. Si è tolto la vita sabato scorso, impiccandosi con un lenzuolo nel Cpr (Centro per il rimpatrio) di Torino dov’era segregato in “isolamento sanitario”, l’ala in cui era rinchiuso la chiamano l’Ospedaletto. Chissà la disperazione che si prova dentro quello che in molti definiscono un lager per migranti. Ma lì dentro nemmeno ci doveva stare perché Musa era il migrante sprangato a Ventimiglia da tre veri italiani, denunciati a piede libero, il 9 maggio scorso. Chissà quanto sia peggiore la disperazione che si prova dentro un lager per migranti dopo un tentativo di linciaggio. Lì proprio non doveva stare. Intanto nel centro è in corso uno sciopero della fame. Gianluca Vitale, il legale che lo aveva incontrato ricorda le domande di Musa e fa emergere un quadro inquietante: «Io non riesco più a stare rinchiuso qui dentro: quanto manca a farmi uscire? Perché mi hanno rinchiuso? Voglio uscire: io uscirò di qui». L’ha incontrato due volte, giovedì e venerdì scorso, «era molto provato ed era incredulo di trovarsi nel Cpr». Gli ha mostrato il video dell’aggressione, lui ha spiegato di essere stato picchiato mentre stava chiedendo l’elemosina. «Però finora è stata divulgata solo la versione degli aggressori, che denunciano un tentato furto di un cellulare. Quello che è sicuro è che non ha avuto assistenza psicologica adeguata, era palesemente molto provato. Gli sono state fatte firmare tante carte sulla sua espulsione, ma nessun atto riguardo alla violenza di cui è stato vittima. Non si dava pace di essere chiuso nel Cpr, non sopportava la reclusione». A quanto si sa su Musa non è stato attivato nessun sostegno di natura psicologica.

«Balde, per questo Stato, per questa Europa, non era una persona. Per questo Stato e per questa Europa la dignità di persona è uno status collegato a doppio filo con il possesso di un documento», scrive la a rete Mai più lager-No ai Cpr rilanciando la domanda di Musa: «Ecco: perché l’hanno rinchiuso? E perché è stato messo in isolamento, dove meno di due anni fa è morta un’altra persona, nel CPR di via Brunelleschi? Perchè esistono questi lager per innocenti, dove vengono recluse ed abbandonate a loro stesse persone, come se fosse un porto franco dei diritti alla difesa, alla salute, alla dignità umana? Considerate se questo è un suicidio. O se piuttosto non è un suicidio di Stato».

Alcuni reclusi, con coraggio, hanno voluto raccontare quello che sta accadendo dentro il CPR di Torino. Le loro voci le riporta il collettivo torinese No Cpr. Secondo la testimonianza di un ragazzo, nonostante dimostrasse chiari segni di sofferenza causati dalle lesioni al corpo, Musa Balde non è stato mai visitato da nessun medico o membro del personale medico del CPR. «Dopo il trasferimento in isolamento, avvenuto senza una chiara motivazione, è stato sentito urlare e chiedere l’intervento di un dottore senza mai ricevere una risposta. Domenica mattina la versione del suicidio si è diffusa rapidamente in tutte le aree del centro provocando numerose proteste tra i reclusi a causa del fatto che nessuno di loro ha creduto possibile che Musa Balde si sia potuto suicidare, accusando fin da subito la polizia ed il personale medico del CPR di quanto accaduto. Cosa è accaduto realmente durante la notte non si sa con certezza e probabilmente non si saprà mai anche perchè non c’erano altri compagni in cella con lui. E anche se ci fossero stati sarebbero stati rimpatriati rapidamente per eliminare scomodi testimoni come è già successo dopo la morte di Faisal nel 2019, avvenuto sempre all’interno del CPR di Torino nella stessa sezione di isolamento dove si trovava Musa Balde e nel 2020 dopo la morte di Vakhtang, avvenuto nel CPR di Gradisca di Isonzo. Una cosa però è certa. Ovvero che un altro ragazzo è entrato dentro un Centro di Permanenza per il Rimpatrio con le sue gambe ed è uscito dentro una bara. Ucciso dallo Stato che ha concepito e continua a giustificare questi luoghi infami.
I ragazzi reclusi all’interno dell’area Verde e dell’area Blu hanno intrapreso uno sciopero della fame rifiutando il cibo avariato che li viene fornito per protestare contro la morte del loro compagno e contro le condizioni in cui sono costretti. Ieri sera un gruppo di solidali si è presentato sotto le mura del CPR di corso Brunelleschi per urlare la propria rabbia e sostenere chi con coraggio lotta per distruggere la propria gabbia. Nella notte le proteste dei reclusi hanno preso forma con diversi incendi che hanno danneggiato parte dell’area Verde e dell’area Bianca”.

Una vicenda che ha fatto il giro del web grazie al video postato da un testimone. Rincorso e preso a sprangate per le vie di Ventimiglia perché credevano che avesse rubato un cellulare. Nelle immagini si vede Musa che accascia al suolo, mentre dalle finestre qualcuno riprendeva la scena col telefonino gridando: “Ora lo ammazzano”. In ospedale è stato appurato che era un irregolare e l’hanno spedito nel Cpr di Torino. «Dove però dopo qualche giorno si è tolto la vita – scrive l’agenzia Redattore sociale – ora ci si chiede se quel centro fosse il luogo adatto per accogliere un ragazzo che si stava riprendendo da un’aggressione. Bisognerà appurare se sia stato realmente preso in carico e che tipo di assistenza abbia avuto nei giorni del suo trattenimento». «Più volte ho ribadito l’inadeguatezza dei Cpr, in particolare la struttura di Torino si caratterizza per l’assoluta inaccettabilità della parte cosiddetta Ospedaletto, dove il ragazzo era trattenuto. Lo abbiamo segnalato più volte alla prefettura – sottolinea a Redattore Sociale il Garante per le persone private della libertà Mauro Palma – in questo caso siamo di fronte a una situazione molto particolare. Mi lascia molto perplesso che sia stata questa la risposta dello Stato a una persona che aveva subito violenza. Mi chiedo se la sua fragilità sia stata presa in carico, era un obbligo dell’ente gestore. Che supporto è stato dato a questo ragazzo? Dobbiamo chiedercelo innanzitutto come collettività, perché c’è una responsabilità collettiva in questa storia».

«Musa non ha retto l’ennesima violenza, non capiva il perché di quelle gabbie in cui era costretto e ha scelto di togliersi la vita impiccandosi alle sbarre con un lenzuolo», dice Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione Comunista «che da sempre si batte perché quei centri di detenzione, che ogni tanto cambiano nome ma restano sempre luoghi di sofferenza e di morte, vengano abbattuti». «Non si può essere privati della libertà personale perché non si ha un documento. Regolarizzare chi è presente sul territorio nazionale è il solo modo per impedire simili tragedie che noi chiamiamo omicidi», aggiunge
Stefano Galieni, che da anni si occupa della questione migranti per conto del Prc.
«Perché a questa persona non è stato dato un  permesso di soggiorno per rimanere in Italia in quanto vittima di violenza – dice Gianfranco Schiavone di Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) elencando tre questioni gravissime – per procedere nella vicenda giudiziaria, che vede coinvolti i suoi aggressori, doveva avere un permesso in quanto vittima e testimone. Non solo, tenuto conto del paese di provenienza, il suo rimpatrio era a rischio. E, dunque, non capiamo perché la prefettura di Imperia abbia emanato un permesso di espulsione in violazione dell’articolo 19 del Testo Unico. Infine, il trattenimento nel Cpr dovrebbe essere finalizzato alle situazioni di particolare gravità. In questo caso, il ragazzo non è stato trattato come doveva, cioè come vittima e richiedente asilo ma come straniero da espellere. A tutto ciò si aggiunge la gravità della situazione nel Cpr Torino e in particolare dell’area Ospedaletto.

L’Ospedaletto è un unico corpo di fabbrica suddiviso in 12 locali di pernottamento con una capienza pari a 24 posti, si legge nel report di Palma sulla situazione dei Cpr in Italia. “La Prefettura ha assicurato che questi ambienti vengono riservati esclusivamente alle persone trattenute che presentano particolari esigenze; che la collocazione avviene sotto continua sorveglianza medica; che è assicurata alle persone collocate in questi ambienti l’accesso quotidiano al campo di calcio, quantunque in orari diversi da quelli previsti per le altre persone presenti. Secondo quanto riferito al Garante nazionale, gli unici casi di persone trattenute collocate in tali ambienti per ragioni non sanitarie sono ascrivibili a soggetti che ne fanno espressa richiesta e comunque sempre per motivi legati alla tutela della loro incolumità fisica. Tuttavia, il settore continua a sollevare molteplici criticità”. In particolare, il Garante rileva “l’assenza di garanzie rispetto a una tale collocazione e la lontananza di tale area detentiva dal corpo fabbrica e della conseguente difficoltà di espletare un’effettiva sorveglianza sanitaria da parte del personale preposto”.

In questa zona, inoltre, la condizione detentiva viene considerata “inaccettabile” perché non prevede la possibilità per le persone di trascorrere almeno alcune ore della giornata in uno spazio di dimensioni adeguate all’aria aperta, dove non sia ostruita la vista del cielo. “Va, peraltro, rilevato che nei locali del cosiddetto Ospedaletto non vi sono telefoni accessibili. Ne consegue che le persone ivi ristrette ogni volta che intendono effettuare una chiamata devono esprimere la loro richiesta al personale di Polizia che le accompagna in un settore detentivo ordinario munito di apparecchi telefonici” si legge ancora nel report. A questo si aggiunge la scarsità di personale. “Con riguardo all’assenza di garanzie rispetto a una tale collocazione va rilevato che è invalsa la prassi di utilizzare gli ambienti dell’isolamento sanitario anche per altri scopi riconducibili a ragioni di sicurezza e mantenimento dell’ordine – continua il documento – il ricorso all’isolamento per ragioni sostanzialmente disciplinari senza una specifica disciplina giuridica che definisca la procedura con le dovute garanzie di contraddittorio, i tempi di durata della misura e la possibilità di ricorso è molto critica e presenta profili di inaccettabilità”.

Nel sopralluogo al Cpr di Torino lo stesso Palma aveva anche constatato come le persone trattenute abbiano difficoltà a rivolgere richieste agli operatori, che si limitano ad avvicinarsi alle cancellate dei vari settori senza farvi ingresso, soffermandosi in corrispondenza dell’uno o dell’altro a seconda dei richiami vocali che ricevono. Per qualsiasi esigenza, lamentela o richiesta gli ospiti devono sostare nell’area esterna del proprio modulo abitativo, qualunque siano le condizioni atmosferiche, e attendere il passaggio di un operatore, nella speranza di ottenere la sua attenzione ed esprimere da dietro le sbarre del settore detentivo la propria richiesta. Per questo il Garante nazionale ha espresso il proprio disappunto rispetto a una tale impostazione organizzativa, la quale, “in nome di un perenne prevalente criterio di sicurezza che limita fortemente gli ingressi nelle sezioni abitative, determina un contesto disumanizzante dove l’accesso ai diritti di cui le persone trattenute sono titolari passa attraverso la demarcazione fisica della relazione di potere tra il personale e lo straniero ristretto che versa in una situazione di inferiorità”.

Erasmo Palazzotto, deputato di Leu, ha annunciato un’interrogazione parlamentare alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese: «Pensiamo valga così poco la vita di una persona non europea? Sabato lo Stato ha fallito, nel modo più doloroso, il suo compito di tutela e protezione della vita umana». La procura di Torino, si usa dire, ha avviato accertamenti.

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