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Ascanio Celestini immagina il Museo Pasolini

Celestini, un’anteprima in forma di prove a Fosdinovo per il festival Fino al Cuore della Rivolta [Chiara Nencioni]

Fra i castagni dell’Appennino, linea gotica. Ancora una volta, per il diciassettesimo anno, si è svolta la serata, la terza dell’estate 2021, di Fino al Cuore della Rivolta, presso il Museo Audiovisivo della Resistenza di Fosdinovo. Festival Resistente.

Lo slogan di questa edizione è “la realtà si impara dove la realtà si fa”, in omaggio a Ivan Della Mea (titolo di un suo scritto del 1966). E proprio a Ivan della Mea sarà dedicata la domenica la data dell’8 agosto.

Domenica Primo agosto, fa fresco, anzi freddo, sotto i castagni. La temperatura si è abbassata bruscamente e avrebbero dovuto esserci nubifragi ma Giove Pluvio è stato clemente verso il popolo variopinto, variegato, appassionato, libero e resistente affezionato a Fosdinovo.

E così la serata si fa.

Lo spettacolo del pomeriggio è di Ascanio Celestini. Il titolo è ancora provvisorio “Appunti per un Museo Pasolini” e l’autore stesso dice che ancora si tratta di prove (il debutto ci sarà novembre nell’ambito delle celebrazioni dei cento anni della nascita di Pp. P.). Infatti Celestini talvolta legge, cosa rarissima per lui che è in grado di recitare a memoria con voce quella sua voce ironica, sicura, spedita e veloce i suoi monologhi.

Sulle balle di fieno “poltrone assolutamente ecosostenibili che diventeranno il cibo per le caprette con il cui latte si farà il formaggio del festival” – dice l’organizzatore Alessio Giannanti – il pubblico segue lo spettacolo per un’ora, fra voce narrante di Celestini e inserti di registrazioni d’epoca.

Celestini inizia con una domanda: come potrebbe essere un museo Pier Paolo Pasolini?

L’autore precisa che la nipote di Pasolini è contraria all’idea di un museo per suo zio, perché ritiene “pesante” la parola museo. “Invece io penso che il museo sia l’unico vero luogo e forma d’arte pubblica”, replica Celestini

L’idea su cui si snoda lo spettacolo è appunto questa: se ci fosse un museo Pasolini quali gli oggetti materiali e immateriali potremmo esporre?

La narrazione dello spettacolo è una sorta di guida all’interno di un immaginario museo utopico.  “In una teca potremmo mettere la sua prima poesia: di quei versi resta il ricordo di due parole “rosignolo” e “verzura” del 1929” e poi? Come dice Vincenzo Cerami: “Se noi prendiamo tutta l’opera di Pasolini dalla prima poesia che scrisse quando aveva 7 anni fino al film Salò, l’ultima sua opera, noi avremo il ritratto della storia italiana dalla fine degli anni del fascismo fino alla metà degni anni ’70. Pasolini ci ha raccontato cosa è successo nel nostro paese in tutti questi anni”. Dunque, fra tanta storia, qual è il pezzo forte del Museo Pasolini? Quale oggetto dobbiamo cercare? Quale oggetto dovremmo impegnarci a acquisire da una collezione privata o pubblica, recuperarlo da qualche magazzino, discarica, biblioteca o ufficio degli oggetti smarriti? E infine: in quale modo dobbiamo esporlo?

Nello svolgersi dello spettacolo Celestini ci rivela che uno di questi oggetti sarà una strada, duecento metri di strada romana, quella che percorrono Mamma Roma e il figlio Ettore mentre vanno nella loro casa nuova, “una casa da persone per bene”. Ed è attraverso la voce di Anna Magnani, che esce come da un vecchio grammofono, attraverso la voce di interviste di archivio e quella presente e viva di Celestini, che si ripercorre la storia del villaggio INA-Casa (o INA-Casba), del quartiere Tuscolano di Roma, costruito negli anni Cinquanta, frutto del piano Fanfani del 1949 nella zona sudest della Capitale, che prevedeva la costruzione di edifici a destinazione popolare e piccolo-borghese. A quel piano fecero seguito il Tuscolano II, realizzato fra il 1952 e il 1957, e il Tuscolano III, tra il 1953 e il 1954, progettato da Adalberto Libera, chiamato “alla 49” dagli abitanti, poiché l’entrata è in via Selinunte 49.  Libera si era recato in Marocco proprio in quegli anni, e in una cartolina simpaticamente scrisse “Ecco l’Ina-Casba!”: stava così per portare le case marocchine nella periferia sud-est di Roma.

E da lì si arriva alla borgata della periferia romana, tristemente nota per il suo degrado e la sua miseria, e alle baracche sotto gli archi dell’acquedotto Felice. Quei luoghi descritti negli Scritti Corsari e nei quali è ambientato Ragazzi di vita, “dove si viveva fra la polvere d’estate e il fango d’inverno”.

Ed ecco che alla fine viene fuori quale sarebbe l’oggetto fondamentale per il Museo Pasolini: sarebbe fra via Selinunte e l’Acquedotto Felice, 300 metri di muro e arcate dei baraccati. Celestini tace, emerge dal grammofono la voce di Pasolini:

 

Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d’altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l’Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d’anagrafe,
dall’orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più
(da Poesia in forma di rosa)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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