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Calcio. Livorno: la caduta e la rinascita di un mito

Il Livorno prova a ripartire dall’Eccellenza. Dal 2002, più di 150 club sono scomparsi o sono stati rifondati, costretti dai debiti [Ignacio Pato]

Non è stata la migliore estate a memoria di Livorno. Davanti a bevande di ponce – qualcosa di più del carajillo locale, di caffè e rum – o forse a un tavolo con un elaborato cacciucco, zuppa di pesce, l’argomento di conversazione era se la città sarebbe stata senza squadra quest’anno. Senza calcio. Un pensiero ricorrente tra il porto e la raffineria petrolchimica ENI deve essere stato anche tra i morsi di un 5 e 5, il tipico panino con la torta di ceci. L’emigrazione italiana lo portò in Argentina e in Uruguay, dove si chiama fainá e di solito accompagna la pizza. A Livorno il panino si chiama 5 e 5 perché un tempo si diceva: “Dammi cinque lire di pane e cinque lire di torta di ceci”.
Mantenere, per uno dei suoi piatti di punta, un nome che ci ricorda quanto costa guadagnare le cose non è l’unico indizio per situarci in questa città sul Mar Tirreno. Nella regione, la Toscana, il centrodestra non ha mai vinto. Livorno ha sempre avuto sindaci del partito comunista (poi Pds, Ds, Pd, Ndr) fino al 2014 e da allora sono stati di centro-sinistra. L’attuale sindaco, Luca Salvetti (centrosinistra, succeduto al disastroso pentastellato Nogarin, Ndr), ha partecipato agli eventi che quest’anno hanno celebrato il centenario del PCI, fondato nella città stessa. Da quel congresso nel Teatro San Marco con Antonio Gramsci, Amadeo Bordiga, Palmiro Togliatti e compagnia, a diventare la più importante falce e martello istituzionale ed elettorale dell’Europa occidentale, con un tetto del 34% e 12 milioni di voti. Ma quest’estate, a parte come tenere i conti di casa, la preoccupazione principale a Livorno era il Livorno.
Due retrocessioni in due anni di fila. Sembra brutto, ma potrebbe essere, e sarebbe, anche peggio di quanto sembrava lo scorso maggio. Il Livorno, che a settembre 2019 giocava in serie B, era sceso in caduta libera in C e da lì in D, una categoria non più professionistica. Due stagioni in cui, inoltre, la squadra era stata ultima con poche speranze di salvezza per tutto l’anno. All’inizio di luglio, il club è andato in liquidazione. Inoltre, non era in grado di pagare la tassa d’iscrizione alla Serie D e, soprattutto, aveva debiti con il Comune che le impedivano di utilizzare lo stadio comunale Armando Picchi e con i giocatori e gli altri lavoratori del Livorno. In agosto, la Lega Nazionale Dilettanti, organizzatrice della Serie D, rifiuta l’ammissione alla squadra toscana, che muore sportivamente e scompare di fatto come società. I tifosi, la città, si sono posti l’obiettivo di rifondare il club e, dopo diverse voci su possibili interessati, un po’ di luce ha cominciato ad albeggiare. Un comitato di “saggi” e il sindaco Salvetti hanno scelto come migliore offerta quella dell’imprenditore Paolo Toccafondi. Con il nuovo investimento, il club rinasce sotto il nome di Unione Sportiva Livorno 1915 e la conferma che giocherà la stagione 2021-22 in Eccellenza Toscana, la quinta serie regionale del calcio italiano.
Sparita, per il momento, la possibilità che il Livorno diventi un club popolare. Il collettivo Livorno Popolare, molto critico nei confronti della gestione dell’ex presidente Aldo Spinelli, ci ha provato. “Il suo mandato ha distrutto tutte le cose buone che sono state create negli anni 2000, compresa una partecipazione alla Coppa UEFA. Una squadra di calcio gestita come un giocattolo rotto, con buchi nei conti, spese sproporzionate e l’incapacità di coinvolgere i tifosi nei processi decisionali”, spiega Livorno Popolare a El Salto.
L’iniziativa è nata a febbraio e, dopo aver ricevuto 3.000 firme, a maggio ha inviato all’ormai defunta Associazione Sportiva Livorno un’offerta di acquisto del club per 1 milione di euro, che è stata rifiutata. “Il nostro obiettivo è quello di creare un nuovo modello di partecipazione nel calcio, alternativo ai proprietari che sono signori e padroni, con un coinvolgimento diretto dei tifosi nella gestione della società”, dicono.
Oltre ad essere antisessista e antirazzista, Livorno Popolare si dichiara anti-classista. E citano il romanzo Q di Luther Blissett per chiedere la collaborazione dei fan: “Aiutatemi a costruire la nave che sfiderà la tempesta”. “Il futuro immediato è quello di un nuovo corso in cui una sola persona investe e decide, è un modello di calcio già visto che non condividiamo. Cercheremo altri spazi, nel territorio, in cui sperimentare la gestione partecipativa. Ci auguriamo che la nuova società del club sia in grado di riportare il Livorno nel calcio professionistico il più presto possibile”, dicono.
Il crollo di Livorno potrebbe essere visto come uno dei tanti mali. Non stiamo parlando degli effetti della pandemia. Quasi tutto è iniziato a 100 chilometri dalla città. La storica Fiorentina – due scudetti, sei coppe, una Coppa delle Coppe e tre finali europee – ha vissuto la sua estate buia nel 2002, solo due anni dopo aver giocato la Champions League. Già dopo aver venduto Batistuta, Rui Costa, Toldo, Morfeo o Chiesa, la squadra fu retrocessa in serie B; con 50 milioni di debiti fu dichiarata fallita, non poteva nemmeno partecipare a quella categoria e formalmente scomparve. È riemerso come Florentia Viola e poi ha riacquistato i diritti e la bacheca dei trofei della Fiorentina. Da allora fino al 2018, 150 club italiani hanno cessato di fare i conti. Alcuni di loro, illustri. Come la Società Sportiva Calcio Napoli, indebitata per 80 milioni di euro e temporaneamente rifondata come Napoli Soccer l’estate dell’arrivo di Aurelio de Laurentiis al timone nel 2004. Bari, Cesena, Foggia, Modena, Padova, Palermo, Parma, Perugia, Reggiana, Salernitana, Siena, Torino, Venezia e Vicenza sono altre che un tempo godevano di domeniche luminose.
È in quei momenti, in quel mix di shock, incertezza e carico di lavoro organizzativo in vista, che la lealtà viene messa alla prova. Igor Protti è uno di quegli attaccanti di quartiere, uno di quei lavoratori del gol a capo di squadre umili, spesso chiamate “provinciali”, che hanno popolato l’ultimo periodo d’oro del calcio italiano, gli anni ’90. Insieme a Protti, era comune vedere i loro nomi su ogni tabellone: Hübner, Maniero, Flachi, Luiso, Schwoch, Ferrante, Ganz, Branca, Padovano, Tovalieri, Poggi, Silenzi. Protti e Hübner sono gli unici giocatori nella storia del calcio ad essere stati capocannonieri in serie A, B e C. Per darvi un’idea, è qualcosa di simile a Iago Aspas, Kike García o José Luis Morales che hanno raggiunto qualcosa di così bestiale al giorno d’oggi. Protti, proveniente dalla costiera e turistica Rimini, ha fatto carriera soprattutto a Messina, Bari e Livorno. Ha passato una vita a mettere palle in rete in riva al mare.
Al Livorno non è solo il giocatore che ha segnato più gol per la squadra toscana, ma anche una leggenda assoluta. All’età di 32 anni, rifiutò le offerte della prima squadra e scese in C per giocare i suoi ultimi anni da amaranto. In sei stagioni, è stato un marcatore prolifico e ha portato i suoi compagni di squadra in A. Capitano, formò una leggendaria coppia d’attacco con Cristiano Lucarelli e lasciò nel 2005 con la squadra in procinto della sua unica apparizione europea. Il club, a sua volta, ha ritirato la sua maglia numero 10, ma ha invertito la decisione, sostenendo che i giovani che passano avevano anche il diritto di indossarla. Nei momenti negativi, la Curva Nord ha cantato “Vogliamo undici Igor Protti”.
Ebbene, Protti è in questa nuova Livorno. È il nuovo manager del club, una posizione da cui cercherà di contribuire la sua visione, guidare e trasmettere ai nuovi giocatori l’amore per la maglia e la città che ha in abbondanza. È il suo secondo incarico. “Non avrei mai pensato che sarei tornato da dirigente a Livorno in Eccellenza. Sono molto legato a tutte le squadre in cui ho giocato perché indossare una maglia è molto importante per me. Lei rappresenta quella città, quei tifosi, quella storia. Non mi interessa la categoria, per me essere al Livorno in Eccellenza è come essere in Serie A. Ecco perché mi metto a disposizione per cercare di portare il club più in alto e soprattutto per riportare l’entusiasmo in una città che ultimamente l’ha perso”, dichiara l’ex giocatore a El Salto.
L’obiettivo sportivo è molto chiaro. “Non può essere altro che finire al primo posto e salire in Serie D. Sul lato non sportivo, per rafforzare il senso di appartenenza. I giocatori devono capire cosa significa giocare per il Livorno e indossare questa maglia. Sarò in contatto con loro e con l’allenatore ogni giorno per aiutare a raggiungere questo obiettivo. Forse è un po’ un approccio calcistico di qualche anno fa, ma a volte per migliorare bisogna anche guardare indietro. Ci deve essere il cuore nello sport”, dice.
Anche se “il mondo sta cambiando”, dice, questo club rimane, anche nelle parole di Protti, “un punto di riferimento per la città”. E per il calcio italiano, potremmo aggiungere. Sono 29 presenze al massimo livello e il 25° posto nella novantennale storia della Serie A. Per metterci al di sopra di club come Empoli, Sassuolo, Venezia e Salernitana, che stanno giocando nella massima serie quest’anno. Un secondo posto nel 1943. Un deserto di trent’anni prima di tornare alla divisione B. Un sesto posto di tutto rispetto nel 2006 e un inizio di secolo che ha portato la squadra dal giocare ad Arezzo o alla Triestina a battere Glasgow Rangers, Auxerre o Partizan Belgrado in Coppa UEFA fino ad essere eliminata dall’Espanyol. Una panchina che ha visto personaggi del calibro di Tarcisio Burgnich, Osvaldo Jaconi, Carlo Mazzone e Walter Mazzarri. Una delle rivalità più aspre del paese, con il Pisa. In entrambe le città, il porto e l’università, la gente ricorda ancora le proteste di strada quando il presidente pisano, Romeo Anconetani, propose l’idea che i due club si fondessero in un unico club chiamato Pisorno. Se parliamo di vicini toscani, le tribune di Livorno hanno un maggiore apprezzamento per l’Empoli e un po’ più in là per la Ternana, gestita da Cristiano Lucarelli. All’Armando Picchi di Livorno, non è raro vedere simboli dell’AEK Atene o dell’Olympique Marsiglia come risultato della rete di affinità tra questi tifosi prevalentemente antifascisti.
In Spagna, il film Il sorpasso si chiamava La escapada. Dino Risi non sapeva, non poteva sapere, che mentre girava questo magnetico ritratto dell’Italia del boom economico – la scena della lotta tra chi pensa che le cose si possano fare da soli e chi le fa davvero – stava contemporaneamente iniziando la storia che Alberto Prunetti avrebbe raccontato mezzo secolo dopo in Amianto (Hoja de Lata, 2020). La storia di suo padre Renato. Gassman e Trintignant risalgono la costa maremmana, passando molto vicino al ferro di Follonica, all’acciaio di Piombino o al mercurio di Rosignano Solvay, che non vengono mostrati nell’immagine perché allora staremmo parlando di un altro film. Prunetti ricorda come è diventato un appassionato di calcio in tenera età, vedendo suo padre interessato a leggere e ascoltare i risultati regionali. “Per noi, erano più preziosi della Coppa Europa”, scrive. Livorno era il luogo dove Renato portava la sua famiglia in molte domeniche, il suo unico giorno libero. Aperto e libero, in quel periodo il luogo più importante del mondo. “Ai tifosi del Livorno e a quelli che lo seguono da fuori città e anche da fuori Italia, dico di continuare a farlo oltre la categoria, di continuare ad amarlo oltre la categoria. Il calcio dovrebbe essere anche romantico”, aggiunge Protti.

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