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Teatro, così Paravidino e Papaleo rileggono Brecht

Con “Peachum” Fausto Paravidino reinventa l’universo umano brechtiano. In scena alla Sala Ivo Chiesa 

E’ una storia d’amore, perché ogni storia è, in fondo, storia di un amore. E’ una storia di guerra, perché ogni storia è, dopotutto, storia di una guerra. Quella eterna dei ricchi contro i poveri, in questo caso. Esattamente in quest’ordine perché, come ha detto qualcuno, se i secondi si sono scordati come si fa la lotta di classe, i ricchi la loro la stanno vincendo a tutto campo. Ed è quindi inevitabilmente, anche, una storia di soldi. Pochi, però,  perché Peachum, ultimo lavoro di e con Fausto Paravidino alla sala Ivo Chiesa del Teatro nazionale di Genova, si propone come adattamento 4.0 di L’opera da tre soldi di Bertolt Brecht. A sua volta ispirato a quella Beggar’s Opera scritta da John Gay a fine Settecento. Die Dreigroschenoper, questo il titolo originale, che era uno spaccato di “bassifondi” socio-economici oltre che morali. Nella pletora di una umanità disperata, spiccavano le figure protagoniste di Peachum, lo sgradevolissimo criminale che gestisce il traffico dei mendicanti, e di Mackie Messer, definito “Il più famoso criminale di Londra” che riesce a prendersi in moglie Polly, figlia prediletta dello stesso Peachum, con conseguenze nefaste.

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Correva l’anno 1928 del secolo scorso e oggi, a pochi anni dalla celebrazione del centenario della nascita del testo di Brecht, i suoi personaggi si reincarnano in una manciata di caratteri che avvicinano al nostro paesaggio urbano quotidiano quel classico del teatro moderno. C’è il titolare di un negozio di borse di lusso, dal suggestivo nome La borsa è la vita,  nella via dello struscio cittadino – un esilarante Rocco Papaleo in grande forma – che di giorno vende articoli griffati tarocchi alle signore bene e di notte sguinzaglia un piccolo esercito di ambulanti clandestini a vendere articolo originali a basso costo ad altre signore bene che vogliono sentirsi più furbe delle loro amiche. Un’audace stragegia di marketing che copre ogni segmento di clientela e in cui le categorie (filosofiche) dell’autentico e dell’inautentico si rincorrono e si smarriscono definitivamente in un gioco di specchi tra vero e falso. C’è la di lui figlia ventenne  inesorabilmente attratta, come nelle migliori famiglie, da quelle che a Genova si chiamano “lègere”: balordi, delinquentelli, affascinanti irriducibili alla morale borghese di cui il padre è alfiere, seppur disincantato. C’è poi il di lei “moroso”, lo stesso autore Paravidino, capetto di una banda di naziskin dedita al linciaggio notturno di clandestini e altri indifesi.

C’è una sindaca rampante in carriera, con il suo programma tutto ordine e decoro e un ingombrante passato di pasionaria di destra, stretta da vincoli inconfessabili a vecchie amicizie impresentabili.  E c’è infine il coro, più ridicolo che tragico, della banda di naziskin di cui il fidanzatino della figlia del negoziante è capo indiscusso. In un sodalizio cementato da un patto virile di fedeltà e onore che si squaglia alla prima occasione «perché tanto noi di idee non ne avevamo, ci piaceva solo andare in giro col bomberino nero…».  Ogni personaggio si scoprirà legato a ogni altro in un filo narrativo che si dipana dall’uno all’altro, che a tratti ricorda l’andamento di una commedia del primo Almodovar e che non si fa mancare neanche momenti di stallo alla messicana – quando tutti si puntano una pistola a vicenda nel salotto buono della casa del negoziante – di marca tarantiniana.

Il tutto sullo sfondo di una città sull’orlo di una crsi di nervi, illuminata ogni notte da roghi più o meno spontanei, più o meno commissionati. E in trepidante attesa del grande evento della visita del Santo padre, che nella divertente scena finale parlerà nel suo inconfondibile accento, come in un fenomeno di ventriloquismo mistico, per bocca di un naziskin folgorato sulla via di Damasco dalla parola divina. Romina Colbasso, Marianna Folli, Iris Fusetti, Davide Lorino, Daniele Natali completano il cast.

Spiega Paravidino che ha voluto così reinventare l’universo umano brechtiano: «Perché occuparci ancora dell’Opera da tre soldi? Perché c’è qualcosa in questo classico degli anni Venti che è invecchiato (bene) e qualcosa che non è invecchiato per niente». E, aggiunge: «Peachum è una figura del nostro tempo più ancora che del tempo di Brecht, dipende dal denaro senza neanche prendersi la briga di esserne appassionato. È governato dal denaro. In questa nuova Opera, detta Peachum, succede che a un padre portano via la figlia. Il padre la rivuole perché gli hanno toccato la proprietà. Non altro. Le avventure e disavventure che l’eroe dei miserabili incontrerà nello sforzo di riprendersi la figlia saranno un viaggio, un mondo fatto di miserie».

 

 

 

 

 

 

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