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Quello che non ti ho mai detto, Almudena

Da Mundo Obrero, organo del Pce, una commovente lettera ad Almudena Grandes [Esther López Barceló*]

Cara Almudena, mi è stato chiesto di scrivere sulla tua morte. E, all’inizio, ho pensato quanto sia ridicolo che io scriva di te quando non ci siamo mai incontrate. Mento. Ho partecipato con entusiasmo a diverse tue presentazioni dove ero solo un’altra formica in uno sciame assetato delle tue pagine. Eppure ho potuto a malapena leggere il messaggio che chiedeva qualche paragrafo sulla tua perdita improvvisa. Le lacrime hanno offuscato i miei occhi. Non ho potuto trattenere le lacrime perché sapevo, pochi minuti prima, che te ne eri andata per sempre. Proprio così, senza preavviso, così improvvisamente e a tradimento come solo la morte è capace di attraversarci. È stato in quel momento che ho capito che, forse, anch’io avevo qualcosa da dire.
Perché, cara Almudena, ci sono molti altri di noi che ti conoscono solo attraverso il tuo modo di dare vita alle parole e ti garantisco che non siamo, né possiamo essere, estranei al dolore della tua perdita. È impossibile. Perché, anche se non lo sai, anni fa sei venuta a vivere nelle nostre case, almeno nella mia, per stare in uno scaffale completo. Infatti, quando sono arrivata a casa mi è bastato entrare nel soggiorno per trovarti. Eri lì, con le tue spine nere che incorniciavano ogni titolo che, a sua volta, racchiudeva centinaia di vite, alcune immaginate e altre molto reali. E ogni libro mi ha immediatamente riportato a un momento della mia storia che, ora per sempre, sarà una storia condivisa con voi, insisto, anche se non lo sapete. Perché “Cuore di ghiaccio ” è stato il primo tuo romanzo che ho letto in prestito dall’uomo che anni dopo sarebbe diventato mio marito e grande amore. E grazie a quel lavoro ho scoperto che era possibile fare ricordi epici pur essendo la storia degli sconfitti. E, anche se forse non lo sapete, con “Inés y la alegría” ho imparato quello che non mi hanno mai insegnato alla scuola di storia, cioè che in Spagna ci sono stati migliaia di uomini e donne che non si sono arresi anche quando la loro stessa vita era contro di loro. Mi hai anche accompagnato con “La madre di Frankestein” nella stanza d’ospedale, prima e dopo il mio parto.
Cara Almudena, hai riesumato con le tue mani più morti di quanti ne siano rimasti nelle tombe, contandoli tutti negli episodi di questa guerra infinita che sembra non finire mai. L’hai fatto compilando le voci che hai trovato lungo la tua inesorabile ricerca attraverso libri, archivi e interviste. Da tutto questo hai selezionato con cura i frammenti con i quali hai tessuto i romanzi che raccontano ciò che pochi hanno osato raccontare. Mi hai persino spiegato cosa significava vivere nelle luride baracche dei prigionieri che hanno costruito la Valle de los Caídos in “Las tres bodas de Manolita”. Perché soprattutto hai scoperto le donne che nessuno ha mai ricordato, quelle che hanno cucinato, pulito, curato, ma anche pensato, militato e combattuto. Li hai messi in un posto di rilievo a pieno titolo e ci hai ispirato a continuare a scriverli.
Non sono quella che ti ha conosciuto meglio di chiunque altro, non sono, né sono stata tua amica – è difficile per me scrivere al passato – e nemmeno mi considero una specialista del tuo lavoro: sono solo una donna che legge e scrive grazie a quelli di voi che lo hanno fatto prima e che ti piange, per tutto quello che hai significato, anche se non lo sai, né lo saprai mai.
Cara Almudena, avrei voluto scriverti quando potevi ancora leggermi, ma la vita è così breve e così strana che ci concediamo queste licenze solo quando muore qualcuno che ammiriamo. Allora permettimi di lasciarmi trasportare dal pensiero magico che accompagna le morti improvvise e lasciami credere che domani, quando mi sveglierò, vedrò che è stato tutto un sogno, che ti stai ancora riprendendo dalla tua maledetta malattia e che ho il coraggio di inviare questo testo in una busta. È con questa intenzione che l’ho scritto, per ringraziarti di aver aperto un’enorme finestra su un mondo che non esiste più. Che tu possa essere riconosciuto come lo fu Galdós ai suoi tempi, che tu possa impiegare molto tempo per andartene, che tu possa essere rivisto oltre il mio scaffale e che io possa abbracciarti forte per ringraziarti.
Fino ad allora, ti saluto, colei che non si stancherà mai di leggerti.

*Esther López Barceló, docente all’Università di Alicante, è stata deputata per Izquierda Unida

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