Saverio Saltarelli, ucciso dalla polizia un anno dopo la strage di Piazza Fontana. [Paola Staccioli]
Originario di Pescasseroli, Saverio Saltarelli era iscritto al terzo anno di giurisprudenza a Milano quando la sua vita fu fermata, a ventitré anni, da un candelotto lacrimogeno che lo colpì in pieno petto. Il 12 dicembre 1970 ricorreva il primo anniversario della strage di piazza Fontana, drammatico esordio di quel sanguinoso disegno, poi definito “strategia della tensione”, volto a bloccare la trasformazione sociale e politica del paese. Era inoltre in corso a Burgos un processo nel quale il regime franchista si apprestava a condannare a morte alcuni militanti di Eta, organizzazione armata basca di liberazione nazionale. Le forti mobilitazioni popolari interne e internazionali fermarono le esecuzioni.
Delle quattro manifestazioni in programma per quel pomeriggio a Milano, il questore Ferruccio Allitto Bonanno autorizzò solo quella promossa dall’Anpi e da altre forze della sinistra istituzionale contro il processo di Burgos, vietando il corteo dei circoli anarchici per ricordare l’uccisione di Pinelli e denunciare l’estraneità di Valpreda e compagni nella “strage di Stato”, così come il presidio del Movimento studentesco in piazza Fontana, indetto per impedire un’adunata, anch’essa vietata, annunciata da gruppi neofascisti. Al termine del comizio gli anarchici danno vita a un corteo che viene caricato alle spalle dalla polizia agli ordini del vicequestore Vittoria e sospinto verso l’Università Statale presidiata dal Movimento studentesco. Nel frattempo alcuni squadristi lanciano molotov contro la sede dell’associazione Italia-Cina e da piazza San Babila numerosi fascisti si muovono in direzione dell’Ateneo. Proseguono le cariche. Gli studenti difendono la loro postazione mentre la polizia cerca di rompere i cordoni di protezione. Durante gli scontri, un lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo uccide Saverio Saltarelli, militante di Rivoluzione comunista, mentre il pubblicista Giuseppe Carpi riporta ferite da armi da fuoco.
Le prime versioni ufficiali parlarono di “malore” e poi di “collasso cardiocircolatorio”. Dopo l’autopsia, di fronte all’evidenza dei fatti, si ammise che il cuore di Saltarelli fu spaccato da un “artificio lacrimogeno”. Nonostante l’«ostruzionismo continuo e il sottile bizantinismo fondato su manipolazioni procedurali» da parte di organi giudiziari e di polizia, come si legge nell’ordinanza istruttoria, grazie all’impegno del movimento, insieme ad avvocati e giornalisti democratici, l’inchiesta si chiuse con l’emissione di sei avvisi di reato. Nel 1976 il capitano di ps Alberto Antonetto, comandante del reparto da cui partì il candelotto mortale, fu condannato per omicidio colposo a 9 mesi con la concessione delle attenuanti generiche, la sospensione condizionale e la non menzione. Il capitano dei carabinieri Antonio Chirivì (divenuto poi comandante dei Vigili Urbani di Milano dal 1997 al 2006) e un sottufficiale furono indiziati di reato per il ferimento del pubblicista.